Garanzia “a prima richiesta” e art. 1957 c.c.
di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDFNell’ambito delle garanzie personali, la clausola “a prima richiesta” riveste un ruolo cruciale per il creditore, in quanto assicura l’astratta disponibilità del garante sin dal primo sollecito scritto, senza necessità di ulteriori accertamenti o eccezioni di merito. Ne nasce, però, un apparente conflitto con l’art. 1957 cod. civ., che impone al creditore di esercitare l’azione giudiziale nei confronti del garante entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale, pena la decadenza del diritto di rivalersi.
Un’attenta lettura della giurisprudenza di legittimità, e in particolare della sentenza Cass. n. 22346/2017, scioglie il nodo interpretativo: laddove la pattuizione combinata preveda sia la garanzia “a prima richiesta” sia il richiamo al termine decadenziale semestrale, il rinvio all’art. 1957 cod. civ. deve intendersi riferito al solo termine e non alla modalità esclusivamente giudiziale di esercizio del diritto. Ne consegue che, per scongiurare la decadenza, non occorre proporre un’azione in tribunale entro il termine convenuto, ma è sufficiente un’iniziativa stragiudiziale — ad esempio una diffida al garante — entro i sei mesi stabiliti (di analogo tenore sono le conclusioni cui perviene il Tribunale di Milano con la sentenza 1° aprile 2025, n. 2734).
Questa interpretazione trova conforto anche laddove la disciplina dell’art. 1957 cod. civ. riaffiori in contratti di garanzia passati al vaglio di legittimità dall’Autorità Garante della Concorrenza, come nel caso delle clausole modello ABI dichiarate parzialmente nulle. Anche in tali ipotesi, infatti, il principio non muta: il creditore, per conservare il diritto, può validamente inviare al fideiussore una semplice richiesta scritta di adempimento, senza attendere o iniziare un giudizio.
Al riguardo, la recente Cass. n. 5157/2025 ha stabilito che, ove l’applicazione dell’art. 1957 cod. civ. non derivi da una scelta pattizia, ma dalla pronuncia di nullità parziale della clausola derogatoria contenuta nel negozio di garanzia (perché ritenuto conforme allo schema ABI giudicato anticoncorrenziale dall’Autorità Garante), secondo la tradizionale esegesi di tale norma, l’impedimento della decadenza si determina anche solo con un’attività extragiudiziale nei confronti del garante, poiché «se il rinvio si intendesse anche alla previsione di un’azione giudiziale, la garanzia non sarebbe più a prima richiesta, essendovi palese contraddizione nel postulare una volontà contrattuale di imporre al garante l’adempimento dell’obbligazione di garanzia a semplice richiesta e senza possibilità di eccezioni (Cass. Sez. 3 Sentenza n. 22346 del 26/9/2017)».
Solo un’intesa contrattuale espressa in termini più stringenti — ossia non solo rinviando al termine, ma regolando altresì la forma giudiziale dell’azione — potrebbe giustificare l’obbligo di proporre domanda giudiziale a pena di decadenza. Ma, in mancanza di tale esplicita previsione, la ratio della garanzia “a prima richiesta” verrebbe vanificata: non potrebbe più parlarsi di “semplice richiesta” se, di fatto, fosse necessaria una causa in tribunale. A conferma di ciò, la stessa Corte, in precedenti pronunce (tra cui Cass. n. 13078/2008 e Cass. n. 30185/2022), ha sottolineato come il dettato contrattuale debba sempre essere interpretato in maniera sistematica, armonizzando le clausole tra loro e con i principi generali di buona fede e correttezza.
In definitiva, l’orientamento consolidato appare non solo coerente con il dettato normativo e con la giurisprudenza di legittimità, ma anche essenziale per preservare il valore pratico e la tempestività della garanzia “a prima richiesta”. Esso garantisce al creditore la flessibilità di agire rapidamente, senza l’onere immediato di un procedimento giudiziario, e al sistema contrattuale la certezza del diritto, in linea con le esigenze di chiarezza e ragionevolezza proprie del nostro ordinamento.
Occorre evidenziare che le esigenze di tutela del garante consumatore possono comportare significativi limiti all’applicazione delle clausole derogatorie dell’art. 1957 c.c.
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