30 Novembre 2021

Il debitore che ha adempiuto spontaneamente il precetto può agire per la ripetizione di indebito

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 8 giugno 2021, n. 15963 – Pres. Frasca – Rel. Tatangelo

Espropriazione forzata – Atto di precetto – Pagamento della somma intimata – Adempimento spontaneo – Sussistenza – Azione di ripetizione di indebito – Ammissibilità – Mancata proposizione di opposizione ex art. 615 c.p.c. – Preclusione – Insussistenza

Deve considerarsi spontaneo (e non avvenuto coattivamente, all’esito e in virtù di un processo esecutivo) l’adempimento dell’obbligazione posto in essere a seguito di intimazione di precetto di pagamento, così come quello che eventualmente avvenga anche dopo il pignoramento, ma prima che il processo esecutivo sia definito con la distribuzione del ricavato dalla vendita dei beni pignorati o con la relativa assegnazione, nonché quello effettuato allo scopo di evitare il pignoramento stesso, onde, in tutte tali ipotesi, non può in alcun modo ritenersi preclusa – in virtù del pagamento stesso – la successiva ordinaria azione di ripetizione di indebito; a tale fine, nessun rilievo può attribuirsi alla possibilità per l’intimato di proporre opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., la quale resta un rimedio facoltativo la cui mancata proposizione non ha di per sé, sul piano sostanziale, alcun effetto preclusivo della possibilità per il debitore di esperire una successiva azione di ripetizione di indebito.

CASO

Una società che si era vista notificare alcuni atti di precetto fondati su titoli esecutivi giudiziali, dopo avere corrisposto spontaneamente i relativi importi, agiva nei confronti del beneficiario dei pagamenti per ottenere la restituzione di quanto versato, perché ritenuto non dovuto, nonché il risarcimento dei danni.

La domanda veniva accolta in primo grado, ma la corte d’appello adita riformava la sentenza, affermando che l’azione di ripetizione di indebito doveva reputarsi inammissibile, risultando preclusa dalla mancata proposizione, avverso gli atti di precetto notificati, dell’opposizione ex art. 615, comma 1, c.p.c.

La società escussa ricorreva, quindi, per cassazione, contestando la decisione impugnata nella parte in cui aveva ravvisato nella mancata opposizione a precetto una ragione di inammissibilità dell’autonoma azione di ripetizione di quanto spontaneamente pagato al di fuori di un processo esecutivo (nel caso di specie nemmeno avviato).

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, affermando che il principio in base al quale colui che venga assoggettato a espropriazione forzata e ometta di esperire le opposizioni endoesecutive non può avviare azioni volte a rimettere in discussione e a sovvertire quanto stabilito dal provvedimento giurisdizionale che definisce il processo esecutivo non è applicabile nel caso di pagamento spontaneo avvenuto a seguito della notifica dell’atto di precetto.

QUESTIONI

[1] Nella vicenda da cui trae origine l’ordinanza che si annota, il destinatario di alcuni atti di precetto pagava spontaneamente gli importi intimati sulla base di titoli esecutivi di formazione giudiziale, salvo poi agire per la ripetizione delle somme così corrisposte.

Nel riformare la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda, i giudici di appello avevano ritenuto che l’azione fosse preclusa per il fatto che il debitore intimato non aveva svolto opposizione a precetto ai sensi dell’art. 615, comma 1, c.p.c., così facendo applicazione del principio – di matrice pretoria – in base al quale, dopo la conclusione del processo esecutivo e una volta scaduti i termini per proporre le relative opposizioni, non è possibile esperire altri rimedi di carattere generale (quali, per esempio, l’azione di ripetizione dell’indebito o l’azione di arricchimento senza causa) che possano vanificare gli effetti e i risultati dell’esecuzione.

Tale principio, che sottende l’esigenza di rendere stabile ed effettiva la giurisdizione esecutiva, onde non frustrarne i risultati attraverso strumenti diversi dalle azioni tipicamente e appositamente previste dal legislatore a tutela di chi vi risulti assoggettato, è ritenuto pacifico dai giudici di legittimità, sebbene incontri, in realtà, numerose critiche, soprattutto da parte della dottrina, che ravvisa un’insanabile contraddizione nel riconoscere gli effetti propri del giudicato formatosi ex artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. al provvedimento conclusivo di un processo che non ha, per sua stessa natura, funzione cognitiva e non è strutturalmente idoneo a condurre a un accertamento dei crediti azionati o di altri aspetti di carattere squisitamente sostanziale.

Nel caso di specie, tuttavia, il principio in questione non poteva venire in considerazione (come, in effetti, hanno rilevato i giudici di legittimità, cassando proprio per questo motivo la sentenza impugnata), dal momento che, attesa la sua stessa ratio, non può in alcun modo essere esteso al di fuori dell’ipotesi in cui l’adempimento dell’obbligazione sia avvenuto in via coattiva, vale a dire all’esito e in virtù di un processo esecutivo ormai definitivamente chiuso con la soddisfazione (almeno parziale) dei creditori; solo in simili fattispecie (e, ovviamente, a condizione che non siano state, nel frattempo, esperite e accolte eventuali opposizioni endoesecutive, idonee a incidere sui risulti dell’azione esecutiva) può, al limite, predicarsi l’inammissibilità di iniziative giudiziali volte a scardinare e a sovvertire quanto stabilito dal provvedimento conclusivo del processo esecutivo.

Al contrario, quando il pagamento sia avvenuto a fronte e in conseguenza della notifica del precetto (che costituisce pacificamente un atto avente natura stragiudiziale, in quanto propedeutico all’avvio dell’azione esecutiva, ma rispetto a essa antecedente, visto che l’espropriazione forzata ha inizio con il pignoramento), non si può tecnicamente parlare di adempimento coattivo, ovvero effettuato all’esito o in virtù di un processo esecutivo, dato che quest’ultimo non è ancora iniziato.

Per quanto possa risultare apparentemente contraddittorio qualificare come spontaneo il pagamento effettuato a seguito della notifica del precetto, giacché – a ben vedere – esso è indotto proprio dall’intimazione ivi contenuta, è nondimeno indubbio che non si tratta di un esito riconducibile a un processo esecutivo (in quel momento, come detto, non ancora iniziato), sicché si è comunque al di fuori dei confini entro i quali può trovare applicazione il principio che, nella fattispecie esaminata dall’ordinanza che si annota, i giudici di secondo grado avevano invocato per dichiarare inammissibili le domande proposte dalla società intimata.

Di conseguenza, non può nemmeno individuarsi una preclusione processuale per il fatto che, avverso il precetto, non fosse stata esperita l’opposizione di cui all’art. 615, comma 1, c.p.c.

A conferma di tale conclusione, d’altra parte, milita il fatto che anche l’art. 494 c.p.c., disciplinando il pagamento effettuato nelle mani dell’ufficiale giudiziario onde evitare il pignoramento, consente al debitore esecutato di versare la somma per cui si procede con riserva di ripeterla (comma 2), facendo salva, in questo modo, la possibilità di agire successivamente in separata sede di cognizione con l’azione di ripetizione d’indebito.

Se, dunque, la ripetizione è ammessa anche quando il pagamento si collochi in contestualità con l’avvio dell’esecuzione forzata (nonché, in ogni caso, successivamente alla notifica dell’atto di precetto), a maggior ragione non può essere esclusa allorché sia effettuato in un momento addirittura precedente, quando – per l’appunto – un processo esecutivo non è ancora iniziato.

Ma il principio di diritto enunciato nell’ordinanza annotata va addirittura oltre, giungendo ad affermare che, alla stessa stregua, deve considerarsi spontaneo, ossia non avvenuto all’esito e in virtù di un processo esecutivo, anche il pagamento avvenuto nel corso di esso, ma pur sempre prima che venga definito con la distribuzione del ricavato dalla vendita dei beni pignorati o con la relativa assegnazione.

Secondo i giudici di legittimità, non poteva nemmeno attribuirsi rilievo ostativo alla proposizione dell’azione di ripetizione di indebito il fatto che l’intimato, destinatario dei precetti, non avesse reagito con l’opposizione che era legittimato a proporre ai sensi dell’art. 615, comma 1, c.p.c.

Ciò in quanto il principio che individua nella definizione del processo di esecuzione forzata una preclusione all’avvio di azioni che fuoriescono dal perimetro della sede esecutiva ha natura strettamente processuale e non sostanziale: esso, quindi, presuppone necessariamente, da un lato, l’esistenza di un processo e la sua regolare definizione e, dall’altro lato, l’immodificabilità del provvedimento giurisdizionale che esprime e incorpora tale esito sulla base dei rimedi endoprocessuali esperibili dalle parti.

D’altra parte, sebbene dall’ordinanza che si annota non emerga quale fosse la ragione posta a fondamento dell’azione di ripetizione d’indebito, non può darsi affatto per scontato che la stessa potesse essere fatta valere con un’opposizione a precetto: basti pensare al caso in cui il creditore avesse notificato l’intimazione in forza di un provvedimento (sentenza, decreto ingiuntivo, ordinanza ex artt. 186-bis, 186-ter e 186-quater c.p.c.) provvisoriamente esecutivo, che sia stato poi riformato ovvero revocato in epoca successiva al pagamento spontaneo.

È di tutta evidenza che, in una simile ipotesi, l’opposizione a precetto ex art. 615, comma 1, c.p.c. fondata sull’insussistenza di un titolo esecutivo non avrebbe potuto essere proposta, né tantomeno accolta, mentre il successivo venire meno del titolo esecutivo originariamente azionato, rendendo indebito ex post il pagamento spontaneo nel frattempo avvenuto, ne avrebbe senz’altro legittimato la ripetizione.

Un tanto conforta ulteriormente la conclusione per cui la mancata attivazione del rimedio oppositorio di cui all’art. 615, comma 1, c.p.c. non può costituire circostanza preclusiva dell’azione ex art. 2033 c.c. (essendo pacifico che la mancanza di causa debendi, ovvero l’inesistenza dell’obbligazione adempiuta, ricorre non solo quando il vincolo obbligatorio non sia mai sorto, ma pure quando sia successivamente venuto meno).

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