La clausola floor: tra (presunta) vessatorietà e (inesistente) derivato implicito
di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDFLe contestazioni in merito alla validità della clausola floor, frequentemente inserita nei contratti di mutuo a tasso variabile, si concentrano essenzialmente su due profili: da un lato, la presunta vessatorietà della clausola; dall’altro, la sua pretesa qualificazione come derivato finanziario implicito.
L’elaborazione giurisprudenziale maggioritaria e i responsi dell’ABF hanno avvalorato la legittimità della clausola floor, a condizione che la banca rispetti il dovere di “clare loqui”. Inoltre, è stato escluso che il ‘tasso pavimento’ configuri un’opzione, e quindi un derivato implicito. Di conseguenza, non si applicano le disposizioni relative agli obblighi contrattuali e informativi previsti dal Testo Unico della Finanza (TUF).
Riguardo al primo aspetto, la vessatorietà della clausola floor è esclusa dall’art. 1341, comma 2, c.c., che fornisce un elenco tassativo di clausole vessatorie, nel quale la clausola floor non rientra (Cass. n. 9646/2006; v. anche App. Catania 13.7.2022 n. 1476; Trib. Milano 26.3.2024 n. 3373: la clausola floor non rientra in alcuna delle tipologie di clausole – elencazione tassativa – contenute nell’art. 1341 c.c.; ABF Roma n. 5018/2023). Inoltre, ai sensi dell’art. 33, comma 1, del Codice del Consumo, una clausola è vessatoria solo se determina uno squilibrio significativo a carico del consumatore, mentre l’art. 34 esclude la valutazione della vessatorietà qualora l’oggetto del contratto e il corrispettivo siano determinati in modo chiaro e comprensibile.
Approfondendo questi ultimi aspetti, la clausola floor non è ritenuta vessatoria in quanto la normativa esclude che il ‘carattere vessatorio’ riguardi la determinazione dell’oggetto del contratto o l’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi. L’art. 34, comma 2, del Codice del Consumo stabilisce che questi elementi devono essere chiaramente individuati. Inoltre, la normativa europea e italiana (art. 4, par. 2, direttiva 93/13/CEE e art. 34, comma 2, Codice del Consumo) esclude dal controllo di vessatorietà le clausole che riguardano la determinazione dell’oggetto del contratto e l’adeguatezza del corrispettivo, se tali elementi sono chiaramente definiti (Trib. Verona 9.12.2022; App. Catania 13.7.2022 n. 1476; Trib. Forlì 23.1.2024 n. 45; ABF Napoli 8843/2022; ABF Napoli n. 9795/2023; ABF Milano, nn. 1258, 1259 e 1260 del 2024; Collegio di Coordinamento ABF n. 4137/2024).
La clausola floor inserita nel contratto di mutuo non determina alcuna indeterminatezza del tasso quando, considerata la sua collocazione contrattuale, ossia in calce all’analitica determinazione del tasso nominale annuo, il tasso minimo può essere calcolato unicamente sulla base dei medesimi parametri indicati (App. Brescia 29.4.2020; Trib. Pordenone 24.4.2020; Trib. Verona 9.12.2022; ABF Roma n. 5018/2023).
Relativamente alla seconda questione (la clausola floor è un derivato implicito?), è diffuso il convincimento giurisprudenziale secondo cui la presenza di una clausola floor non faccia assumere automaticamente al contratto cui accede la natura di strumento finanziario, con conseguente applicabilità della disciplina del TUF, e in particolare degli obblighi informativi in esso previsti a carico dell’intermediario finanziario. Né può ritenersi fondatamente che, a fronte dell’inserimento di tale clausola, la pattuizione di interessi ‘minimi’ da corrispondersi da parte del mutuatario al mutuante, quale accessorio dell’obbligo di restituzione e remunerazione per la cessione del capitale, snaturi l’essenza del contratto, mutandone la natura da contratto reale avente causa di finanziamento a strumento finanziario con cui il cliente, controparte dell’istituto di credito, mira a realizzare un investimento mobiliare economicamente proficuo (ed ha diritto a ricevere informazioni complete e puntuali riguardo all’effettivo grado di rischio assunto e sull’equilibrio delle condizioni contrattuali così come effettivamente praticate) (Trib. Crotone 27.1.2020; Trib. Pordenone 24.4.2020; Trib. Rovereto 19.12.2020; Trib. Roma 13.10.2020; Trib. Bari 14.9.2022 n. 3318).
L’equiparazione della clausola floor a uno strumento derivato è stata definita «una vera e propria acrobazia logica e dialettica». Questo perché non siamo di fronte a un contratto d’investimento mobiliare, ma a un contratto di mutuo. In quest’ultimo caso, la prestazione del mutuante è già avvenuta, mentre quella del mutuatario deve ancora realizzarsi. L’unica ‘alea’ consiste nell’inadempimento da parte del mutuatario. In sostanza, con la sottoscrizione di un contratto di mutuo con clausola floor, il mutuatario non intende realizzare un investimento ma mira solamente ad ottenere fondi in previsione dell’acquisto di un bene, e non già, ad esempio, a gestire un rischio di cambio o a speculare sul tasso di cambio di una valuta estera et similia, specialmente quando sussiste una previsione chiara e determinata in ordine al tasso d’interesse, che esclude ogni rilevanza a meccanismi aleatori, giuridicamente rilevanti e facenti parte come tali del contenuto del contratto (così Trib. Bologna 8.2.2018; conf. Trib. Bologna 29.5.2017; Trib. Crotone 27.1.2020; Trib. Forlì 18.6.2020; Trib. Sondrio 12.6.2020).
Dirimente, in argomento, è infine quanto stabilito dalle Sezioni Unite n. 5657/2023 (conf. Cass. n. 5151/2024; Cass. n. 1942/2025), secondo cui «costituisce un puro artificio la tesi (anch’essa sostenuta in dottrina) secondo cui la previsione di un tasso minimo dovuto dal cliente, inserita in un contratto di finanziamento a tasso indicizzato, costituirebbe una “inconsapevole vendita da parte del cliente al finanziatore” di una option, e dunque un contratto derivato. Infatti, la previsione per cui, anche nel caso di fluttuazione dell’indice di riferimento per la determinazione degli interessi, il debitore sia comunque tenuto al pagamento di un saggio di interessi minimo, non è che una clausola condizionale, in cui l’evento condizionante è la fluttuazione dell’indice di riferimento al di sotto di una certa soglia, e l’evento condizionato la misura del saggio: dunque un patto lecito e consentito dall’art. 1353 c.c.».
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