17 Gennaio 2023

Comunione ereditaria e usucapione del bene da parte di un comunista

di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDF

Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 35067 del 29/11/2022

Possesso – effetti – usucapione – Successione ereditaria – Usucapione del bene relitto da parte del coerede prima della divisione – Possibilità – Godimento e volontà di possedere in termini di esclusività – Necessità – Onere prova – A carico dell’usucapiente – Astensione degli altri coeredi e amministrazione e utilizzo del bene – Sufficienza – Esclusione – Fondamento

Massima: “In materia di successione ereditaria, il coerede, prima della divisione, può usucapire la quota degli altri coeredi, senza necessità di invertire il titolo del possesso, allorché eserciti il proprio possesso in termini di esclusività, ossia in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare l’inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus”, della cui prova è onerato, non essendo sufficiente che gli altri partecipanti si astengano dall’uso della cosa. Peraltro, tale volontà non può desumersi dal fatto che lo stesso abbia utilizzato e amministrato il bene ereditario attraverso il pagamento delle imposte e lo svolgimento di opere di manutenzione, operando la presunzione “iuris tantum” che egli abbia agito nella qualità di coerede e abbia anticipato anche la quota degli altri”.

Disposizioni applicate

Codice Civile, articoli 714, 1140, 1141, 1146, 1158, 1164 e 1102, comma 2

[1]  Successivamente alla morte di Tizio ed in ragione di alcuni atti dispositivi intervenuti tra i di lui eredi, nonché in seguito al decesso di alcuni dei chiamati all’eredità, i beni appartenenti al defunto si trovavano in una situazione di comunione ereditaria tra diversi soggetti, titolari ciascuno di quote differenti; in particolare, secondo la ricostruzione dei giudici di merito, aditi per la divisione, l’eredità sarebbe così spettata: a Caio (avente causa di alcuni degli eredi succedutisi nel tempo) 25/35, a Sempronia 8/35, a Mevia 1/35 ed a Filana 1/35.

In occasione del giudizio di divisione, Caio rivendicava, tuttavia, la proprietà esclusiva dell’intero compendio ereditario in forza di usucapione, ma il giudice di primo grado rigettava la domanda di questi, statuendo sulla composizione della massa e sulla misura delle quote, rimettendo le parti innanzi al giudice istruttore per il completamento delle operazioni divisionali. La Corte d’appello, decidendo sulle reciproche impugnazioni proposte contro la sentenza, ha confermato il rigetto della domanda di Caio, condividendo la valutazione del primo giudice, il quale aveva escluso che fosse stata data la prova del possesso esclusivo del compendio comune.

[2] Per quanto di interesse nella presente sede, Caio resisteva con controricorso all’impugnazione della sentenza innanzi alla Corte di Cassazione, ritenendo che la Corte di Appello avesse errato rigettando la domanda di usucapione dei beni ereditari, domanda che avrebbe dovuto essere invece accolta.  A giudizio del controricorrente, infatti, non esisteva in tutta la documentazione prodotta un atto che facesse desumere un compossesso dei coeredi; al contrario, tutti i documenti accertavano che l’eredità si fosse da tempo concentrata nelle mani del suo avente causa.

La Suprema Corte ha ritenuto il motivo inammissibile. Ribadendo il proprio costante orientamento, ricorda come “il coerede può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri coeredi, senza che sia necessaria l’interversione del titolo del possesso, attraverso l’estensione del possesso medesimo in termini di esclusività, ma a tal fine non è sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall’uso della cosa, occorrendo altresì che il coerede ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui e tale da evidenziare una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus; tale volontà non può desumersi dal fatto che il coerede abbia utilizzato e amministrato il bene ereditario provvedendo al pagamento delle imposte e alla manutenzione ricorrendo la presunzione juris tantum che egli abbia agito nella qualità e che abbia anticipato le spese anche relativamente alla quota degli altri coeredi. L’onere della prova di tale dominio esclusivo sulla res comune grava sull’usucapiente”.

Gli Ermellini riportano, altresì, le considerazioni del giudice di secondo grado, laddove ha evidenziato che nulla è stato “allegato e dimostrato in ordine a condotte dalle quali poter evincere, se non proprio l’interversio possessionis, quanto meno la manifestazione di volonta’ di possesso esclusivo e oppositivo rispetto ai diritti dei coeredi“.

Ai rilievi formulati dal ricorrente incidentale al ragionamento della Corte d’Appello – che non avrebbe tenuto conto del carattere esclusivo del potere di fatto esercitato sulla cosa per un tempo prolungato, in assenza della prova del compossesso – il Giudice di Legittimità eccepisce come la ratio decidendi non debba essere individuata “nel mancato riconoscimento, dal punto di vista materiale, delle attività compiute dall’agente sulla cosa, né nel positivo riconoscimento dell’effettivo esercizio del compossesso da parte dei coeredi” bensì “nella considerazione del non avere Caio dimostrato che il rapporto materiale con la res si fosse verificato in modo da escludere, con palese manifestazione di volontà, gli altri coeredi dalla possibilità di instaurare analogo rapporto con il bene”.

[3] La decisione in commento fornisce lo spunto per ripercorrere l’istituto dell’usucapione in ipotesi di comunione ereditaria.

Al riguardo, nel capo della divisione ereditaria si rinviene una sola norma ove tale figura è richiamata: l’articolo 714 cod. civ. che, peraltro, si limita a statuire che può domandarsi la divisione anche quando uno o più coeredi hanno goduto separatamente parte dei beni ereditari, salvo che si sia verificata l’usucapione per effetto di possesso esclusivo.

La genericità del richiamo normativo ha demandato a dottrina e giurisprudenza il compito di individuare e delimitare l’ambito applicativo dell’istituto.

In primis, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito come i soggetti di una comunione ereditaria si trovino in una situazione di possesso, anziché di mera detenzione. A differenza, dunque delle ordinarie ipotesi di natura obbligatoria, ove, per aversi usucapione, occorre potersi individuare un atto di c.d. interversione del possesso, in caso di comunione ereditaria, il singolo comunista si trova già nel possesso (rectius compossesso) dei beni ereditari e dovrà verificarsi, invece, l’esclusività di tale possesso.[1]

Al riguardo, la sentenza in commento permette di evidenziare e ribadire come l’onere di provare che sul bene si sia instaurata detta esclusività, tale da impedire agli altri l’esercizio di alcun potere sulla cosa, gravi su colui che affermi l’operatività dell’usucapione. E giova sottolineare che, in tale ottica, non appare sufficiente la circostanza che il soggetto abbia utilizzato e amministrato il bene ereditario con astensione degli altri comunisti da attività analoghe. Sussiste, infatti, una presunzione (ovviamente suscettibile di prova contraria) che il coerede agisca anche in nome e per conto degli altri eredi.[2]

Se tale primo aspetto trova unanime consenso, la Suprema Corte, anche nella pronuncia in esame, riconosce rilievo fondamentale all’elemento soggettivo; profilo che a giudizio di autorevole dottrina non dovrebbe, invece, assumere un ruolo decisivo nell’individuazione degli elementi costitutivi dell’usucapione.

Come si è avuto modo di precisare in altra sede[3], gli Ermellini ritengono necessaria la prova non solo della relazione materiale con la res, bensì anche l’esistenza di una inequivoca volontà di possedere uti dominus e non più uti condominus[4].

Non può tuttavia, al riguardo, ignorarsi la diversa opinione dottrinale che esclude la rilevanza all’animus possidendi.[5]

Tale teoria si fonda sull’interpretazione del citato articolo 714 cod. civ., ove non si rinviene alcun riferimento all’elemento soggettivo. Bisognerebbe, pertanto, aversi riguardo esclusivamente alle caratteristiche oggettive del rapporto che il soggetto ha con il bene; rapporto che deve esser tale da escludere gli atri coeredi dalla possibilità di godere del bene stesso. “L’esame del giudice di merito per l’accertamento della esclusività del possesso non deve quindi indirizzarsi all'(incerto) elemento soggettivo del possessore ma alle circostanze oggettive”.[6]

[1] In tal senso, si veda Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 22444 del 09/09/2019: “i coeredi non sono detentori dei beni ereditari, in quanto non è ravvisabile un rapporto di natura obbligatoria con i beni della comunione ereditaria, sicché non è necessaria la prova di un atto di interversione del possesso ai fini dell’usucapione di beni ereditari, ma la prova del possesso ad excludendum, vale a dire una situazione nella quale il rapporto materiale del coerede con i beni ereditari sia tale da escludere gli altri coeredi dalla possibilità di analogo rapporto. A tale riguardo, non è univocamente significativo che egli abbia utilizzato ed amministrato il bene ereditario, e che i coeredi si siano astenuti da analoghe attività, sussistendo la presunzione iuris tantum che abbia agito nella qualità e operato nell’interesse anche degli altri coeredi”;

[2] Si vedano, Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 966 del 16/01/2019: “non è univocamente significativo che egli abbia utilizzato ed amministrato il bene ereditario e che i coeredi si siano astenuti da analoghe attività, sussistendo la presunzione iuris tantum che abbia agito nella qualità e operato anche nell’interesse anche degli altri coeredi”; nonché Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 10734 del 04/05/2018.

[3] M. RAMPONI, Usucapione di bene ereditario da parte di uno dei coeredi, in EC Legal del 27/04/2021

[4] Si vedano Cass. Civ., Sez. 2, ordinanza n. 9359 del 08/04/2021: “Il coerede che, dopo la morte del de cuius, sia rimasto nel possesso del bene ereditario può, prima della divisione, usucapire la quota degli altri eredi, senza necessità di interversione del titolo del possesso; a tal fine, però, egli, che già possiede “animo proprio” ed a titolo di comproprietà, è tenuto ad estendere tale possesso in termini di esclusività, godendo del bene con modalità incompatibili con la possibilità di godimento altrui e tali da evidenziare un’inequivoca volontà di possedere “uti dominus” e non più “uti condominus”, risultando a tal fine insufficiente l’astensione degli altri partecipanti dall’uso della cosa comune; nonché Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 7221 del 25/03/2009.

[5] S. PATTI, “L’usucapione del coerede”, in Famiglia, persone e successioni, n. 10/2008, pagg. 815 ss.; nonché in Contratto di divisione e autonomia privata – Atti del Convegno tenutosi a Santa Margherita di Pula il 30-31 maggio 2008 – Quaderni della Fondazione Italiana del Notariato n. 4/2008, pagg. 125 ss.

[6] Così S. PATTI, op. cit.

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