29 Febbraio 2016

Sulla motivazione per relationem della pronuncia di gravame

di Elisa Bertillo Scarica in PDF

Cass., sez. V, 18 novembre 2015, n. 23600

Pres. Di Blasi – Est. Zoso

Sentenza civile – Sentenza di appello – Motivazione – Motivazione consistente in rinvio alla pronuncia di primo grado – Legittimità – Esclusione

(Cod. proc. civ., art. 132; Disp. att. Cod. proc. civ., art. 118) 

[1] È meritevole di censura la pronuncia del giudice di appello la cui motivazione si concreti nella mera adesione alla sentenza di primo grado, senza alcuna esplicitazione del percorso logico-giuridico sotteso alla decisione.

CASO
[1] L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per Cassazione avverso la pronuncia della Commissione Tributaria Regionale che, confermando la decisione del giudice di primo grado, ha dichiarato la soccombenza dell’attuale ricorrente. Nel ricorso viene dedotto il vizio di motivazione della pronuncia, in quanto la CTR ha motivato la propria decisione con un mero richiamo al contenuto della sentenza della CTP.

SOLUZIONE
[1] La Corte accoglie il ricorso, affermando il principio in epigrafe. In particolare, osserva che deve essere ritenuta priva di motivazione la pronuncia che si risolva in un’acritica approvazione della decisione soggetta a controllo. È onere, infatti, del giudice dell’impugnazione fare propri gli elementi essenziali della motivazione della sentenza di primo grado, confutando le censure contro di essi formulate con i motivi di gravame.

QUESTIONI
[1] La pronuncia affronta il tema della motivazione per relationem, ricorrente nell’ipotesi in cui il giudice non elabori una giustificazione autonoma, ma si serva del rinvio alla motivazione contenuta in altra sentenza. Nel caso di specie, in particolare, ci si riferisce all’ipotesi in cui il giudice del gravame recepisca la motivazione della sentenza di primo grado.

In merito, la pronuncia in commento aderisce all’orientamento consolidato favorevole alla legittimità di tale motivazione purché dalla stessa risulti il convincimento sul quale la decisione si fonda. Infatti, anche in recenti decisioni, la Cassazione ha espresso il principio per cui «la motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame è legittima purché il giudice di appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pur sinteticamente, le ragioni della conferma della pronunzia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto, mentre deve viceversa essere cassata la sentenza d’appello quando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che alla affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di impugnazione» (cfr., tra le altre, Cass., 16 dicembre 2013, n. 28113; Cass., 5 febbraio 2011, n. 2800; Cass., 30 aprile 2010, n. 10490; Cass., sez. un., 18 marzo 2010, n. 6538).

L’ammissibilità di tale tecnica di motivazione è meno pacifica in dottrina. Un autorevole orientamento tende a considerare invalida la motivazione per relationem in ragione dello svilimento della funzione extraprocessuale dell’istituto. Se, infatti, da un punto di vista endoprocessuale, tanto le parti quanto il giudice del gravame hanno a disposizione gli elementi necessari per valutare l’adeguatezza del percorso motivazionale, così non è con riferimento al controllo generalizzato sull’operato del giudice che attraverso la motivazione può essere realizzato. Per tale ragione, si ritiene necessario che il giudice d’appello offra una giustificazione autonoma, modellata esclusivamente sul giudizio di gravame (cfr. M. Taruffo, La motivazione della sentenza civile, Padova, 1975, 422 ss., spec. nt. 224, 425 s., in cui tra l’altro l’A. respinge la critica in base alla quale richiedere che il giudice d’appello fornisca un’autonoma giustificazione sarebbe un’inutile sovrapposizione delle argomentazioni contenute nella sentenza di primo grado: anche ammesso che ciò sia vero, secondo T. sarebbe da considerarsi «un inconveniente irrilevante di fronte all’esigenza che la sentenza d’appello contenga compiutamente la propria giustificazione logica e giuridica»).

In senso conforme alla più recente giurisprudenza, S. Evangelista, Motivazione della sentenza civile, in Enc. dir., XXVII, Milano, 1977, 165 s., sostiene che possa riconoscersi la sufficienza di un semplice richiamo alle argomentazioni del giudice di primo grado, a condizione che lo stesso non sia apodittico e dimostri che il giudice d’appello abbia tenuto presenti i motivi addotti dal giudice di primo grado a giustificazione della reiezione di quelle medesime deduzioni riproposte in appello dal ricorrente.

Una dottrina più recente ha, infine, riconosciuto che una motivazione per relationem che rispetti i criteri di legittimità indicati dalla giurisprudenza sia altresì idonea ad assolvere la funzione extraprocessuale dell’istituto (A. Nappi, Il sindacato di legittimità nei giudizi civili e penali di Cassazione, Torino, 2011, 224).

È interessante notare, peraltro, che Cass., sez. un., 16 gennaio 2015, n. 642 ha ritenuto valida la sentenza motivata tramite la riproduzione del contenuto di un atto di parte qualora dalla stessa emergano in maniera chiara ed esaustiva le ragioni sulle quali il giudice ha fondato la decisione.