23 Gennaio 2018

Amministrazione di sostegno e rimedi contro il decreto del Giudice tutelare.

di Stefano Nicita Scarica in PDF

Cass., Sez. I,  7 giugno 2017, n. 14158, Pres. Di Palma, Est. Acierno

Amministrazione di sostegno – Decreto del giudice tutelare sulla richiesta di autorizzazione dell’amministratore di sostegno di consentire o rifiutare terapie mediche – Reclamo alla corte d’appello ex art. 720 bis, 2° comma, c.p.c. – Ammissibilità – Fondamento – Diritti soggettivi personalissimi – Diritto all’autodeterminazione della persona nelle scelte sanitarie – Diritto di manifestazione ed espressione delle proprie credenze religiose (Cost., artt. 2, 13, 19, 32; Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, artt. 8 e 9; Cod. proc. civ., artt. 720 bis, 739, 363; cod. civ., artt. 405, 407, 408; Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, l., 28 marzo 2001, n. 145, artt. 5 e 9) 

[1] Nei procedimenti in materia di amministrazione di sostegno è ammesso il reclamo alla Corte d’appello, ai sensi dell’art. 720 bis, 2° comma, c.p.c. avverso il provvedimento con cui il giudice tutelare si sia pronunciato sulla domanda di autorizzazione proposta dall’amministratore di sostegno in sede di apertura della procedura o in un momento successivo  ad esprimere, in nome e per conto dell’amministrato, il consenso o il rifiuto alla sottoposizione a terapie mediche, avendo il provvedimento medesimo natura decisoria in quanto incidente su diritti soggettivi personalissimi.

CASO

[1] Nel febbraio 2015, il Giudice tutelare di Savona rigetta la richiesta dell’amministratrice di sostegno (con istanza contenuta nel medesimo ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno, ex art. 407 c.c.) di autorizzazione a negare il consenso alla sottoposizione del marito (beneficiario) a cure che prevedessero la trasfusione di emoderivati. In vero, in un documento, precedentemente sottoscritto, l’amministrato aveva dato direttive in ordine alle terapie cui non si sarebbe voluto sottoporre anche in caso di pericolo di vita, essendo testimone di Geova.

Contro questo decreto, l’amministratrice propone reclamo alla Corte d’appello di Genova ai sensi dell’art. 720 bis, 2° comma, c.p.c..

Nel maggio 2015 la Corte d’appello dichiara inammissibile il reclamo in quanto proposto avverso un provvedimento del giudice tutelare inerente alla “fase gestionale” dell’amministrazione di sostegno, privo del carattere della decisorietà e quindi reclamabile solo dinanzi al Tribunale ai sensi dell’art. 739, 1° comma, c.p.c..

L’amministratrice di sostegno ricorre per Cassazione, ex art. 720 bis, ultimo comma, c.p.c..
Pur sopraggiunta la morte dell’amministrato in pendenza del giudizio di cassazione, e così determinatasi la cessazione della materia del contendere (Cass., 10 giugno 2011, n. 12737), la ricorrente sollecita, comunque, la pronuncia d’ufficio del principio di diritto nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 363 c.p.c., comma 3, attesa la natura personalissima dei diritti coinvolti.

SOLUZIONE

[1] Pur avendo dichiarato il ricorso inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, la Suprema Corte, in considerazione della novità e dell’importanza delle questioni trattate nel ricorso e nella memoria, enuncia, nell’interesse della legge, ai sensi dell’art. 363, 3° comma, c.p.c. il principio di diritto riportato in massima.

QUESTIONI

[1] La questione oggetto della pronuncia in esame ha trovato risposta una volta chiarito che il decreto impugnato aveva natura “decisoria” e non “gestoria” (caso in cui si sarebbe applicata la regola “generale” prevista dall’art. 739 c.p.c.: reclamo proponibile al Tribunale in composizione collegiale e non alla Corte d’appello).

Sebbene gli interpreti siano divisi sulla natura del procedimento attraverso cui è disposta l’amministrazione di sostegno (secondo alcuni, esso avrebbe natura contenziosa, v. Tommaseo, Amministrazione di sostegno e difesa tecnica, in Fam. dir., 2004, 610; secondo altri, si tratterebbe di un procedimento di volontaria giurisdizione, v. Danovi, Il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno (L. 9 gennaio 2004, n. 6), in Riv. dir. priv., 2004, 805), tuttavia, non ci sono dubbi sul fatto che il provvedimento conclusivo (compreso, eventualmente, il decreto emesso dalla corte d’appello in sede di reclamo) abbia carattere “decisorio”.

Anche secondo la giurisprudenza di legittimità, la facoltà di reclamo alla Corte d’appello deve ritenersi riferibile soltanto ai provvedimenti “decisori” del giudice tutelare (Cass. 29 ottobre 2012, n. 18634). Quindi, il rimedio dell’art. 720 bis c.p.c. ha carattere di specialità in deroga alla disciplina generale ex art. 739 c.p.c. (Cass. 26 febbraio 2014, n. 4506).

Per definire la questione in rito (riconoscendo funzione “decisoria” al decreto del giudice tutelare), perciò, è stato necessario, per i giudici di Piazza Cavour, analizzare il caso dal punto di vista del diritto sostanziale onde comprendere se la pronuncia incidesse su diritti soggettivi personalissimi.

In merito, va ricordato che le c.d. Direttive Anticipate di Trattamento (D.A.T.) sono le dichiarazioni con cui un soggetto abbia manifestato la propria volontà, relativamente a terapie sanitarie, in vista del momento in cui non sarebbe più stato capace di esprimere il proprio consenso o dissenso informato. Sulla validità ed efficacia delle D.A.T. nell’Ordinamento italiano sussistono dubbi (per una disamina generale dell’argomento, cfr. Foglia, Rossi, Testamento biologico (Il), in Digesto civ., Torino, Aggiornamento 2014, IX, 638 ss.).

Nel caso in oggetto, la Corte ha riconosciuto che la designazione anticipata dell’amministratrice da parte del beneficiario (con direttive che essa avrebbe dovuto seguire sul piano terapeutico) assumeva anche la funzione dell’esercizio del diritto all’autodeterminazione delle scelte sanitarie (attraverso l’opera dell’amministratore di sostegno designato). D’altra parte, lo stesso ricorso depositato per chiedere la nomina ad amministratrice di sostegno era stato motivato dall’intenzione di vedere rispettata tale volontà del marito.

Secondo la giurisprudenza, l’istituto dell’amministrazione di sostegno necessita, per la sua attuazione, della nomina da parte del Giudice tutelare della persona designata che, in tanto può disporsi, in quanto si sia realizzata, a sua volta, la finalità di garantire la tutela delle “persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana”, in presenza, pertanto, del presupposto identificato in base al combinato disposto degli artt. 404 e 408 c.c. (così Cass., 20 dicembre 2012, n. 23707).

Ne consegue – motiva la Suprema Corte –  che: “l’apertura, la designazione e l’istanza volta a far valere le direttive sopraindicate, riguardanti l’esercizio di diritti fondamentali quali quello all’autodeterminazione nelle scelte sanitarie (art. 32 Cost.) e al rispetto delle proprie convinzioni religiose (art. 19 Cost.) sono inscindibilmente legati ed hanno sicuramente natura decisoria”. Tutto ciò, in coerenza con i principi fondamentali e indeclinabili d’identità e libertà della persona umana espressi dagli artt. 2 e 13 Cost nonché dalla Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, artt. 8 e 9, e dalla Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, artt. 5 e 9 (L., 28 marzo 2001, n. 145). In base a tali principi, l’intervento sanitario può essere effettuato solo sul fondamento del consenso libero e informato del paziente e tenendo in considerazione i desideri dallo stesso precedentemente espressi qualora si trovi in stato di incapacità.

In conclusione, la situazione giuridica in questione è riconducibile all’ambito dei diritti personalissimi, e «ogni provvedimento giurisdizionale che vi incida possiede in re ipsa una dimensione decisoria», la quale fonda la competenza della Corte d’appello a conoscere del relativo gravame e avrebbe dovuto indurla, ex art. 720 bis c.p.c., a non declinare la propria competenza e a pronunciarsi nel merito della richiesta autorizzazione.

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