20 Febbraio 2018

Dichiarazione giudiziale di illegittimità del licenziamento disciplinare

di Evangelista Basile Scarica in PDF

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 27 dicembre 2017, n. 30985

Contestazione disciplinare – Tardività – Licenziamento – Illegittimità – Reintegrazione –Indennità

MASSIMA

Un ritardo notevole e non giustificato della contestazione dell’addebito posto alla base del licenziamento per giusta causa rappresenta una violazione del principio di buona fede e della volontà delle parti nell’attuazione del rapporto di lavoro. La dichiarazione giudiziale di illegittimità di un tale licenziamento disciplinare comporta perciò l’applicazione della sanzione dell’indennità come prevista dal quinto comma dello stesso art. 18: un’indennità risarcitoria onnicomprensiva di 12-24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

COMMENTO

Il caso in esame ha origine nel licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore a seguito di una contestazione disciplinare formulata tardivamente, ovvero a distanza di circa due anni dalla circostanza contestata. La domanda di reintegrazione formulata dal lavoratore, introdotta in base al rito di cui alla legge 92. Del 2012 (legge “Fornero”), fu accolta in fase sommaria, mentre il giudice dell’opposizione ritenne applicabile la sola tutela indennitaria. La Corte d’Appello, contrariamente, ha ritenuto nullo il licenziamento per mancanza della contestazione immediata, posto che l’inerzia di durata ragguardevole era significativa della rinunzia della parte datoriale all’esercizio del diritto potestativo di recesso. Il datore di lavoro proponeva quindi ricorso per cassazione, dove, da ultimo, veniva cassata la sentenza della corte territoriale. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha risolto il contrasto giurisprudenziale insorto sulla tutela applicabile in materia di licenziamento nel caso di tardività della contestazione disciplinare a seguito dell’introduzione dell’art. 1, comma 42, della legge n. 92/2012. Il contrasto registra infatti due diversi orientamenti: un primo orientamento che nega il carattere sostanziale al vizio di intempestività della contestazione, con conseguente applicazione della sola tutela indennitaria, mentre il secondo orientamento reputa invece l’immediatezza alla stregua di un elemento costitutivo del licenziamento con conseguente applicazione della tutela reintegratoria anche nel quadro dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 novellato dalla disposizione suddetta. La Corte ha escluso che la tardività della contestazione  possa essere sanzionata  con il rimedio della tutela reale piena di cui al comma 1 dell’art. 18, concernente specifiche ipotesi di nullità o inefficacia del licenziamento, o con il rimedio della tutela reintegratoria attenuata di cui al quarto comma concernente ipotesi di insussistenza del fatto contestato o di riconducibilità del fatto stesso a previsioni collettive di applicazione di sanzione conservativa, non ricorrendo nel caso esaminato alcuna delle ipotesi suddette. La Corte ha però altresì escluso l’applicazione della tutela indennitaria debole avendo attribuito al principio di tempestività della contestazione una valenza più importante del semplice rispetto delle regole, pur esse essenziali e volta a garantire al lavoratore una difesa effettiva (e) sottrarlo al rischio di un arbitrario differimento dell’inizio del procedimento disciplinare, con conseguente violazione del suo diritto di difesa. Quindi, se il datore di lavoro viola i principi scolpiti negli artt. 1175 (comportamento secondo correttezza) e 1375 (esecuzione di buona fede) c.c., ritardando senza un’apprezzabile giustificazione la contestazione disciplinare, la conclusione non può essere che l’applicazione del quinto comma dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, attribuendo al lavoratore un’indennità risarcitoria onnicomprensiva pari a 12-24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (diversamente, qualora le norme di contratto collettivo o la stessa legge dovessero prevedere dei termini per la contestazione del addebito disciplinare, la relativa violazione verrebbe attratta, in quanto caratterizzata da contrarietà a norma di natura procedimentale, nell’alveo di applicazione del sesto comma del citato art. 18, che attribuisce al lavoratore un’indennità risarcitoria onnicomprensiva di 6-12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto). Per le suesposte ragioni, la Cassazione ha accolto il ricorso e cassato l’impugnata sentenza.

Articolo tratto dalla Rivista Euroconference “IL GIURISTA DEL LAVORO”