9 Novembre 2021

Il creditore che abusa dell’azione esecutiva non ha diritto a ripetere le spese sostenute

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2021, n. 15077 – Pres. De Stefano – Rel. Rossetti

Esecuzione forzata – Cumulo dei mezzi di espropriazione – Interesse ad agire – Impiego fruttuoso dei mezzi processuali per la soddisfazione coattiva del credito – Insussistenza – Abuso dei mezzi processuali – Conseguenze

Il creditore non può pretendere di ripetere dal debitore le spese che conseguono alla scelta di avvalersi di mezzi di tutela più onerosi, quando disponga di strumenti alternativi che gli consentano di ottenere lo stesso grado di tutela, costituendo abuso del processo l’avvio di plurime iniziative esecutive che hanno, come unico effetto, quello di fare lievitare i costi dell’esecuzione forzata.

CASO

Un creditore, in forza dei cinque titoli esecutivi dei quali disponeva, avviava, nei confronti del proprio debitore, altrettante espropriazioni forzate presso terzi, all’esito delle quali venivano emesse cinque ordinanze di assegnazione.

In forza di queste ultime, lo stesso creditore agiva, quindi, in via monitoria e otteneva la pronuncia di cinque decreti ingiuntivi, i quali venivano, a loro volta, messi in esecuzione, sempre nelle forme dell’espropriazione mobiliare presso terzi, nei confronti del medesimo debitor debitoris (un agente della società debitrice) e pignorando il medesimo credito (le somme riscosse dall’agente nell’esercizio della propria attività, che lo stesso doveva riversare alla società preponente).

Riunite le cinque procedure esecutive, il giudice dell’esecuzione assegnava le somme pignorate e liquidava le spese, che, tuttavia, venivano reputate sottostimate dal creditore procedente, il quale, pertanto, proponeva opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione.

L’opposizione era respinta dal Tribunale di Treviso.

Avverso la sentenza così emessa, veniva interposto ricorso per cassazione.

Il ricorrente censurava, infatti, la statuizione in base alla quale erano state reputate superflue – e, come tali, irripetibili – le spese inerenti alle quattro esecuzioni avviate successivamente alla prima, sul presupposto che il creditore poteva intervenire in quest’ultima, avvalendosi degli altri titoli esecutivi dei quali disponeva, anziché promuovere contestualmente le altre.

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, ritenendo che la condotta del creditore procedente sostanziasse un abusivo utilizzo degli strumenti processuali volti a conseguire la soddisfazione coattiva del diritto, come tale immeritevole di tutela sotto il profilo della ripetizione dei costi e degli oneri sostenuti.

QUESTIONI

[1] L’ordinanza che si annota tratta la tematica dell’abuso del processo nell’ambito dell’esecuzione forzata, individuando le conseguenze che discendono da un utilizzo improprio degli strumenti offerti dall’ordinamento per ottenere la soddisfazione coattiva di un diritto.

In linea generale, l’art. 483 c.p.c. prevede la facoltà per il creditore di avvalersi cumulativamente dei diversi mezzi di espropriazione forzata messi a disposizione dalla legge, ossia di promuovere in danno del proprio debitore più azioni esecutive (dello stesso tipo o diverse, contestualmente tra loro o in rapida successione), in modo che la pretesa azionata abbia maggiori possibilità di essere completamente esaudita: un tanto è il precipitato del principio in base al quale la responsabilità patrimoniale del debitore coinvolge tutti i suoi beni presenti e futuri.

Oggigiorno, il contemporaneo avvio di più pignoramenti è senz’altro agevolato dalla previsione in forza della quale l’iscrizione a ruolo del processo esecutivo dev’essere curata dal creditore procedente in via telematica, sicché non è più necessario procedere al deposito materiale in cancelleria del titolo esecutivo (oltre che del precetto) posto a fondamento dell’esecuzione in originale, essendone sufficiente la riproduzione mediante copia informatica; ciò consente, infatti, di potere impiegare il medesimo titolo per avviare un ulteriore pignoramento, senza dovere ricorrere alla preventiva richiesta di rilascio di una ulteriore copia, secondo l’apposita procedura dettata dall’art. 476 c.p.c.

Il legislatore, per evitare eventuali eccessi del creditore, ha previsto che il debitore possa chiedere che l’espropriazione sia ridotta a uno o più mezzi, ovvero nella sua entità (come stabilito, rispettivamente, dal medesimo art. 483 e dall’art. 496 c.p.c.).

Tale contemperamento evidenzia come il potere accordato al creditore procedente non sia incondizionato, ma trovi pur sempre un limite nella sussistenza di un concreto interesse, giuridicamente rilevante e meritevole di tutela, all’avvio di più azioni esecutive in danno del proprio debitore, onde non aggravarne ingiustificatamente la posizione.

Tenuto conto di tali principi, i giudici di legittimità hanno osservato che il creditore non può pretendere di addossare al debitore le spese scaturenti dalla scelta di avvalersi di mezzi di tutela più onerosi, quando – nel caso concreto – disponga di strumenti alternativi, che consentono di ottenere lo stesso grado di tutela.

Sulla scorta dell’elaborazione giurisprudenziale che è pervenuta all’individuazione della figura dell’abuso del processo, infatti, costituisce principio generale (tanto del diritto delle obbligazioni, quanto del diritto processuale) quello in base al quale le parti debbono comportarsi secondo correttezza e buona fede.

Tale principio, nelle sue varie declinazioni, comporta il divieto di aggravare inutilmente la posizione del debitore, abusando dello strumento processuale: l’abuso è predicabile, in particolare, quando, da un lato, l’utilizzo del mezzo risulta volto a perseguire fini (illegittimi) diversi e ulteriori rispetto a quelli considerati e avuti di mira dall’ordinamento, ossia non per tutelare diritti, ma per nuocere – con intenti emulativi – alla controparte e quando, dall’altro lato, viene violato quel complesso di obblighi (di lealtà, di chiarezza, di coerenza e di fedeltà) che, secondo la coscienza generale, debbono essere rispettati nei rapporti tra i consociati, imponendo al creditore di prendere in considerazione (anche) l’interesse del debitore.

In questo senso, vi è abuso del processo quando l’iniziativa avviata da una parte è intesa a conseguire un ingiusto vantaggio, distorcendosene i fini naturali: in ambito esecutivo, un tanto si verifica in presenza di una moltiplicazione delle iniziative esecutive che, senza arrecare alcun effettivo vantaggio al creditore, sortiscono l’unico effetto di fare lievitare i costi della procedura.

Così, è stato affermato che gli strumenti del processo esecutivo, volti alla piena soddisfazione del diritto del creditore di percepire quanto non gli è stato spontaneamente pagato dal debitore, non possono essere utilizzati per vessare gratuitamente quest’ultimo, al solo scopo pratico di moltiplicare le spese di esecuzione, dovendosi sanzionare con la nullità il compimento di un atto che, anziché consentire la più rapida e piena soddisfazione delle proprie ragioni, si traduce in un mezzo di arricchimento a spese della controparte, con la conseguenza che deve reputarsi abusiva, per esempio, la notifica di un secondo atto di precetto fondato sullo stesso titolo esecutivo, quando l’intimazione di pagamento di tutti gli importi che si ritengono dovuti poteva essere effettuata già con il primo (si veda, in proposito, Cass. civ., sez. lav., 15 marzo 2013, n. 6664).

Una simile condotta, d’altro canto, oltre a essere processualmente illecita (se non altro perché si pone in contrasto con il dovere di lealtà e probità sancito dall’art. 88 c.p.c.), assume rilievo anche sotto un ulteriore profilo, atteso che, ai sensi dell’art. 66 del codice deontologico forense, l’avvocato non deve aggravare con onerose e plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte, quando ciò non corrisponda a effettive ragioni di tutela della parte assistita.

Una volta integrato l’abuso, viene da chiedersi quali siano le conseguenze che derivano in capo a chi l’ha commesso.

Da questo punto di vista, i giudici di legittimità rilevano che va senz’altro escluso il diritto di ripetere le spese superflue o – ancora peggio – fatte lievitare ad arte dal creditore, il quale, nel caso di specie, aveva triplicato le spese di procedura (eseguendo cinque pignoramenti presso terzi; chiedendo, in forza delle ordinanze di assegnazione emesse all’esito degli stessi, la pronuncia di altrettanti decreti ingiuntivi; avviando, sulla base di questi ultimi, altre cinque procedure esecutive, nelle quali era stato pignorato lo stesso credito nei confronti del medesimo debitor debitoris, il tutto in un ristrettissimo arco temporale).

D’altra parte, già in precedenza era stata dichiarata abusiva la condotta del creditore che, pur disponendo di un’ordinanza di assegnazione integralmente satisfattiva e non potendo lamentare né la mancata ottemperanza spontanea da parte del destinatario della stessa, né eventuali difficoltà di incasso, intraprenda un’altra esecuzione per munirsi di un ulteriore titolo esecutivo (in questo senso, infatti, si era espressa Cass. civ., sez. III, 9 aprile 2015, n. 7078).

La questione dell’abuso dei mezzi di espropriazione si interseca, così, con la disciplina che presidia la ripetibilità degli oneri sostenuti per dare corso all’azione esecutiva.

Va rammentato, in proposito, che, nel processo esecutivo (e, in particolare, in quello per espropriazione forzata), la regolazione delle spese non segue il principio della soccombenza (come avviene, invece, nel giudizio di cognizione, in virtù della regola dettata dall’art. 91 c.p.c.), non essendoci soccombenti da condannare al pagamento delle spese di lite in favore della parte vittoriosa, ma debitori dal patrimonio dei quali il creditore procedente ha diritto di ricavare quanto gli spetta per capitale, interessi e spese, le quali ultime rappresentano e vanno considerate, a tali effetti, accessori del credito.

Posto che, in virtù della differente regola evincibile dall’art. 95 c.p.c., il creditore può ripetere le spese in quanto l’esecuzione risulti capiente, ossia a condizione che si concluda con la realizzazione di in un attivo da distribuire, il diritto di recuperare i costi sostenuti per avviare e coltivare le plurime azioni esecutive intentate nei confronti del debitore dev’essere comunque escluso quando il cumulo dei mezzi espropriativi si traduca in un abuso, vuoi per effetto di quanto espressamente stabilito dall’art. 92 c.p.c. (in forza del quale il giudice, quand’anche pronunci la condanna alle spese, può escludere la ripetizione di quelle sostenute dalla parte vincitrice che ritenga eccessive o superflue), vuoi in virtù dell’art. 1227, comma 2, c.c. (che, fondando il principio di autoresponsabilità, può trovare applicazione anche in relazione alla violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede in ambito processuale).

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