20 Febbraio 2018

Rigetto della domanda cautelare per mancanza dei presupposti che configurano la concorrenza sleale per interposta persona

di Valeria Giugliano Scarica in PDF

Trib. Civitavecchia, ord. 27 dicembre 2017, Giudice Pecorari

Concorrenza sleale per interposta persona – relazione di interessi – configurabilità (2598 c.c.)

[1] Non sussiste il fumus boni iuris della domanda cautelare ex art. 700 c.p.c. per mancata configurabilità della fattispecie di concorrenza sleale del terzo quando rimanga indimostrata l’esistenza di una relazione di interessi tra l’autore dell’atto e l’imprenditore avvantaggiato.

CASO

[1] I ricorrenti, persone fisiche titolari di autorizzazioni per l’esercizio dell’attività di noleggio vettura con conducente (cosiddetti “NCC”) agiscono con ricorso ex art. 700 c.p.c. per sentire inibire la presunta attività di concorrenza sleale (art. 2598 nn. 2 e 3 c.c.) posta in essere dalla società Aeroporti di Roma S.p.a. (“ADR”) nei propri confronti. L’attività consisteva nell’apposizione di pannelli luminosi e dalla pubblicazione di un’informativa sul sito web. Sia i pannelli sia l’informativa indicavano tre società di NCC (tutte resistenti) quali “autorizzate da ADR”, facendo intendere che, invece, le altre non fossero autorizzate. La competenza all’autorizzazione degli operatori NCC spetterebbe invero, secondo i ricorrenti, al Comune di Civitavecchia e non ad ADR.

SOLUZIONE

[1] Il Tribunale di Civitavecchia ritiene che il ricorso d’urgenza sia carente del requisito del fumus boni iuris. Secondo l’orientamento consolidato, infatti, l’applicabilità della disciplina della concorrenza richiede, dal punto di vista soggettivo, la qualità di imprenditore dei soggetti attivo e passivo dell’atto e l’esistenza tra essi di un rapporto di concorrenza. Il Giudice, posta la palese carenza del rapporto di concorrenza tra i ricorrenti e ADR, si sofferma sulla particolare fattispecie della concorrenza sleale “per interposta persona” o “del terzo”. Esclude poi la ricorrenza, nel caso di specie, anche di questa figura, poiché non è dato rinvenire la richiesta “relazione di interessi” tra ADR e le altre società resistenti tale da dimostrare che le azioni di ADR fossero “eterodirette” dalle stesse, né l’interesse meramente economico derivante da un accordo di subconcessione stipulato tra ADR e tali società che prevede un compenso per ADR in base al flusso di utenti del servizio NCC, è ritenuto sufficiente a questo scopo, in quanto viene correttamente ritenuto essenziale che l’atto lesivo sia riconducibile alla volontà e all’interesse del soggetto avvantaggiato, non rilevando la condotta tenuta dal terzo nel proprio esclusivo e autonomo interesse.

QUESTIONI

[1] Come noto, tra i presupposti soggettivi dell’istituto della concorrenza sleale ex art 2598 c.c. si annovera, anzitutto, la qualifica di “imprenditore” del soggetto; poi, la sussistenza di un “rapporto di concorrenzialità” , anche meramente potenziale, tra i soggetti coinvolti: devono cioè offrire nello stesso ambito di mercato beni o sevizi rivolti alla stessa clientela ovvero atti a soddisfare lo stesso bisogno (Abriani-Cottino, La concorrenza sleale, in Cottino (diretto da), Trattato di diritto commerciale, vol. II, Il diritto industriale, Milano, 2001, 286; Ghidini, La concorrenza sleale, Torino, 2001, 382; Cass., 14 febbraio 2000, n. 1617, in Riv. dir. ind., 2001, 96, con nota di Cevolini).

Tuttavia, la locuzione “chiunque” impiegata dalla norma di cui all’art. 2598 c.c. ha aperto la strada nella giurisprudenza di legittimazione all’interpretazione per cui il legislatore avesse voluto tutelare anche quelle situazioni in cui, pur non in presenza di atti di concorrenza sleale compiuti da un imprenditore in rapporto di concorrenza con il soggetto passivo, gli atti siano comunque riconducibili allo stesso, poiché posti in essere da soggetti terzi nel suo interesse (Vanzetti-Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 2005, 18). In questi casi, il soggetto terzo si dovrà trovare «in una relazione di interessi comuni con l’imprenditore avvantaggiato» e potrà essere «ritenuto responsabile in solido con l’imprenditore che si sia giovato della sua condotta» (Trib. Milano, 30 aprile 2008, in Corriere del Merito, 2008, 7, 781).

Con la pronuncia in esame il Tribunale di Civitavecchia si allinea appunto all’orientamento giurisprudenziale prevalente, che ammette sì la possibilità di una concorrenza sleale compiuta da un soggetto agente che difetti di un presupposto soggettivo, ma allo stesso tempo richiede uno stringente controllo sull’effettiva sussistenza di una “relazione di interessi” tra il terzo e l’imprenditore “mandante”. In mancanza di tale collegamento tra l’autore del comportamento lesivo e l’imprenditore concorrente, il terzo può essere chiamato a rispondere ai sensi dell’art. 2043 c.c. (cfr. Cass., 6 giugno 2012, n. 9117, in Giust. civ. Mass. 2012, 745), senza peraltro che sia necessaria la dimostrazione della colpa nella commissione della condotta (v. di recente Cass., 23 marzo 2017 n. 7476, in Dejure). In sostanza, pur non richiedendosi un vero e proprio pactum sceleris tra l’imprenditore concorrente e il terzo, è necessaria (e sufficiente) una relazione di interessi tra i soggetti tale da far ritenere che il terzo, con la propria attività, abbia inteso realizzare proprio quegli interessi al cui soddisfacimento i rapporti erano funzionali, non essendo sufficiente la mera corrispondenza del fatto illecito di quest’ultimo all’interesse dell’imprenditore. (così Cass., 22 settembre 2015, n. 18691, in Dir. ind., 2016, 17).