30 Novembre 2021

Criteri di liquidazione del compenso degli organi delle procedure concorsuali

di Giulia Ferrari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. Civ., sez. VI, 10.03.2021 n. 6806 – Pres. Scotti – Rel. Pazzi

Parole chiave: fallimento, concordato preventivo, liquidatore giudiziale, commissario giudiziale, curatore, compensi, decreto di liquidazione, nullità, onere di motivazione.

Massima:

La disciplina dall’articolo 39 L.F. impone che la complessiva determinazione del compenso dell’organo della procedura necessiti di una specifica motivazione, risultando altrimenti nullo il decreto di liquidazione; a tal fine non è sufficiente una motivazione stereotipata contenente frasi di mero stile, essendo al contrario necessaria una motivazione analitica che rappresenti l’iter logico intellettivo seguito dal Tribunale per arrivare alla liquidazione tramite espressa e dettagliata enunciazione dei criteri di quantificazione del compenso in relazione alle attività rispettivamente svolte e ai risultati conseguiti.

Disposizioni applicate: DM. 25 gennaio 2012, n. 3; Artt. 39, 165 R.D. 16 marzo 1942, n. 267.

CASO

Il Tribunale di Potenza liquidava i compensi dovuti al commissario giudiziale (dottor Tizio) e al liquidatore giudiziale (avvocato Caio), entrambi incaricati nel corso di una procedura di concordato preventivo, in misura paritetica e senza fornire particolari argomentazioni circa la quantificazione dei compensi, se non che gli stessi erano stati determinati “tenuto conto dei criteri per la determinazione del compenso al liquidatore giudiziale quale organo del concordato preventivo stabiliti dal DM 25 gennaio 2012, numero 30”, al lordo degli acconti già assegnati.

Il commissario giudiziale dottor Tizio proponeva quindi ricorso avverso il decreto, lamentando che il giudice di prime cure avesse accomunato impropriamente la richiesta di liquidazione del compenso finale del commissario giudiziale a quella del liquidatore giudiziale e facendo riferimento unicamente ai criteri di liquidazione del compenso previsti per quest’ultimo e non avesse valutato l’attività effettivamente svolta dal commissario ne’ avesse specificamente indicato i criteri e i motivi in base ai quali avesse determinato il compenso dovuto al commissario in misura paritetica a quello del liquidatore giudiziale.

SOLUZIONE

I giudici di legittimità hanno ritenuto fondato il ricorso e censurato il provvedimento di liquidazione, affermando che la disciplina dall’articolo 39 L.F. impone che la complessiva determinazione del compenso dell’organo della procedura (sia esso liquidatore o commissario giudiziale) necessiti di una specifica motivazione, risultando altrimenti nullo il decreto di liquidazione. A tal fine non è sufficiente una motivazione stereotipata contenente frasi di mero stile, essendo al contrario necessaria una motivazione analitica che rappresenti l’iter logico intellettivo seguito dal Tribunale per giungere alla liquidazione, tramite una espressa e dettagliata enunciazione dei criteri di quantificazione del compenso in relazione alle attività rispettivamente svolte ed ai risultati conseguiti.

QUESTIONI

Il peculiare caso in esame, in cui il Tribunale di Potenza ha liquidato il compenso del liquidatore e del commissario giudiziale, nominati nell’ambito della medesima procedura concordataria, in misura paritetica senza che venissero spese particolari giustificazioni o argomentazioni a sostegno della quantificazione stessa – ancorché il ricorso, nel caso in commento, sia stato proposto dal solo commissario giudiziale – consente di approfondire i criteri e le modalità con cui si dovrebbe provvedere alla liquidazione del compenso degli organi della procedura oltre che comprendere le censure a cui è suscettibile il provvedimento di liquidazione nel caso in cui tali criteri non vengano rispettati.

Va innanzitutto precisato che l’art. 165, comma 2, L.F. prevede espressamente l’applicazione al commissario giudiziale dell’art. 39 L.F.; tale richiamo implica la circostanza che la determinazione del compenso di tale organo della procedura concordataria deve essere eseguita secondo i dettami della disciplina della liquidazione del compenso del curatore, nei limiti della compatibilità.

Con riferimento alla liquidazione del compenso del curatore del fallimento la giurisprudenza della suprema Corte si è più volte espressa – interpretando lo stringato dettato normativo – indicando i criteri e l’iter logico argomentativo che debbono sostenere la quantificazione del compenso ex art. art. 39 L.F.

Da un canto, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che la complessiva determinazione del compenso del curatore debba essere specificamente motivata, risultando altrimenti nullo il decreto di liquidazione (Cass. Civ. 25532/2016, Cass. 19053/2017); dall’altro i Giudici di Legittimità hanno altresì sottolineato che a tale fine “non è sufficiente una motivazione stereotipata, contenente frasi di mero stile ed applicabili – per la loro genericità – a una serie indeterminata di casi, senza alcun riferimento a quello concreto, essendo al contrario necessaria una motivazione analitica che rappresenti l’iter logico-intellettivo seguito dal Tribunale per arrivare alla liquidazione tramite l’espressa e dettagliata enunciazione dei criteri di quantificazione del compenso, in relazione alle attività rispettivamente svolte e ai risultati conseguiti” (Cass. Civ. 16739/2018).

Si tratta, pertanto, di criteri argomentativi stringenti, che debbono essere espressi in modo dettagliato, pena la nullità del provvedimento.

L’applicazione di tali principi implica in ambito concordatario che, a fronte di una richiesta di liquidazione presentata da organi diversi della procedura concordataria, quali il commissario e il liquidatore giudiziale, la quantificazione del compenso di ciascuno di essi debba essere eseguita in modo personalizzato, attraverso una valutazione specifica delle attività svolte e dei risultati conseguiti da ciascuno, seguendo un iter logico argomentativo adeguatamente motivato non potendo essere svolta in modo “cumulativo” come avvenuto nel provvedimento impugnato.

Richiamandosi ai principi sopra illustrati, i Giudici di legittimità, nella sentenza in esame, hanno affermato che il ricorso ad una “liquidazione cumulativa e in termini coincidenti” dell’attività compiuta dal liquidatore e dal commissario giudiziale della rispettiva attività svolta non è ammissibile.

Va infatti tenuto conto della circostanza per la quale i due organi, da un lato, svolgono, nell’ambito della procedura di concordato, attività di natura diversa e di consistenza diversa; inoltre, essi intervengono in periodi diversi della procedura medesima, svolgendo la propria attività in lassi di tempo pure differenziati. Non va poi dimenticato che anche i criteri di quantificazione delle competenze professionali sono diversi in quanto, per il commissario giudiziale, occorre verificare, ai sensi del D.M. n. 30 del 2012, art. 5, commi 1 e 2, se siano state previste forme di liquidazione dei beni al fine di determinare il compenso sull’ammontare dell’attivo realizzato piuttosto che su quello inventariato, mentre per il liquidatore si fa sempre riferimento all’attivo realizzato.

Il decreto di liquidazione impugnato nel caso in commento, concludono gli Ermellini, non si è affatto attenuto ai criteri enunciati dalla giurisprudenza della medesima Corte sopra indicati, sia in quanto il Tribunale ha proceduto ad una valutazione cumulativa e non personalizzata dell’attività svolta da ciascun organo della procedura, sia per aver del tutto tralasciato di valutare in maniera specifica “la consistenza e la qualità dell’opera prestata” dal ricorrente, applicando in maniera del tutto immotivata criteri di liquidazione propri di un diverso organo della procedura.

Il Supremo Collegio cassa quindi il provvedimento rinviando al Tribunale di Potenza in diversa composizione.