18 Luglio 2017

Revocazione ex art. 395, n. 3 c.p.c. e successiva testimonianza resa in sede penale

di Marco Russo, Avvocato Scarica in PDF

Cass., Sez. II, 14 giugno 2017, n. 14810 – Presidente Matera – Estensore Giusti

Revocazione – Scoperta di nuovi documenti – Rilevanza – Appello – Testimonianza in sede penale (C.p.c. art. 395; C.c. art. 2719)

Non rientra nell’ipotesi di revocazione ex art. 395, n. 3 c.p.c. il riconoscimento – nel corso di una deposizione testimoniale resa, in sede di giudizio penale, da chi era stato convenuto nel precedente giudizio civile – della sottoscrizione apposta sulla copia fotografica di contratto preliminare, fotocopia già prodotta nel giudizio civile conclusosi con la sentenza passata in giudicato ed espressamente disconosciuta, quanto alla sua conformità con l’originale, da parte del medesimo convenuto.

CASO

In primo grado l’attore sosteneva che il convenuto avesse inadempiuto all’obbligo di stipulare il contratto definitivo di compravendita immobiliare, oggetto di un precedente contratto preliminare di cui produceva tuttavia soltanto una copia.

Al disconoscimento della conformità di quest’ultima all’originale non seguiva alcuna produzione da parte dell’attore, di talché il tribunale, con sentenza successivamente confermata in appello, rigettava la domanda per assenza della prova scritta del preliminare.

La sentenza di secondo grado era impugnata per revocazione ex art. 395, n. 3 c.p.c., sulla base dell’avvenuta dichiarazione del convenuto, sentito in qualità di testimone nel corso di un parallelo processo penale, di aver effettivamente apposto la firma emergente dalla copia disconosciuta nel giudizio civile.

La corte d’appello accoglieva la domanda di revocazione con sentenza impugnata per cassazione per violazione e falsa applicazione del citato art. 395, n. 3 c.p.c.

SOLUZIONE

La Cassazione conferma l’interpretazione tradizionale della norma, ritenendo revocabile la sentenza soltanto qualora la parte, durante il giudizio a quo, non abbia avuto materiale disponibilità di un documento decisivo di cui sia invece entrata in possesso dopo l’emanazione della decisione impugnata.

E tale non è, secondo la Corte, la fattispecie dedotta dall’attore in revocazione, il quale ha invece preteso invece una inammissibile, nuova valutazione dell’efficacia probatoria di un documento (prodotto in copia) preesistente alla decisione impugnata, già ritenuto irrilevante dal giudice del merito per esserne stata espressamente disconosciuta la conformità all’originale.

QUESTIONE

La Cassazione risolve la quaestio iuris richiamando la pacifica giurisprudenza per cui l’eccezionalità del rimedio – che riposa sull’esigenza che, in presenza di “circostanze patologiche” (Consolo, Le impugnazioni delle sentenze e dei lodi, Padova, 2012, 434), l’esito della decisione pur discendente da una sentenza formalmente valida sia rimesso in discussione anche oltre i confini del giudicato (Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, Milano, 1962, 321) – giustifica la configurazione in termini di mezzo d’impugnazione a critica vincolata, proponibile dunque per un numero ristretto di motivi tassativamente indicati dall’art. 395 (Cass., 14 dicembre 2015, n. 25152; Cass., 17 novembre 2015, n. 23499; Cass., 7 maggio 2014, n. 9865; Cass., S.U., 25 luglio 2007, n. 16402; Cass., 9 giugno 1994, n. 5603; Cass., 22 ottobre 1991, n. 11199; Cass., 3 marzo 1987, n. 2222).

Sulla base di tale principio, la Corte esclude la riconducibilità del caso di specie ad una delle ipotesi elencate dalla norma in esame e, in particolare, al n. 3 richiamato dall’attore in revocazione, che prevede l’assoggettabilità della decisione al rimedio “se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario”.

Nella fattispecie, per altro, l’apparente sottoscrittore del preliminare aveva espressamente dichiarato, nel corso di una deposizione testimoniale resa in un giudizio penale, di aver effettivamente firmato il contratto la cui copia aveva poi disconosciuto ex art. 2719 c.c.

Non sarebbe dunque apparsa eversiva un’interpretazione meno rigida della norma, in considerazione della già accennata, “insopprimibile aspirazione di giustizia” (Attardi, La revocazione, Padova, 1959, 226) cui è richiamato l’istituto, riconosciuta anche da Corte cost., 30 gennaio 1986, n. 17, secondo cui la disciplina della revocazione è “permeata” da un vero e proprio “comandamento di giustizia”.

La nozione letterale di “documento decisivo”, infatti, non sembra di per sé respingere l’ipotesi in cui, da altra prova (documentale, come è il verbale che racchiude la testimonianza resa in sede penale) emerga che ad un documento, già prodotto nel giudizio che ha condotto alla sentenza revocanda, è stata negata ingiustamente – perché contrariamente alla verità storica dei fatti di causa – alcuna efficacia probatoria.

Tanto più che l’orientamento giurisprudenziale richiamato in sentenza si sofferma su un profilo temporale – ossia sulla necessità che il documento decisivo sia stato rinvenuto dopo l’emanazione della sentenza impugnata – del tutto neutro ai fini della questione in esame.

In primo luogo, infatti, il riconoscimento dell’autenticità della sottoscrizione è effettivamente avvenuto in un momento cronologicamente successivo alla pubblicazione della sentenza d’appello, e dunque l’orientamento citato non si pone di per sé in contrasto con l’ipotetico riconoscimento di un vizio ex art. 395, n. 3 c.p.c.

Inoltre – malgrado la contraria opinione di una parte della giurisprudenza, secondo cui il documento, ancorché rinvenuto dopo, deve preesistere all’emanazione della sentenza revocanda (Cass., 7 maggio 2014, n. 9865; Cass., S.U., 25 luglio 2007, n. 16402; Cass., 17 marzo 2000, n. 3116; Cass., 18 agosto 1997, n. 7653) – il tenore letterale della disposizione parrebbe assegnare rilevanza revocatoria anche alla diversa ipotesi, integrata nel caso di specie, in cui il documento non sia stato prodotto per la causa di “forza maggiore” rappresentata dalla sua materiale inesistenza nel corso del giudizio a quo.

Indizi, in tal senso, sono offerti dalla pacifica interpretazione del requisito della forza maggiore, introdotto con previsione innovativa dal legislatore del 1940 rispetto alla tradizione precedente.

L’istituto ha avuto una marginale applicazione (v. Cass., 30 maggio 2014,  n. 12162, secondo cui la forza maggiore, in materia di revocazione ex art. 395, n. 3 c.p.c., ricorre in presenza di un evento “straordinario, in nessun modo riconducibile ad un comportamento negligente della parte”) e trova più analitica disciplina nell’ambito del diritto sostanziale, laddove emergono i tratti fondamentali dell’“imprevedibilità” e dell’ “inevitabilità” (v. da ultimo Cass., 20 luglio 2016, n. 14892).

Da ciò la dottrina ha ricavato, in sintesi, che la condizione per far valere il motivo di revocazione in esame “finisce per essere la mancanza di colpa del soccombente” [Colesanti, voce “Sentenza civile (revocazione della)”, in Noviss. Dig. it., XVI, Torino, 1969, 1167; con le stesse parole già Andrioli, Commento al codice di procedura civile, II, Napoli, 1957, 628], ossia la ricorrenza di “situazioni personali (mancanza di colpa) che hanno impedito la conoscenza del documento” (Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, Milano, 1962, 326).

E ciò conferma, anche sotto tale profilo, che nulla avrebbe impedito alla Corte di ritenere integrata la fattispecie di cui all’art. 395, n. 3 c.p.c., risultando dimostrato – da documento successivamente rinvenuto dalla parte e a suo tempo non prodotto per un fatto eminentemente “a sé non imputabile”, quale è la venuta ad esistenza del documento soltanto in un momento successivo – che la sottoscrizione in calce al contratto preliminare era stata effettivamente apposta dal convenuto.