16 Maggio 2016

La Corte di Cassazione fissa le regole della legittimazione ad causam degli studi professionali associati

di Andrea Ricuperati Scarica in PDF

[I] Cass., Sez. I, 4 marzo 2016, n. 4268 – Pres. Didone – Rel. Terrusi

[II] Cass., Sez. II, 29 febbraio 2016, n. 3926 – Pres. Matera – Rel. Scarpa

Scarica la sentenza n. 4268

Scarica la sentenza n. 3926

Associazione professionale – ordinamento interno ed amministrazione – autonomia degli associati – stipula di contratti in proprio – delegabilità della loro esecuzione ai singoli associati – legittimazione ad causam dell’associazione – sussistenza (C.c. art. 36 – C.p.c. art. 81)

[1] Gli accordi degli aderenti ad una associazione professionale possono investire quest’ultima della titolarità di rapporti contrattuali la cui esecuzione venga delegata alle persone dei singoli associati; conseguentemente, in tale ipotesi, la legittimazione attiva compete allo studio associato. 

[I] Cass., Sez. I, 4 marzo 2016, n. 4268 –Pres. Didone – Rel. Terrusi

Contratto di prestazione d’opera – trasferimento della sua titolarità allo studio associato – automatismo – esclusione – assenza di pattuizioni al riguardo – legittimazione ad causam del singolo professionista (C.c. art. 2230 c.c. – C.p.c. art. 81)

[2] I professionisti che si associano per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della loro attività non trasferiscono automaticamente all’associazione la titolarità dei rapporti di prestazione d’opera professionale, che in tal caso rimane in capo al singolo associato al pari della conseguente legittimazione attiva nei confronti del cliente. 

[III] Cass., Sez. I, 17 febbraio 2016, n. 3128 – Pres. Rordorf – Rel. Bisogni

Difetto di legittimazione attiva – carenza di effettiva titolarità del rapporto sostanziale azionato – rilevabilità d’ufficio

[3] Il difetto di titolarità del rapporto sostanziale dedotto in giudizio non attiene alla legittimazione attiva in senso proprio ed è rilevabile d’ufficio perché riguarda una condizione di fondatezza della domanda.

CASI
[I 1-2] Il Tribunale di Milano respinge l’opposizione proposta da uno studio legale associato avverso il decreto del Giudice delegato che aveva escluso il relativo credito professionale dallo stato passivo di una procedura fallimentare; il rigetto viene motivato con la ritenuta carenza di legittimazione ad agire dell’associazione professionale.

Avverso tale decisione ricorre per cassazione lo studio associato, affidandosi a quattro motivi.

[II 1] Uno studio associato di commercialisti evoca dinanzi al Tribunale di Busto Arsizio-Sezione distaccata di Gallarate alcune società ex-clienti, chiedendo la condanna delle medesime al pagamento di compensi per prestazioni di consulenza aziendale.

La sentenza di accoglimento delle domande viene impugnata dai soccombenti dinanzi alla Corte d’Appello di Milano, che la riforma unicamente in punto decorrenza degli interessi di mora, per il resto rigettando l’impugnativa e – tra l’altro – riconoscendo sussistere in capo all’originario attore la legittimazione processuale e ad causam.

Ricorrono per cassazione le ex-clienti, articolando il gravame in undici motivi, il primo dei quali interessa in questa sede perché attiene alla ritenuta carenza di legittimazione processuale e ad agire.

[III 3] Una società propone opposizione al decreto ingiuntivo con cui le era stato intimato il pagamento del corrispettivo richiesto da un’associazione professionale di commercialisti per prestazioni di natura contabile.

Il Tribunale di Milano accoglie l’opposizione, ravvisando in capo allo studio associato il difetto di legittimazione attiva.

La Corte d’Appello di Milano – adìta dal soccombente studio di commercialisti – conferma detta sentenza, reputando non provata la circostanza che il rapporto d’opera fosse intercorso tra la società cliente e l’associazione professionale.

Ricorre per cassazione detta associazione, affidandosi a quattro motivi.

SOLUZIONI
[I 1-2] Il Supremo Collegio accoglie il gravame e cassa la sentenza con rinvio, affermando che:

  • poiché l’art. 36 del codice civile devolve agli accordi degli associati la libera determinazione delle regole disciplinanti l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute, ben può essere pattuita dai medesimi l’attribuzione allo studio associato della legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti poi delegati ai singoli membri e da costoro personalmente curati, l’associazione essendo capace di porsi come autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici;
  • non è la semplice costituzione di un’associazione tra professionisti a produrre automaticamente il trasferimento in capo ad essa della titolarità dei rapporti di prestazione d’opera, occorrendo un’esplicita manifestazione di volontà in tal senso;
  • qualora venga accertata detta concorde volontà, lo studio professionale associato sarà legittimato ad agire anche sul piano processuale; in caso contrario, i singoli professionisti manterranno la titolarità del contratto d’opera e la conseguente legittimazione ad causam, mentre il fenomeno associativo rimarrà circoscritto unicamente alla gestione congiunta e riparto di proventi e spese.

[II 1] La Corte di Cassazione rigetta il primo motivo di ricorso, reputando lo studio associato pienamente legittimato a promuovere il giudizio in ordine ai rapporti sostanziali oggetto di causa, in quanto è stata ritenuta sussistere la concorde volontà dei professionisti di investire l’associazione della titolarità di detti rapporti e di delegarne l’esecuzione ai singoli membri del consesso.

[III 3] La Corte di Cassazione respinge il ricorso: per quanto qui interessa, oltre a ritenere congrua ed immune da vizi logico-giuridici la motivazione della Corte milanese, che aveva reputato non provata la concorde volontà degli associati di attribuire all’associazione la titolarità del rapporto sostanziale poi azionato in giudizio, il Supremo Collegio osserva che l’indagine del giudice di merito aveva avuto ad oggetto non la legittimazione attiva in senso proprio, bensì la diversa questione della titolarità in capo a chi agisce del rapporto sostanziale fatto valere; e conclude affermando che, trattandosi di una condizione di fondatezza della domanda, la sua assenza è rilevabile d’ufficio.

QUESTIONI
[I – II 1] [I 2] Con le pronunce in commento sembra consolidarsi quell’orientamento giurisprudenziale (già espresso in tempi recenti da Cass. 14 febbraio 2014, n. 3420, e Cass. 15 luglio 2011, n. 15694), secondo il quale gli studi professionali associati – seppur privi di personalità giuridica – ben possano, se in tal senso depone (e risulta provata) la volontà degli associati, essere considerati autonomi centri di imputazione di rapporti contrattuali (anche) rispetto ai crediti nascenti dalle prestazioni eseguite dai componenti dell’associazione, con ogni corollario in punto legittimazione ad causam; per la posizione più restrittiva si vedano, invece, Cass. 10 luglio 2006, n. 15633 e le sentenze ivi citate).

[III 3] La Corte di Cassazione aderisce alla coeva decisione delle Sezioni Unite (16 febbraio 2016, n. 2951) che – componendo il contrasto sorto sul punto – ha statuito, in recepimento dell’opinione minoritaria, che la questione della titolarità del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, pur attenendo al merito della causa, non costituisce eccezione in senso stretto ma mera difesa e – non rientrando nei poteri dispositivi delle parti – può essere anche rilevata d’ufficio dal giudice.