26 Settembre 2017

Atto processuale di parte privo di firma digitale: per la Cassazione è insanabilmente nullo

di Andrea Ricuperati Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. VI-3, ord., 8 giugno 2017, n. 14338 – Pres. Amendola, Rel. Vincenti

[1] Atto processuale – Firma digitale – Mancanza della firma digitale sull’originale – Nullità insanabile (C.p.c. artt. 125, 156).

[2] Atto processuale – Firma digitale – Mancanza della firma digitale –Notificazione a mezzo posta elettronica certificata – Sanatoria del vizio di assenza di firma – Esclusione (C.p.c. artt. 125, 156 – l. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3-bis).

[3] Notificazioni in materia civile – Notificazione a mezzo posta elettronica certificata – Mancanza della firma digitale sulla copia informatica notificata del documento originale analogico – Nullità – Insussistenza – Condizioni (C.p.c., artt. 125, 156, 160; l. 21 gennaio 1994, n. 53, art. 3-bis; d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16-undecies).

[1] L’atto processuale di parte privo sull’originale della firma digitale del difensore è insanabilmente nullo.

[2] La trasmissione di un atto processuale di parte dalla casella PEC del difensore non può mai sanare la nullità derivante dall’assenza della firma digitale dell’avvocato sull’originale di detto atto.

[3] L’assenza della firma digitale sulla copia informatica dell’atto processuale di parte notificato con modalità telematiche non determina la nullità della notificazione, quando l’originale analogico dell’atto risulti sottoscritto dall’avvocato e quest’ultimo abbia attestato la conformità ad esso della copia notificata.

CASO

[1-2-3] Tizio notificava alla controparte con modalità telematica l’atto di appello avverso un’ordinanza declinatoria della competenza territoriale del Giudice di Pace di Salerno.

Il Tribunale salernitano dichiarava inammissibile l’impugnazione, ritenendo giuridicamente inesistente – con vizio dunque insuscettibile di venir meno attraverso lo strumento della rimessione in termini e rinnovo della notifica e non sanabile neppure con la costituzione dell’appellata – la notifica dell’atto introduttivo, in quanto sprovvisto in originale e copia della firma digitale del difensore.

Contro tale decisione Tizio interponeva ricorso per cassazione, argomentando che la notifica telematica dalla casella PEC del difensore ed il suo recapito all’indirizzo del destinatario valessero – indipendentemente dalla mancanza della firma digitale – a ricondurre all’avvocato la paternità dell’atto di appello, nonché invocando la sanatoria della nullità per raggiungimento dello scopo e dolendosi dell’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia.

SOLUZIONE

[1-2-3] La Corte di Cassazione, nel respingere per inammissibilità il ricorso (in quanto sprovvisto di censure con riguardo all’assorbente profilo dell’assenza di firma digitale sull’originale dell’atto di appello), ha affermato che:

  • la firma digitale – a tutti gli effetti equiparabile alla sottoscrizione autografa (alias analogica o manoscritta), alla luce dei princìpi enunciati dal d.leg. 7 marzo 2005, n. 82, applicabili al processo civile in virtù di quanto stabilito dall’art. 4 del d.l. 29 dicembre 2009, n. 193 (conv. nella l. 22 febbraio 2010, n. 24) e dalle specifiche disposizioni di cui agli artt. 11 e 34 del d.m. 21 febbraio 2011, n. 44 (cd. regolamento del processo civile telematico), ed all’art. 12 del provvedimento ministeriale 16 aprile 2014 – rappresenta requisito di validità dell’atto di parte, in quanto «essa attiene alla formazione dello stesso e alla sua riconducibilità a chi lo ha formato (nella specie, necessariamente al difensore munito di procura»);
  • la mancanza della firma digitale sull’originale dell’atto, la quale non può in alcun modo essere sanata, determina perciò stesso l’inammissibilità dell’appello nella vicenda in esame;
  • «la trasmissione via PEC, seppure attesti la provenienza dell’atto dal mittente, non si correla affatto, né pertanto può surrogare, la sottoscrizione, digitale, dell’originale dell’atto»;
  • non inficia, invece, la validità dell’atto l’assenza della firma digitale sulla (sola) copia informatica dell’atto originariamente formato su supporto analogico (= cartaceo), «essendo sufficiente l’attestazione di conformità all’originale» da parte dell’avvocato notificante.

QUESTIONI

[1-2] L’ordinanza in commento si astiene – più o meno consapevolmente – dall’estendere al processo civile telematico («PCT») l’ormai consolidato insegnamento di legittimità (cfr., tra le più recenti, Cass., ord. 6 settembre 2010, n. 19123; Cass., ord. 6 settembre 2010, n. 19122; Cass., 20 aprile 2007, n. 9490; Cass., 22 novembre 2004, n. 22025) e di merito (v. da ultimo Trib. Torino, ord 22 gennaio 2016, in pluris-cedam.utetgiuridica.it, e Trib. Bologna, 22 febbraio 2010, in pluris-cedam.utetgiuridica.it) secondo cui «La mancanza della sottoscrizione del difensore nella citazione o nel ricorso introduttivo del giudizio, a norma dell’art. 125 c.p.c., comma 1, non determina la nullità dell’atto, sottoscritto solo dalla parte non abilitata a stare in giudizio personalmente, quando la sua provenienza da un difensore provvisto di valido mandato sia desumibile da altri elementi indicati nell’atto stesso, come il conferimento della procura alle liti, perché in tale caso la sottoscrizione apposta dal difensore per certificare l’autenticità della firma di rilascio, redatta in calce o a margine dell’atto stesso, assolve il duplice scopo di certificare l’autografia del mandato e di sottoscrivere l’atto.».

In effetti, nell’àmbito del PCT – e segnatamente della notificazione con modalità telematica, il messaggio di posta elettronica certificata, contenendo al proprio interno l’atto da notificare via PEC, costituisce un inscindibile corpus unicum con quest’ultimo, del quale viene a formare porzione integrante e sostanziale (al pari della ricevuta di accettazione e di quella di avvenuta consegna); ma, se così è, una volta riconosciuta – come la stessa Corte di Cassazione ha fatto – l’idoneità della trasmissione a mezzo PEC ad attestare la provenienza dell’atto dal mittente, non si può negare essersi al cospetto di un elemento «endogeno» perfettamente in grado di ricondurre la paternità dell’atto al difensore notificante, alla medesima stregua di una procura apposta in calce od a margine dell’atto (oppure della relazione di notifica, da confezionarsi – se telematica – come documento informatico separato ma firmato digitalmente ed allegato al messaggio di invio).

Una simile opinione (discutibilmente disattesa dal Supremo Collegio) sembra ancor più seria e degna di positiva valutazione, ove si consideri che:

  • il messaggio PEC è un documento informatico che soddisfa il requisito della forma scritta, in quanto ad esso è apposta una firma elettronica (tale è la combinazione delle credenziali – username e password – da digitare per accedere alla relativa casella ed inviarlo), ai sensi dell’art. 21, 1° comma, del d.leg. 7 marzo 2005, n. 82;

e

  • in base al primo comma dell’art. 25 del Regolamento n. 910/2014/UE del 23 luglio 2014 (cd. eIDAS), in vigore negli Stati-membri dal 1° luglio 2016, «A una firma elettronica non possono essere negati gli effetti giuridici e l’ammissibilità come prova in procedimenti giudiziali per il solo motivo della sua forma elettronica o perché non soddisfa i requisiti per firme elettroniche qualificate.».

[3] Con riguardo all’irrilevanza dell’assenza della firma digitale sulla copia informatica per immagine dell’atto notificato a mezzo PEC, la pronuncia del Supremo Collegio appare ineccepibile: un siffatto elemento s’appalesa non obbligatorio, come emerge dal quarto comma dell’art. 19-bis del provvedimento ministeriale 16 aprile 2014 contenente le «Specifiche tecniche previste dall’articolo 34, comma 1 del decreto del Ministro della giustizia in data 21 febbraio 2011 n. 44», dove la protasi «Qualora il documento, di cui ai commi precedenti, sia sottoscritto con firma digitale o firma elettronica qualificata» lascia intendere che in alcuni casi – tipicamente quello in cui l’atto da notificarsi telematicamente non è «nativo digitale» – l’apposizione della firma digitale non occorra.

* Commento parzialmente critico a Cass., 14338/2017, già pubblicata nel numero della scorsa settimana con nota favorevole di M. Ciccarè.