11 Luglio 2017

Doppia delibera di esclusione e legittimazione ad impugnare del socio escluso: non basta impugnare solo la prima

di Adele Sangrigoli Scarica in PDF

Tribunale di Milano, Sez. Spec. Impr., 10 novembre 2016 – Presidente Riva Crugnola – Relatore Mambriani

[1]   Legittimazione ad agire – interesse ad agire – società cooperativa – delibera assembleare di esclusione del socio – impugnazione  (C.c. artt. 2533, 2377; C.p.c. artt. 89, 100)

[2] Doppia delibera di esclusione – mancata impugnazione della seconda delibera – legittimazione ad agire – carenza sopravvenuta (C.c. artt. 2533, 2377; C.p.c. artt. 89, 100)

 [1] Ai fini dell’impugnazione delle delibere sociali, la qualità di socio deve sussistere non solo al momento della proposizione dell’azione, ma anche al momento della decisione della controversa, ad eccezione dell’unico caso in cui il venir meno della qualità di socio sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità è oggetto di contestazione.

[2] Nel caso in caso di plurime delibere di esclusione, il socio è tenuto ad impugnare anche le successive, pena la perdita della qualità di socio e dunque la legittimazione ad agire a decorrere dalla data di comunicazione della delibera non impugnata.

CASO

[1-2] Tizio conveniva in giudizio Alfa, società cooperativa a responsabilità limitata, per vedere annullata la delibera con la quale era stata disposta la sua esclusione dalla società.

Alfa si costituiva in giudizio chiedendo l’integrale rigetto della domanda attorea ed eccependo, nel merito, la sopravvenuta carenza di interesse ad agire in capo all’attore, in considerazione dell’adozione nei confronti del medesimo di una ulteriore successiva delibera di esclusione – contrariamente alla prima, non impugnata – conseguente al venir meno in capo ad esso dei requisiti previsti per la sua partecipazione alla cooperativa.

SOLUZIONE

[1-2] Il Tribunale di Milano dichiara la sopravvenuta improcedibilità della domanda di parte attrice sulla scorta del principio, pacifico in diritto, in virtù del quale la qualità di socio costituisce condizione di ammissibilità dell’azione di impugnazione delle deliberazioni sociali ed essa deve sussistere tanto nel momento in cui l’azione è proposta, quanto nel corso di tutto il processo, ai fini della corretta proposizione e prosecuzione dell’azione. Benché la legittimazione ad agire sia comunemente ritenuta un requisito di ammissibilità della domanda, il Tribunale parla di “improcedibilità” probabilmente per sottolineare che, nel caso deciso, il difetto di legittimazione ad agire non è originario ma sopravvenuto.

QUESTIONI

[1-2] La sentenza in commento ribadisce il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in virtù del quale l’azione di annullamento delle delibere assembleari di una società per azioni, disciplinata dall’art. 2377 c.c., presuppone, quale requisito di legittimazione, la sussistenza della qualità di socio dell’attore anche al momento della decisione della controversia, tranne nel caso in cui il venir meno di tale qualità sia diretta conseguenza della deliberazione la cui legittimità egli contesta (cfr. sul punto, Cass., 17 ottobre 2014, n. 22784; Cass., 25 settembre 2013, n. 21889 e Cass., 7 novembre 2008, n. 26842). Nello stesso senso si era già pronunciata la stessa Sezione da cui proviene la sentenza in commento (Trib. Milano, Sez. Spec. Impr., 29 agosto 2013, n. 11200, in www.Giurisprudenzadelleimprese.it), la quale ha evidenziato che, dopo la sua uscita dalla società, l’attore può impugnare una deliberazione assembleare adottata al tempo in cui egli era ancora socio soltanto “quando sia titolare di un diritto attuale che risulti leso dalla deliberazione stessa”. In caso contrario, infatti, è possibile ricorrere solo altri strumenti di tutela, essenzialmente di tipo risarcitorio, la cui attuazione può anche, se occorra, implicare l’accertamento incidentale dell’illegittimità della deliberazione societaria lesiva, ma che rimangono comunque confinati al di fuori del circoscritto ambito dell’azione di annullamento ex art. 2377 c.c. Secondo tale argomentare, se l’annullamento della deliberazione può condurre al ripristino della qualità di socio dell’attore, e ciò costituisce giustappunto una delle ragioni per le quali la deliberazione viene impugnata, sarebbe logicamente incongruo, e “si porrebbe insanabilmente in contrasto con i principi enunciati dall’art. 24 Cost., comma 1, l’addurre come causa del difetto di legittimazione proprio quel fatto che l’attore assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti”.

Per identità di ratio, la decisione in commento estende il medesimo principio all’impugnazione delle delibere di esclusione del socio di cooperativa, regolata dall’art. 2533, comma 3 c.c. (a proposito dell’impugnativa di delibera assembleare da parte di un socio escluso dalla società cooperativa, cfr. Cass., 13 gennaio 1988, n. 181).

Il Tribunale precisa tuttavia che la speciale legittimazione ad impugnare del socio escluso viene meno a fronte di una seconda delibera di esclusione. Proprio dalla mancata impugnazione di tale seconda delibera discenderebbe, ad avviso del Collegio, l’improcedibilità della impugnazione avverso la prima, perché l’attore, nel rimanere inerte sul secondo atto di esclusione, avrebbe definitivamente perso la qualità di socio a far data dalla comunicazione della seconda delibera rimasta non impugnata, con la conseguente sopravvenuta perdita di legittimazione ad impugnare.

A parere di chi scrive, l’onere di impugnare anche la seconda delibera dovrebbe trovare un preciso limite rappresentato dalla necessità di scongiurare il ricorso sistematico da parte della Società a “delibere-fotocopia” aventi, cioè, identico contenuto e reiterate nel tempo in modo strumentale, all’unico fine di disincentivare la coltivazione dell’impugnazione da parte del socio. Tale pratica infatti renderebbe concretamente molto più gravoso l’esercizio del “diritto di difesa” da parte del socio escluso, al quale viene astrattamente riconosciuto il diritto di contestare la legittimità della sua esclusione e di far sopravvivere il proprio status di socio fino a quando il giudice confermi la legittimità della deliberazione impugnata.

In questo senso, si ritiene che l’indagine volta a scongiurare il rischio prospettato possa utilmente svolgersi mediante il ricorso a quei criteri enucleati dalla giurisprudenza amministrativa, alla stregua dei quali è possibile individuare la natura meramente confermativa di un atto rispetto al precedente. Così Cons. Stato, 30 maggio 2017, n. 2564, ha chiarito che per stabilire se un atto sia meramente confermativo – e perciò tale da non gravare l’interessato dall’onere di un’ulteriore impugnazione – o di conferma in senso proprio – e, quindi, autonomamente lesivo e impugnabile – occorre verificare se l’atto successivo sia stato adottato o meno senza una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi. Ne consegue che non può considerarsi meramente confermativo rispetto ad un atto precedente l’atto la cui adozione sia stata preceduta da un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, giacché solo l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio, sia pure mediante la rivalutazione degli interessi in gioco e un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la fattispecie considerata, può dare luogo a un atto propriamente di conferma, in grado, come tale, di costituire un provvedimento diverso dal precedente e quindi suscettibile di autonoma impugnazione.