9 Marzo 2021

Divieto di venire contra factum proprium e controversie bancarie

di Fabio Fiorucci, Avvocato Scarica in PDF

Il brocardo “nemo potest venire contra factum proprium” valorizza i comportamenti coerenti e non contraddittori: la parte che intende far valere un diritto non deve porsi in contraddizione con un comportamento da essa stessa assunto in precedenza (Cass. 13.1.2009, n. 460: la rinuncia ad un diritto, se pure non può essere presunta, può tuttavia desumersi da un comportamento concludente, che manifesti, in quanto incompatibile con l’intenzione di avvalersi del diritto, la volontà di rinunciare; Trib. Torino 2.2.2015: il divieto – argomentabile e desumibile dall’art. 1175 c.c. – di venire contra factum proprium, impone ai soggetti giuridici l’obbligo di coerenza ed esclude la possibilità di invocare la tutela giuridica, quando essa si ponga in contrasto con comportamento in antecedenza tenuto da colui che la richiede).

Secondo la Cassazione, gli artt. 1175 e 1375 c.c. autorizzano a valutare «il comportamento del contraente titolare di una situazione creditoria o potestativa, che per lungo tempo trascuri di esercitarla e generi così un affidamento della controparte nell’abbandono della relativa pretesa, come idoneo a determinare la perdita della stessa situazione soggettiva. La dottrina tedesca parla in questi casi di Verwirkung come di una sorta di decadenza derivante dal divieto, più familiare agli ordinamenti latini, di venire contra factum proprium. Si ha così la preclusione di un’azione, o eccezione, o più generalmente di una situazione soggettiva di vantaggio, non per illiceità o comunque per ragioni di stretto diritto, ma a causa di un comportamento del titolare, prolungato, non conforme ad essa e perciò tale da portare a ritenere l’abbandono» (così Cass. n. 9924/2009).

Più in dettaglio, Cass. n. 23382/2013, ha chiarito che la c.d. teoria della Verwikung esprime il principio, basato sulla buona fede, secondo cui, anche prima del decorso del termine prescrizionale, il mancato esercizio del diritto, protrattosi per un conveniente lasso di tempo, imputabile al suo titolare e che abbia fatto sorgere nella controparte un ragionevole ed apprezzabile affidamento sul definitivo non esercizio del diritto medesimo, porta a far considerare che un successivo atto di esercizio del diritto in questione rappresenti un caso di abuso del diritto, nella forma del ritardo sleale nell’esercizio del diritto, con conseguente rifiuto della tutela, per il principio della buona fede nell’esecuzione del contratto.

Tale impostazione, ha però precisato la giurisprudenza di legittimità, non può avere ingresso nell’ordinamento italiano, per il quale il solo ritardo nell’esercizio del diritto, per quanto imputabile al titolare del diritto stesso e per quanto tale da far ragionevolmente ritenere al debitore che il diritto non sarà più esercitato, non può costituire motivo per negare la tutela giudiziaria dello stesso, salvo che tale ritardo sia la conseguenza fattuale di un’inequivoca rinuncia tacita o modifica della disciplina contrattuale (Cass. n. 23382/2013, che richiama Cass. n. 5240/2004).

Il divieto di venire contra factum proprium è stato episodicamente richiamato dalla giurisprudenza di merito, secondo cui l’omessa contestazione per anni degli estratti conto, la chiusura del conto corrente mediante giroconto del saldo scoperto su un altro conto corrente bancario ed il lunghissimo tempo trascorso legittimano a ritenere che il cliente abbia sostanzialmente rinunciato a contestare l’applicazione di interessi ultralegali, potendo tale rinuncia desumersi da un comportamento concludente che, interpretato alla luce dei principi di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., manifesti, in quanto incompatibile con l’intenzione di avvalersi del diritto, la volontà di rinunciare (Trib. Ravenna 6.6.2012; in argomento vedi anche Trib. Treviso 28.8.2013, secondo cui la deduzione della violazione del divieto di venire contra factum proprium da parte della banca investe il giudice del delicato compito di valutare comparativamente la gravità della patologia che riguarda i negozi impugnati e, d’altro canto, l’intensità e la meritevolezza dell’affidamento della controparte contrattuale fondato sull’asserita acquiescenza del cliente).

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