31 Ottobre 2017

Atti processuali in formato elettronico senza estensione «p7m»: le Sezioni Unite chiamate a pronunciarsi sulla loro validità

di Andrea Ricuperati Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. VI – 3, ord., 31.8.2017, n. 20672 – Pres. Armano – Rel. De Stefano

[1] Atto processuale civile – Atto di parte – Documento informatico – Disposizioni tecniche specifiche – Violazione – Conseguenze (c.p.c. artt. 121, 125, 156 –  d.m. 21.2.2011, n. 44, art. 11 – provv. d.g.s.i.a. 16.4.2014, art. 12)

[2] Notificazioni in materia civile – Notificazione a mezzo posta elettronica certificata – Documento informatico allegato all’atto del processo – Originale formato su supporto analogico – Firma digitale – CAdES – Necessità (c.p.c., art. 125 – l. 21.1.1994, n. 53, art. 3-bis – provv. d.g.s.i.a. 16.4.2014, artt. 12, 13 e 19-bis

[1] Va rimessa alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione la questione – di massima di particolare importanza – avente ad oggetto la validità, o meno, dell’atto del processo civile telematico la cui forma non rispetti le norme specifiche tecniche vigenti in materia e, laddove da tale violazione sia ritenuta discendere la nullità dell’atto, l’individuazione di àmbito e limiti di operatività del principio della sanatoria del vizio per raggiungimento dello scopo.

[2] Il documento informatico risultante dalla trasformazione di un originale analogico ed allegato all’atto processuale, da notificarsi con modalità telematica, deve essere munito di firma CAdES e recare l’estensione «p7m».

 CASO

[1-2-3] Tizio resisteva al ricorso per cassazione proposto nei suoi confronti, notificando alla controparte con modalità telematica (ai sensi dell’art. 3-bis della l. 21.1.1994, n. 53) il controricorso ex art. 370 c.p.c. con la procura speciale e la relazione di notifica, tutti trasmessi mediante posta elettronica certificata al difensore-procuratore destinatario in file separati aventi estensione «pdf».

Veniva formulata proposta di decisione del procedimento in camera di consiglio ai sensi del primo comma dell’art. 380-bis c.p.c..

In sede di memoria depositata prima dell’adunanza non partecipativa, il ricorrente eccepiva l’irritualità del controricorso, per non essere i file allegati al messaggio di notifica confezionati in formato «p7m» e quindi – a dire della parte – per essere privi di firma digitale.

SOLUZIONE

[1-2-3] La Corte di Cassazione, pur orientata a dichiarare inammissibile l’impugnazione, ha reputato necessario – anche al fine di determinare la soccombenza, regolando le spese di lite – prendere posizione su una problematica ritenuta investire una questione di massima di particolare importanza in materia di processo civile telematico (“PCT”), rilevando che:

  • l’osservanza delle specifiche norme tecniche governanti la formazione degli atti redatti ab origine quali documenti informatici (cd. nativi) attiene all’esistenza degli stessi, mentre per gli atti (o documenti in senso ampio) – ad esempio la procura ad litem – nascenti dalla conversione di documenti originariamente analogici il rispetto delle succitate disposizioni tecniche condiziona l’instaurazione di un valido e rituale rapporto processuale;
  • secondo le norme tecniche dettate in materia di PCT, il documento informatico formato in origine su supporto analogico e da firmarsi digitalmente deve avere la struttura CAdES e di conseguenza l’estensione «p7m», a garanzia della sua genuinità, per la quale a nulla varrebbe il potere di autentica attribuito dalla legge all’avvocato, giacché il requisito in questione non inerisce all’intrinseca regolarità dell’atto;
  • ai princìpi appena illustrati ci si deve uniformare anche nella notificazione telematica, specie quando – come nel caso del ricorso per cassazione o del controricorso – al messaggio PEC vada necessariamente allegato un documento informatico creato da originale analogico (come la procura speciale);
  • si tratta allora di stabilire, in mancanza di un consolidato orientamento sul punto (non essendo pertinenti le pronunce giurisprudenziali rese in precedenza), quali siano le conseguenze di una simile deviazione dallo schema legale: se cioè, essa generi nullità e se detta nullità possa essere sanata.

Alla luce di tali considerazioni, gli atti del procedimento sono stati rimessi al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite.

QUESTIONI

[1-2] L’ordinanza interlocutoria in commento si presta a più di una fondata critica, vuoi per la non adeguata conoscenza dell’(invero complesso e frammentato) compendio normativo regolante il processo civile telematico, vuoi per l’opinabile diniego di rilevanza di alcuni dei precedenti resi sul tema dalla stessa Suprema Corte.

Nel dettaglio:

  • intanto, come ricordato nelle premesse dell’ordinanza, l’articolo 12, comma 2, del provvedimento del 16 aprile 2014 (adottato dal responsabile per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia [“d.g.s.i.a.”] e contenente le specifiche tecniche previste dall’articolo 34, comma 1 del decreto del Ministro della giustizia in data 21 febbraio 2011 n. 44 [“regolamento PCT”]; esso figura riportato nella pronunzia in esame con l’erronea data «28/12/2015») prevede in maniera espressa che «La struttura del documento firmato è PAdES-BES (o PAdES Part 3) o CAdES-BES; […] nel caso del formato CAdES il file generato si presenta con un’unica estensione p7m. […]»;
  • ai sensi del terzo comma dell’art. 13 del provv. d.g.s.i.a. 16.4.2014, i documenti informatici allegati – che sono consentiti in formati anche diversi dal «pdf» – «possono essere sottoscritti con firma digitale o firma elettronica qualificata; nel caso di formati compressi la firma digitale, se presente, deve essere applicata dopo la compressione»; ne discende che, qualora confezionati in formato «pdf», essi saranno firmabili indifferentemente come PAdES (cd. firma pdf) o CAdES, nella quale ultima ipotesi il relativo file assumerà l’estensione «p7m»; mentre, laddove l’allegato abbia un formato diverso dal «pdf», l’unica firma digitale tecnicamente possibile sarà CAdES (Cryptographic message syntax Advanced Electronic Signature) quella «p7m», in quanto l’altra è per definizione – Pdf Advanced Electronic Signature – limitata ai file pdf;
  • a norma dell’art. 19-bis del provv. g.s.i.a. 16.4.2014, possono essere notificati con modalità telematica solo i documenti originali informatici e le copie informatiche – anche per immagine – di quelli originali analogici, aventi formato «pdf» (cfr. commi 1 e 2), e, ove sottoscritti “con firma digitale o firma elettronica qualificata, si applica quanto previsto all’articolo 12, comma 2”, che – come si è appena visto – ammette sia la firma PAdES sia la CAdES;
  • non è quindi vero che l’estensione «p7m» sia imposta per quegli allegati informatici – tipicamente la procura ad litem, ma pure la copia per immagine di un atto processuale formato in origine su supporto analogico (tale può senz’altro essere quello introduttivo di una causa di cognizione, per il quale la forma «nativa digitale» non è obbligatoria nemmeno dinanzi al tribunale ed alla corte d’appello) – nascenti dalla conversione di documenti originali analogici; né è vero che detta estensione offra maggiori garanzie di autenticità del documento, essendo assai semplice attribuire il suffisso «p7m» ad un file in realtà privo della firma digitale;
  • i magistrati autori dell’ordinanza qui criticata hanno finito col sovrapporre il concetto di struttura intrinseca dell’atto/documento processuale informatico a quello di genuinità del medesimo, negando – a torto – che la prima è perfettamente idonea anche con firma PAdES e dimenticando – altrettanto erroneamente – che, in un procedimento (come quello di cassazione) dove non è tuttora consentito il deposito telematico, il solo presidio di autenticità degli atti è costituito proprio dal potere certificativo riconosciuto al difensore dal combinato disposto degli articoli 9, commi 1-bis e 1-ter, della l. 21.1.1994, n. 53, nonché degli artt. 16-undecies, primo comma, del d.l. 18.10.2012 n. 179 (convertito in legge con modifiche dalla l. n. 17.12.2012, n. 221) e 23, comma 1, del d.lg. 7.3.2005, n. 82; difensore – val la pena di ricordarlo – considerato, nell’esercizio di tale funzione, pubblico ufficiale ad ogni effetto (cfr. artt. 6, primo comma, l. n. 53/1994 cit. e 16-undecies, comma 3-bis, d.l. n. 179/2012 cit.);
  • molto discutibile si rivela anche la ritenuta estraneità alla vicenda in esame di pregresse decisioni dello stesso Supremo Collegio, come la sentenza della III Sezione civile n. 26102 del 19.12.2016 (in questa Rivista, edizione del 24.1.2017) o quella delle Sezioni unite n. 7665 del 18.4.2016 (ibidem, ed. 4.7.2016), dal momento che trattasi di pronunce le quali hanno affrontato fattispecie riguardanti parimenti la struttura dell’atto, alla medesima stregua di quella da cui è scaturita l’ordinanza n. 20672/2017: nel primo caso si discuteva della validità della notifica di un ricorso per cassazione trasmesso via PEC in copia informatica per immagine dell’originale cartaceo, priva della firma digitale del difensore, mentre nel secondo era stata eccepita la nullità del controricorso, in quanto notificato telematicamente come file con estensione «doc» invece di «pdf».

L’unico profilo del provvedimento che appare condivisibile è legato all’intento che ha ispirato la Corte di Cassazione: quello di individuare una volta per tutte, supplendo all’inerzia del legislatore, la tipologia della sanzione derivante dalle difformità degli atti processuali di parte rispetto alle prescrizioni contenute nella normativa primaria e secondaria applicabile al PCT; in particolare, le Sezioni Unite potranno cogliere l’occasione per stabilire con valenza nomofilattica (i) se le violazioni dei dettami contenuti nel d.m. 21.2.2011, n. 44, o nel provv. d.g.s.i.a. 16.4.2014, producano mera irregolarità, nullità o addirittura inesistenza giuridica dell’atto, nonché (ii) come l’anomalia si riverberi sul deposito e/o sulla notifica dell’atto stesso e (iii) in quali limiti, termini e modalità sia eventualmente possibile rimediare al vizio. Chi scrive auspica che trovi conferma l’insegnamento della summenzionata sentenza n. 7665/2016, secondo cui nessuna invalidità può mai essere pronunciata in mancanza della deduzione e prova di una specifica lesione del diritto di difesa o di un nocumento ai poteri cognitivi e decisori del giudice.