21 Marzo 2016

Il D.lgs. 231/201 e la L. 190/202, interazioni e sinergie possibili

di Antonio Candotti Scarica in PDF

Negli ultimi decenni ed in particolare dopo la soppressione del Ministero delle Partecipazioni Statali (1993), che pone di fatto fine all’omonimo “Sistema” si è assistito in Italia alla proliferazione delle società a partecipazione pubblica (nel seguito anche “società” o “ente”). Accanto alla finanza statale, sviluppatasi all’interno degli enti esterni all’organizzazione dello Stato, si è sviluppato il complicato mondo della finanza locale, soprattutto con l’avvento delle “società miste” (L. 142/1990, art.22, co.3, lett. e). Anche la riforma del Titolo v della Costituzione, nel 2001, ha contribuito a tal processo, attribuendo agli enti locali la facoltà di adottare i modelli organizzativi ritenuti più idonei, prevedendo anche la compresenza di capitale pubblico e privato, per l’erogazione dei servizi di propria competenza e in questo senso si è più volte espressa anche la Commissione Europea (2004, “Libro verde relativo ai parternariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti e delle concessioni”).  In questo scenario complesso ed in continua evoluzione, i molteplici aggiornamenti legislativi legati all’introduzione di misure di prevenzione della corruzione e di obblighi di trasparenza, per i soggetti di diritto privato controllati o partecipati dalle Pubbliche Amministrazioni (PA), insieme con la complessità delle diverse forme di enti para statali che si sono sviluppate nel tempo, fanno sì che sorgano spesso nuove questioni interpretative ed applicative. L’intrecciarsi negli aspetti applicativi della L. 190/2012 (nel seguito anche “L.190”) con il D.Lgs. 231/2001 (nel seguito anche “Decreto”), è un evidente esempio di ciò che si sta dicendo: i due provvedimenti hanno infatti in comune alcuni ambiti applicativi, rispetto ai quali si discute in merito a possibili interazioni, sinergie e semplificazioni. Ciò, anche se vi sono non trascurabili differenze di scopo: il D.Lgs. 231/2001 prende in considerazione i reati contro la PA commessi nell’interesse, o a vantaggio della società, mentre la L.190 considera il tema da un punto di vista più ampio, avendo la finalità di impedire la corruzione non solo quando è nell’interesse della società/ente, ma anche quando è il corruttore privato a trarne vantaggio. Tenuto conto di queste complessità normative, per agevolare il più possibile le società e gli enti chiamati a adempiere, è opportuno fare chiarezza su alcuni aspetti fondamentali:

  • Chi sono i destinatari dei provvedimenti che si stanno esaminando
  • Quando i due provvedimenti sono applicabili
  • Quali sono gli effettivi punti di incontro dei due provvedimenti e quali quindi le possibili semplificazioni
  • In quali casi i soggetti deputati al controllo e alla vigilanza possono coincidere

Con riferimento ai destinatari dei diversi provvedimenti, considerando che non è semplice districarsi nell’insieme dei vari organismi in qualche modo legati alla PA, come dimostrano i molteplici tentativi di semplificazione, occorre fare chiarezza nel complicato mondo delle società e degli enti di diritto privato controllati o partecipati dalle PA e dagli enti pubblici economici.

Per quanto attiene al suddetto Decreto, la giurisprudenza ha definitivamente cancellato le iniziali incertezze confermando l’esclusione della sua applicabilità soltanto per lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale e gli altri enti pubblici non economici (Cass. Pen. Sez. II, 9 luglio 2010, n.28699).

Con riferimento alle leggi in materia di anticorruzione, il D. Lgs. 39/2013 (Decreto 39), ha stabilito l’applicabilità della L.190 anche agli enti di diritto privato in controllo pubblico, alle società partecipate e a quelle da esse controllate, ai sensi dell’art. 2359 cc (come meglio chiarito nel seguito, con riferimento alle società in “controllo pubblico”). Tale indirizzo emerge chiaramente anche dalle Linee Guida (LG ANAC) emanate dall’A.N.A.C. (ANAC) e dal MEF nel dicembre 2014 (sottoposte a consultazione sino al 15 aprile 2015 ed emesse in versione definitiva il 25 giugno 2015), che delineano il quadro interpretativo della normativa anticorruzione, evidenziando l’intenzione del legislatore di prevederne l’applicazione, sia per le società e gli enti di diritto privato controllati/partecipati da enti pubblici, sia per gli enti pubblici economici, in quanto “…sono sottoposti ai medesimi rischi cui sono sottoposte le amministrazioni alle quali sono in diverso modo collegate, per ragioni di controllo, di partecipazione o vigilanza”. Poiché l’applicabilità delle norme di cui si sta parlando non è uniforme, occorre distinguere tra i diversi casi, come di seguito riportato.

Le Società soggette al controllo pubblico sono quelle considerate di fatto assimilabili alla Pubbliche Amministrazione,  cui si applicano tutte le misure introdotte dalla L.190 e dal Decreto: tali società devono adottare un Piano di prevenzione della corruzione (PPC), un Programma triennale per la trasparenza e l’integrità (PTTI o PT) e nominare i rispettivi responsabili (RPC e RPT); adottare il Modello di Organizzazione , gestione e controllo (nel seguito anche “Modello”) ai sensi del Decreto con tutto ciò che ne consegue.

Dalla lettura combinata del Decreto 39 e delle LG ANAC rilevano ai fini della definizione del “controllo” i soli nn.  1 e 2 del comma 1 dell’art. 2359 del cc. L’influenza dominante “conseguita in virtù di vincoli contrattuali (n. 3 del co. 1 dell’art. 2359 del codice civile) non appare sufficiente per assicurare all’amministrazione un adeguato potere di indirizzo”. Di conseguenza, nel caso di “influenza dominante” dovrebbe rendersi applicabile la stessa disciplina valida per le società partecipate, cui si fa rinvio.

Per le società “controllate” il Modello ha una funzione sussidiaria rispetto all’applicazione del PPC, proprio per la più amplia finalità – già sottolineata in premessa – di quest’ultimo. Come meglio precisato nel seguito, in base a quanto previsto dalle LG ANAC, il Modello dovrebbe di fatto essere integrato, per tener conto degli obiettivi della L.190 in materia di corruzione e di illegalità. Quanto sopra esposto con riferimento alle Società “controllate”, trova applicazione anche con riferimento agli Enti pubblici economici.

Per le Società a partecipazione pubblica, dove cioè non esiste una situazione di controllo, così come precedentemente definita, è prevista la sola applicabilità del Decreto e quindi l’adozione del Modello, eventualmente integrato con una sezione che ampli la trattazione della prevenzione dei reati corruttivi. Date le finalità istituzionali di tali società/enti, permane comunque un interesse alla prevenzione della legalità, che si traduce nel “…compito delle pubbliche amministrazioni partecipanti di promuovere…l’adozione di protocolli di legalità che disciplinino specifici obblighi di prevenzione della corruzione e di trasparenza calibrati e specificati in base alla tipologia di poteri, di vigilanza, di finanziamento o di nomina, che l’amministrazione esercita.” (Linee Guida A.N.AC., giugno 2015).

Per gli Enti di diritto privato in controllo pubblico, che includono ad esempio anche le fondazioni e le associazioni controllate da soggetti pubblici, è prevista la stessa disciplina delle società controllate.

Nel caso di Enti di diritto privato partecipati è sicuramente applicabile il Decreto, ma come nel caso delle società partecipate, non vi sono obblighi con riferimento alla normativa anticorruzione.

Da quanto sopra esposto emerge che le sovrapposizioni e le possibili sinergie nell’applicazione dei due provvedimenti in oggetto interessano sostanzialmente le sole Società a controllo pubblico, chiamate ad adempiere ai requisiti di entrambi i provvedimenti.

Con riferimento agli organismi di controllo, il PNA dell’ANAC ha inizialmente previsto che il RPC potesse essere individuato all’interno dell’Organismo di Vigilanza (OdV) previsto dal Decreto. Alcuni autori hanno tuttavia evidenziato da subito le potenziali criticità derivanti dalla coincidenza di tali soggetti, in particolar modo nel caso in cui le funzioni dell’OdV siano a loro volta coperte dal Collegio Sindacale.

Forse in risposta a questo genere di sollecitazioni, nell’ultimo periodo è andata definendosi una nuova posizione (accordo del Tavolo congiunto ANAC -MEF, 23-12-14; direttiva MEF 23-03-14 e LG ANAC. 25-06-2015), contraria alla coincidenza di ruoli inizialmente proposta, che ha di fatto aumentato le difficoltà di interpretazione ed applicazione della normativa.

Partendo dal presupposto che il RPC, diversamente dall’OdV, non possa essere un soggetto esterno alla società, la scelta dell’RPC dovrebbe quindi ricadere tra i dirigenti della stessa, poiché l’efficacia della sua azione, per come è stata definita, sembra dipendere proprio dalla sua appartenenza ad essa (deve operare a “difesa” della società).

Contestualmente però, gli stessi documenti sottolineano l’opportunità di uno stretto collegamento funzionale l’OdV e d il RPC, così da evitare sovrapposizioni, inefficienze organizzative e duplicazioni di controlli. Sembrerebbe quindi prefigurarsi come possibile soluzione la nomina a RPC di un soggetto interno all’ente, che sia anche componente dell’OdV. Ciò comporta la necessità di individuare una figura interna che non abbia responsabilità operative (ad es. il responsabile dell’Internal Audit). Nel caso di un OdV monocratico, OdV e RPC coinciderebbero, offrendo spunto a nuovi dubbi.

A sostegno della possibile sovrapposizione dei ruoli, alcuni commentatori, partendo dalla rivendicazione di una maggior autonomia organizzativa da riconoscere alle imprese, seppur a controllo pubblico, sostengono che non si possa escludere a priori la coincidenza del RPC con l’OdV, o con altri organi sociali.

Un ulteriore livello di complessità è portato dalla disciplina in materia di trasparenza e integrità (D.Lgs 33/2013): nel caso delle società controllate dalla PA, lo stesso RPC assume generalmente anche il ruolo di Responsabile per la trasparenza (RPT), prassi dettata dal buonsenso e supportata dalle LG ANAC.

Se consideriamo l’iniziale posizione del PNA che prevedeva la possibilità di coincidenza tra OdV e RPC, la stessa cosa poteva avvenire con riferimento al responsabile per la trasparenza (RPT). Come già precisato, le LG ANAC hanno poi preso una direzione diversa.

Nelle stesse LG, con riferimento alle società partecipate, che sono tenute all’adozione del Modello ai sensi del D.Lgs 231/01, ma non a rispettare la normativa sull’anticorruzione, si suggerisce di incaricare un soggetto della “funzione di controllo e di monitoraggio degli obblighi di pubblicazione”, indicando preferibilmente l’OdV. Questa specificazione sembrerebbe indicare che l’ANAC abbia inteso rimarcare che ciò non possa essere previsto nel caso delle società controllate. Nel caso delle partecipate, inoltre, così come ribadito nell’Allegato 1 alle LG ANAC, gli obblighi di pubblicazione dei dati sono limitati alle attività di pubblico interesse da esse svolte.

Al di là della coincidenza o meno dei suddetti organismi di controllo, che rimane comunque un ambito di evidente incertezza normativa e interpretativa, passando ad esaminare l’applicazione pratica delle norme ci si imbatte in ulteriori criticità. I contenuti del Piano di prevenzione della corruzione (PPC) dovrebbero essere definiti in modo coerente con quanto riportato nel Modello e nel piano delle verifiche dell’OdV; ciò al fine di perseguire un’efficiente suddivisione dei compiti e un’efficacie strutturazione dei flussi informativi, a beneficio della società. La possibile modalità di integrazione tra Modello e PPC indicata dagli esperti, dovrebbe avvenire con l’inclusione del secondo quale sezione distinta del primo: il PPC diverrebbe quini un “capitolo” del più esteso Modello e, di conseguenza, l’OdV dovrebbe estendere i propri controlli anche alla materia trattata nel PPC (procedure in esso richiamate, aree di controllo e così via).

SI apre quindi necessariamente la riflessione in merito al profilo di responsabilità che il Decreto attribuisce all’OdV: infatti, tale organismo è tenuto a vigilare solo nel caso in cui sia rinvenibile l’interesse o vantaggio dell’ente e, senza entrare nel merito dei discussi profili di responsabilità penale, può certamente rispondere di una responsabilità civilistica, derivante dalla negligenza nell’esercizio dei suoi doveri di vigilanza. Dal canto suo il RPC dovrebbe vigilare sulle condotte e diffondere una cultura della legalità, facendo riferimento ai contenuti del PPC ed il diverso profilo di responsabilità rinvenibile per tale organismo è riconducibile a quello del dirigente della PA, aspetto – per altro – di non chiara applicazione nell’ambito di rapporti di lavoro di diritto privato. E’ evidente quindi che la coincidenza dei suddetti organismi non può essere intesa nel senso di una totale sovrapponibilità dei ruoli, ma nella logica di un’integrazione funzionale, in cui uno dei componenti dell’OdV, in quanto RPC, integra l’attività di vigilanza con le verifiche ed i controlli previsti nell’ambito della L.190. Sia per l’OdV, sia per l’RPC rimane poi aperto il tema delle possibili interazioni con la funzione di Internal Audit.

Quanto sopra esposto può essere replicato con riferimento al RPT componente dell’OdV.

La soluzione ipotizzata va quindi attentamente valutata con riferimento al tema di fondo, che attiene alla diversa responsabilità dell’OdV, del PPC e del RPT, derivante delle differenti finalità che le norme attribuiscono ai suddetti organismi. In tale ambito si ribadisce la necessità che sia il PPC, sia il PT, qualora integrati nel Modello, ne costituiscano sezioni distinte e ben identificabili, al fine di indirizzare in modo trasparente l’operato dei diversi organismi, delineandone con chiarezza ruoli e responsabilità.

Indipendentemente dalla coincidenza dei due organismi, si possono rinvenire altre possibili interazioni, al fine di migliorare l’efficienza e l’efficacia dell’attività dell’OdV e del RPC:

  • La collaborazione nell’aggiornamento del Modello del PPC e del documento di risk assessment;
  • Il monitoraggio congiunto dell’aggiornamento legislativo;
  • La condivisione delle procedure che applicano i “protocolli” di controllo previsti nel Modello con riferimento alla prevenzione dei reati contro la PA e alla corruzione tra privati,
  • La definizione di flussi informativi integrati, relativamente all’ambito di interesse comune ai due organismi di controllo, sia con l’ente, sia tra gli stessi.

Le suddette interazioni favoriscono la sovrapponibilità di alcune fasi di lavoro, almeno per quanto concerne le tematiche condivise e fanno emergere la necessità di incontri periodici tra i due organismi e con le funzioni aziendali interessate, oltre che l’opportunità di definire e condurre congiuntamente il programma dei controlli, evitando la duplicazione delle attività nell’ambito delle aree di interesse comune.

In quest’ottica, i due organismi dovrebbero lavorare insieme anche alla pianificazione della formazione e comunicazione, nonché alla definizione del sistema sanzionatorio.

Anche in questo caso, quanto sopra esposto può essere replicato con riferimento al rapporto tra RPT e OdV.

In conclusione risulta evidente, seppur nell’ambito di una normativa complessa e tutt’ora in evoluzione, che OdV RPC ed RPT, come tutti gli organismi che contribuiscono al rispetto delle regole e delle norme, possano divenire utili strumenti di diffusione di una nuova cultura d’impresa improntata alla responsabilità, intesa come rispetto della legalità, trasparenza e correttezza nella gestione. Perché ciò sia possibile occorre un forte commitment da parte dei vertici delle società, che si deve riverberare in un adeguato sistema di governance.