9 Novembre 2015

Rifiuto di sottoporsi a test ematico nel giudizio di riconoscimento di paternità (e opponibilità del comportamento agli eredi): la parola alla Cassazione

di Carlo Vittorio Giabardo Scarica in PDF

Cass. 15 Giugno 2015, n. 12312

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Procedimento civile – giudizio di riconoscimento giudiziale di paternità – rifiuto di sottoporsi a prelievo biologico – opponibilità agli eredi – esclusione
(C.c. art. 269; 116 c.p.c.)

[1] Non può ritenersi opponibile agli eredi un comportamento processuale pregresso che trova le sue ragioni in motivazioni strettamente personali e, come tali, non estensibili all’erede che, subentrato nel processo, ha adottato una condotta processuale del tutto diversa rispetto a quella del proprio dante causa.

CASO
[1] A seguito della proposizione di un giudizio di riconoscimento giudiziale di paternità, il Tribunale di Roma accerta l’esistenza del vincolo parentale motivando esclusivamente sulla base del rifiuto del convenuto di consentire il prelievo di materiale biologico necessario all’espletamento dell’esame del materiale genetico. I figli eredi del convenuto – nel frattempo costituitisi già nel corso del giudizio di primo grado per sopravvenuta morte del padre – propongono sia appello, sia ricorso di cassazione contestando quanto deciso, adducendo (tra le altre cose) il fatto che le corti di merito hanno entrambe deciso senza aver tenuto conto della loro disponibilità sia ad acconsentire il prelievo di materiale ematico dal corpo del de cuius, sia di sottoporsi al test genetico loro stessi.

SOLUZIONE
[1] La Corte di Cassazione accoglie il ricorso degli eredi, e cassa con rinvio la sentenza d’appello. Nel suo percorso motivazionale, essa affronta due questioni. Da un lato, la Suprema Corte ribadisce che le corti territoriali hanno agito correttamente nel ritenere provato il vincolo parentale sulla base del solo rifiuto del presunto padre di consentire al prelievo di materiale genetico – e senza D’altro canto, però, censura l’operato delle corti di merito laddove queste non hanno preso in considerazione il fatto che tale rifiuto non potesse più considerarsi effettivo e persistente già in primo grado, in quanto gli eredi intervenuti a seguito della morte del convenuto si erano espressamente dichiarati disponibili all’espletamento di qualsiasi mezzo di prova (evidentemente convinti della bontà degli stessi). Il rifiuto a sottoporsi a indagini peritali – prosegue la Corte – va infatti considerato un atto personalissimo di chi è chiamato a compierlo (e sempre revocabile senza preclusioni di sorta), e non è quindi ‘estensibile’ a chi sceglie di tenere legittimamente una condotta processuale diversa.

QUESTIONI
[1] 
Per quanto riguarda la prima questione, il Supremo Collegio ribadisce l’orientamento consolidato, il quale che trova la sua ‘fonte’ nella pronuncia della Corte Costituzionale del 6 luglio 2006, n. 266, con la quale è stato dichiarato parzialmente incostituzionale l’art. 235, comma 1°, n. 3 c.c. nella parte in cui sanciva (nei giudizi di disconoscimento di paternità) la subordinazione della prova scientifica alla quella dell’avvenuto adulterio della moglie. In sostanza, la Consulta, con tale pronuncia, aveva inteso censurare qualsiasi limitazione al diritto alla prova nei giudizi attinenti agli status della persona, in ottemperanza al dettato dell’art. 30 della Costituzione (la sentenza può esser letta in Foro It., 2006, I, 3290 e poi ivi, 2007, I, 705, con nota di Fortino, in Fam. e Dir., 2006, 461, con nota di Bolondi, in Corr. Giur., 2006, 1368 con nota di Carbone, in Dir. e Giust., 2006, 29, 10 con nota di Dosi e in Nuova Giur.Civ. Comm., 2006, 1367 con nota di Gentili). Da allora, si ritiene pertanto che non solo va esclusa qualsiasi ‘gerarchia’ tra la prova (storica) dell’esistenza del rapporto sessuale nel periodo del concepimento, e quella (scientifica) relativa all’esame del DNA, ma che anzi l’immotivato rifiuto di consentire il prelievo ematico è comportamento (da valutarsi come argomento di prova ai sensi dell’art. 116 c.p.c.) dal valore indiziario così alto che poter, anche da solo, consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda (ex multis, Cass. 29 ottobre 2013, n. 24361 in Dir. e Giust. online; Id., 24 Luglio 2012, n. 12971, in Mass. Giust. Civ., 2012, 958, Id., 22 febbraio 2007, n. 4175, in Fam. e Dir., 2007, 787 con nota di Renda).