7 Marzo 2016

Deposito di copia della sentenza impugnata in appello (art. 347, co. 2, c.p.c.)

di Lidia Carrea Scarica in PDF

Cass., sez. I, 16 novembre 2015, n. 23395 (sent.)

Pres. Di Palma – Rel. Giancola

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Impugnazioni civili – Appello – Improcedibilità – Deposito di copia della sentenza impugnata 

(Cod. proc. civ., artt. 347, co. 2, 348)

 [1] Quando, in sede di appello, la parte appellante deposita copia non integrale della sentenza di primo grado, la Corte di merito non può dichiarare immediatamente l’improcedibilità dell’impugnazione, ma deve assegnare alla parte un termine per ri-depositare una copia completa del provvedimento impugnato.

CASO
[1] La parte soccombente in primo grado propone appello costituendosi nei termini di rito e inserendo nel proprio fascicolo di parte la sentenza impugnata, così come prescritto all’art. 347, co. 2, c.p.c. La Corte di merito pronuncia l’improcedibilità dell’impugnazione in forza dell’irrituale costituzione di parte appellante per la mancata allegazione di copia integrale della sentenza appellata.

Così, la parte (nuovamente soccombente) propone ricorso per cassazione, denunziando la violazione e falsa applicazione degli artt. 347 e 348 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., censurando, nello specifico, la declaratoria d’improcedibilità del giudizio d’appello correlata al deposito di copia incompleta della sentenza di primo grado.

SOLUZIONE
[1] La problematica attiene al mancato deposito, in sede di appello, della sentenza, o parte di essa, pronunciata dal giudice di primo grado. La Suprema Corte, nel caso de quo, cassa la sentenza con rinvio adducendo che quando, in sede di appello, risulta l’irrituale costituzione dell’appellante per la mancata allegazione di copia integrale della sentenza appellata, il giudice «se non sia in grado di decidere dell’appello in base al complesso dei documenti disponibili, prima di dichiarare l’improcedibilità o comunque di definire in rito il gravame di merito, deve assegnare alla parte un termine per provvedere al deposito di una copia completa della sentenza impugnata».

QUESTIONI
[1] La decisione è conforme all’orientamento maggioritario della Corte di legittimità (v. per tutte Cass., sez. III, 25 luglio 2006, n. 16938).

La questione attiene al significato intrinseco del precetto enunciato all’art. 347, co. 2, c.p.c., secondo cui l’appellante deve inserire nel proprio fascicolo una copia della sentenza di prime cure. Invero, lo scopo ultimo della norma mira a garantire soltanto la possibilità per il giudice d’appello di esaminare il testo della sentenza impugnata; sicché, secondo la pronuncia de quo, la norma in commento non richiede che tale copia sia autentica. Infatti, la stessa S.C. precisa che la sottoscrizione del cancelliere in calce alla lista dei documenti del fascicolo di parte attesterebbe soltanto il deposito della sentenza stessa, ma non anche l’autenticità e conformità rispetto al provvedimento originale.

A tale assunto può collegarsi un filone giurisprudenziale parallelo che, partendo dal fine conoscitivo insito nell’art. 347, co. 2, c.p.c., ritiene possibile la piena conoscibilità del contenuto della sentenza impugnata anche se con modalità diverse da quelle prescritte, purché idonee a far decidere dell’appello. Nello specifico, si è affermato che non può trovare applicazione l’improcedibilità dell’appello per mancato deposito di copia della sentenza impugnata se al momento della decisione se ne trovi comunque allegata agli atti una copia (Cass., 20 aprile 2006, n. 9254), ovvero se il suo contenuto può ricostruirsi in base al complesso dei documenti prodotti in giudizio (Cass., 14 aprile 2005, n. 7746).

Oltretutto, un successivo filone interpretativo considera, come ulteriore ipotesi, la possibilità di desumere il contenuto della sentenza impugnata direttamente dall’atto di appello; di conseguenza, laddove ciò non sia possibile, la Corte d’appello dovrà emanare una decisione di inammissibilità per carenza degli elementi essenziali di tale atto (Cass., 11 gennaio 2010, n. 238).

Il tema è strettamente connesso con l’interpretazione dell’art. 348 c.p.c. Dopo la riforma del 1990, non è più prevista la sanzione di improcedibilità per mancato deposito del fascicolo della parte appellante (all’interno del quale trova collocazione anche la copia della sentenza impugnata).

La novità ha dato luogo a contrasti di opinioni, specie sotto il profilo delle conseguenze del mancato deposito del fascicolo, ovvero della sentenza (qualora non operino le sanatorie sopra individuate). Le soluzioni praticate sono principalmente tre: a) improcedibilità (Cass., 11 ottobre 2000, n. 13539, per quanto riguarda il fascicolo; Cass. n. 16938/2006, cit., per quanto riguarda la sentenza); b) inammissibilità (Cass., 12 febbraio 2004, n. 2728; Cass., 2 luglio 2003, n. 10404, che collega il mancato deposito della sentenza impugnata all’appello viziato per genericità dei motivi); c) rigetto nel merito (Cass., 11 luglio 2003, n. 10937; Cass., 12 maggio 1998, n. 4756).