16 Gennaio 2018

La domanda cd “trasversale”

di Fabio Cossignani Scarica in PDF

Le disposizioni di diritto processuale distinguono e disciplinano diversamente, almeno in parte, la domanda riconvenzionale (artt. 36, 167, 183) e la chiamata in causa del terzo ad istanza di parte (artt. 106, 167, 183, 269). I limiti di ammissibilità sono diversi, così come diverse sono le forme prescritte dalla legge. Quando la domanda del convenuto è rivolta, non contro l’attore o il terzo, ma contro un altro convenuto, si configura una fattispecie peculiare che rende incerta la disciplina applicabile.

 Domanda riconvenzionale e chiamata in causa del terzo.

La domanda riconvenzionale in senso stretto è la domanda che il convenuto propone contro l’attore nel medesimo processo già incardinato da quest’ultimo (cfr. Mandrioli-Carratta, Diritto processuale civile, I, Torino, 2016, 160 ss.).

In astratto, il convenuto potrebbe avere interesse a proporre contro l’attore ogni genere di domanda. Tuttavia, l’art. 36 c.p.c. fa riferimento alle «domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione». Non è chiaro, quindi, se l’art. 36 c.p.c. debba leggersi come norma sulla sola competenza – ossia come specificazione delle domande riconvenzionali che danno luogo alla deroga della competenza – oppure come norma di individuazione dei limiti generali di ammissibilità della domanda riconvenzionale (la giurisprudenza si pone in posizione intermedia, richiedendo comunque un «vincolo di collegamento» tra le due domande: cfr. Cass., 4 luglio 2006, n. 15271, in Foro it., 2006, I, 3273). È ammessa anche la domanda riconvenzionale dell’attore ove questa sia conseguenza delle domande o delle eccezioni del convenuto (art. 183, co. 5, c.p.c.).

Il convenuto (ma anche l’attore: art. 183, co. 5, c.p.c.) può inoltre convenire in giudizio un soggetto “terzo”, ossia che non è parte, «al quale ritiene comune la causa o dal quale pretende di essere garantit[o]» (art. 106 c.p.c.).

La domanda riconvenzionale del convenuto deve essere proposta, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta da depositarsi 20 giorni prima dell’udienza fissata nella citazione (art. 167 c.p.c.).

Analogamente, nella stessa comparsa di risposta, da depositarsi a pena di decadenza nel medesimo termine di 20 giorni, il convenuto deve dichiarare la propria intenzione di chiamare in causa un terzo, chiedendo contestualmente al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la citazione del terzo nel rispetto dei termini ex art. 163 bis c.p.c. (art. 269 c.p.c.).

La domanda del convenuto contro altro convenuto (cd. domanda “trasversale” o “tra litisconsorti”)

Ove l’attore abbia convenuto più soggetti, può accadere che uno (o alcuni) di questi convenuti intenda proporre una propria domanda contro un altro consorte passivo. Ciò può verificarsi in una pluralità di circostanze, ma soprattutto quando l’attore propone la propria domanda contro una pluralità di responsabili solidali, dando la stura alle eventuali azioni di regresso (art. 1299 c.c.).

La fattispecie concreta della domanda proposta tra litisconsorti non corrisponde esattamente alla domanda riconvenzionale, perché la pretesa si rivolge contro un soggetto diverso dall’attore. Ma neppure corrisponde alla chiamata del terzo ad istanza di parte, in quanto il soggetto passivo della domanda è già parte in causa per effetto della vocatio compiuta dall’attore.

Per le sue peculiari caratteristiche, tale domanda viene solitamente definita “domanda trasversale”.

Si pone quindi il quesito se ad essa si applichino – per analogia o per estensione – le disposizioni che regolano la domanda riconvenzionale oppure quelle che disciplinano la chiamata in causa del terzo.

La questione non è di poco momento: se si opta per l’applicazione delle disposizioni in materia di chiamata in causa, diviene applicabile l’art. 269 c.p.c. Quindi, a pena di decadenza, il convenuto, nella comparsa di risposta depositata 20 giorni prima dell’udienza, dovrà dichiarare di voler chiamare in causa un terzo e deve richiedere al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza per poi procedere alla citazione del “terzo”.

La giurisprudenza prevalente

Secondo la giurisprudenza prevalente, «la domanda formulata da un convenuto nei confronti di un altro va qualificata come domanda riconvenzionale» (Cass., 22 marzo 2013, n. 7258), sicché si applicano le forme previste per questa (Cass., 26 ottobre 2017, n. 25415).

Pertanto, va rispettato il termine decadenziale previsto dall’art. 167 c.p.c. (cfr. Cass., 16 marzo 2017, n. 6846; Trib. Bari, 7 ottobre 2014), ma non è necessario richiedere lo spostamento dell’udienza. Neppure occorre procedere alla citazione del soggetto passivo di tale nuova domanda, salvo che alla prima udienza questi non risulti contumace (art. 292 c.p.c.) (Trib. Milano 19 giugno 1997, in Giur. it., 1998, I, 267). La citazione è dunque solo eventuale e deve essere disposta d’ufficio.

La disciplina si rivela per ampi margini simile a quella dell’impugnazione incidentale tra litisconsorti (cfr. Cossignani, Appello incidentale nel processo ordinario: quando va notificato?).

La giurisprudenza minoritaria

Occorre rilevare tuttavia la presenza di una giurisprudenza minoritaria, sia di merito (v. ad esempio, Trib. Torino, 16 marzo 1999, in Giur. it., 1999, I, 2290) sia di legittimità (Cass., 12 aprile 2011, n. 8315), che ritiene necessarie le formalità della chiamata del terzo (art. 269 c.p.c.).

A parere della Cassazione da ultimo citata, in particolare, non sarebbe condivisibile l’assunto secondo cui il soggetto passivo è già parte del giudizio quale convenuto rispetto alla domanda attorea. Secondo la Corte, tale convenuto è parte solo con riferimento alla domanda proposta dall’attore, ma non lo è rispetto alla diversa domanda proposta nei suoi confronti dall’altro convenuto. Sotto il profilo argomentativo, si ritiene che «riprova della validità della conclusione per la quale, in tale evenienza, è necessaria la chiamata in causa del terzo, la si può ricavare anche dal principio per il quale l’estensione automatica della domanda principale al terzo chiamato in causa dal convenuto non opera quando lo stesso terzo venga evocato in giudizio come obbligato solidale o in garanzia propria od impropria. In questo caso è necessaria la formulazione di un’espressa ed autonoma domanda da parte dell’attore» (Cass. n. 8315/2011 cit.).

Tale ultimo ragionamento è di difficile intellegibilità. Infatti, nell’ipotesi presa a paragone, l’attore deve sì formulare la domanda verso l’altro convenuto o terzo chiamato, ma non deve chiedere lo spostamento dell’udienza e tantomeno è tenuto a citarlo. Quindi, il parallelismo non sembra pertinente.

Brevi considerazioni.

In conformità a quanto già rilevato dalla dottrina (v. Ronco, Appunti sulla domanda proposta da un convenuto contro l’altro, in Giur. it., I, 1999, 2290; Vullo, La domanda proposta da un convenuto contro l’altro: condizioni di ammissibilità, termini e forme, in Giur. it., 2002, 1778) la domanda di un convenuto contro l’altro non è equiparabile a una vera e propria domanda riconvenzionale (cfr. supra). Diversamente opinando, bisognerebbe ritenere che essa sia ammissibile negli ampi margini entro cui è ammissibile la domanda riconvenzionale in senso stretto. Il che si rivelerebbe palesemente incongruo, specie se si intende l’art. 36 c.p.c. quale disposizione sulla sola competenza (v. supra).

Sotto il profilo sistematico, infatti, la domanda trasversale è analoga alla domanda verso il terzo. Essa va dunque contenuta nei limiti segnati dall’art. 106 c.p.c.

Rispetto alla chiamata ex art. 106 c.p.c., la differenza risiede nel fatto che il soggetto passivo non è propriamente un “terzo”, quanto piuttosto una “parte convenuta”, già citata da altri, ossia dall’attore. Pertanto, lo scopo delle forme previste dall’art. 269 c.p.c. può dirsi assolto dalla citazione originaria, rendendosi così superflua la reiterazione delle medesime forme processuali.

In sostanza, la cd. domanda trasversale è una domanda:

  • ammissibile entro i limiti della chiamata del terzo ex 106 c.p.c.;
  • ma proponibile nelle più snelle forme della domanda riconvenzionale.

Problemi applicativi.

In accordo con la prevalente dottrina e giurisprudenza, è preferibile la tesi che esclude l’applicazione dell’art. 269 c.p.c.

Occorre tuttavia verificare se, all’udienza, il soggetto passivo della domanda trasversale abbia comunque diritto a un differimento dell’udienza per poter organizzare le proprie difese entro i termini ex art. 163 bis c.p.c., in analogia a quanto avrebbe avuto diritto ex art. 269 c.p.c. se fosse rimasto “terzo” rispetto alla domanda principale.

Si danno diverse ipotesi.

1) se il convenuto non si è costituito, la domanda gli deve essere notificata, in coerenza con la disciplina sulla contumacia. In tal caso, ragioni di simmetria sembrano imporre la sua costituzione nei 20 giorni prima della nuova udienza, ai sensi dell’art. 166 c.p.c., incorrendo in difetto nelle decadenze di cui all’art. 167 c.p.c. rispetto alla domanda trasversale (rispetto alla domanda principale le decadenze si siano già verificate per effetto della mancata costituzione);

2) se il convenuto si è costituito, le difese di questo devono essere svolte nella prima udienza. L’acquisto della qualità di parte per effetto della citazione dell’attore lo onera infatti al controllo del contenuto degli atti depositati da tutte le altre parti, ivi compresa la comparsa di risposta dell’altro convenuto, il quale potrebbe aver tempestivamente formulato una domanda trasversale. La situazione è dunque analoga a quella dell’attore rispetto alla riconvenzionale del convenuto (art. 183, co. 5, c.p.c.).

Per ulteriori riferimenti v. la dottrina e la giurisprudenza citate nonché, di recente, Morello, Note sulla c.d. domanda trasversale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 389 ss.