8 Novembre 2016

La responsabilità dell’amministratore senza delega: un altro intervento della Cassazione

di Antonio Morello, Avvocato Scarica in PDF

La responsabilità degli amministratori e, segnatamente, di quelli che siedono in consiglio senza deleghe (per non aver controllato, per essere rimasti inerti, per la complicità rispetto ad “altrui” decisioni, etc.) è certamente uno dei temi più dibattuti e controversi nelle aule di giustizia: la casistica giurisprudenziale riporta, infatti, posizioni non sempre collimanti soprattutto nel passaggio dalle fasi di merito al giudizio di legittimità.

Un caso quello da ultimo deciso dalla prima sezione della Suprema Corte con la sentenza n. 17441/2016 a chiusura (salvo il prosieguo davanti al giudice “del rinvio”) di una controversa vicenda giudiziaria. In sintesi estrema e semplificando, questi i fatti:

  • Tizio è socio della Xspa e della Yspa (di quest’ultima nella misura del 99%);
  • dopo due mesi dalla sua costituzione, la Yspa acquista dalla Xspa il 77% della ZSpa e viene pagata una prima (minima) parte del prezzo;
  • trascorso qualche ulteriore mese, Tizio cede a Caio e Sempronio una parte delle partecipazioni detenute nella Yspa che, quindi, varia compagine societaria ed al cui CdA prendono parte Caio, Sempronio e Mevio;
  • successivamente all’ingresso dei nuovi consiglieri, la Yspa alla Xspa paga la restante parte del prezzo di acquisto delle azioni;
  • la Yspa fallisce e, per la curatela, la causa principale del dissesto è da individuarsi, proprio, nell’operazione di acquisto compiuta dalla Yspa che quindi rappresenta l’atto di mala gestio in relazione al quale ai nostri giudici è stato chiesto (dalla curatela) di stabilire se vi fosse stata responsabilità (anche) di Caio, Sempronio e Mevio.

Le decisioni: dapprima, il Tribunale ha affermato la responsabilità e, per l’effetto, ha condannato al risarcimento del danno; successivamente la Corte d’Appello ha quasi dimezzato l’importo del risarcimento pur confermando l’affermazione di responsabilità; a chiudere la Suprema Corte che, con la nostra sentenza, “cassa tutto” e rinvia. Vediamo, allora, quali sono i “messaggi chiave” di quest’ultima decisione.

Anzitutto la S.C. richiama, assai opportunamente, i fondamentali principi cardine sulla responsabilità civile degli amministratori e cioè: (i) la responsabilità ha natura contrattuale (con le note e conseguenti implicazioni sul piano della distribuzione dell’onere probatorio tra chi agisce – es. curatore – e chi si difende); (ii) l’autorità giudiziaria non sindaca il merito delle decisioni gestorie (inteso anche come opportunità) ma, se così possiamo dire, il metodo e, cioè, come sono state assunte (si pensi all’avventatezza, all’azzardo, alla mala fede, all’imprudenza, etc.); (iii) quanto alla diligenza che si deve pretendere dagli amministratori nell’espletamento del’incarico non vale il paradigma “generico” del mandatario venendo, invece, in rilievo la natura dell’incarico e le specifiche competenze del singolo amministratore chiamato in giudizio (come ricorda l’art. 2392, c.c.).

Fatta questa premessa, alla domanda “se” e “in quale misura” gli amministratori privi di deleghe rispondono del danno da mala gestione, la S.C. così risponde:

  • gli amministratori senza deleghe devono certamente valutare l’andamento della gestione ma questo obbligo non si risolve in un generico dovere di vigilanza essendo chiamati a controllare l’azione gestoria per come, questa, è “descritta” dagli organi esecutivi (es. AD) e, cioè, per come questa azione è rappresentata nelle informazioni che gli organi esecutivi rendono loro;
  • ovviamente, questo non implica o autorizza – per così dire – il “disimpegno” degli amministratori privi di deleghe in quanto su costoro grava, comunque, l’obbligo di attivarsi di propria iniziativa per acquisire informazioni (ulteriori a quelle già disponibili) allorquando – ed è questo il punto chiave – emergano specifici segnali di allarme e, cioè, quando sono a conoscenza di elementi, dati, informazioni (etc.) di fronte ai quali non possono non intervenire ad esempio con approfondimenti o richieste di chiarimenti;
  • qualora questo tipo di verifiche facciano emergere la violazione dal parte degli amministratori senza deleghe di detti obblighi di condotta, la condanna al risarcimento non può considerarsi automatica perché richiede la prova del nesso di causalità tra il danno e la condotta degli amministratori: per stare al nostro caso, non era quindi sufficiente affermare che gli amministratori subentrati dopo la stipula del contratto di compravendita “incriminato” dovevano attivarsi per “annullarlo” (così peraltro evitando il pagamento della parte di prezzo che residuava) in quanto il giudice d’appello avrebbe dovuto chiarire, nello specifico, “in quali termini, ed avvalendosi di quali strumenti giuridici” gli amministratori potevano, giuridicamente, rimettere in discussione detto contratto.

In sintesi e conclusione: nell’ipotesi, assai ricorrente, in cui la gestione sia  nelle mani di uno solo degli amministratori (quello munito di deleghe), gli altri non rispondo dei danni da mala gestio qualora non vengono correttamente e completamente informati sull’andamento della gestione; l’ignoranza (nel senso detto) deve però essere – per così dire – “incolpevole” essendo decisivo accertare (come ricorda la sentenza n. n. 17441/16) se tra le informazioni comunicate agli amministratori privi di deleghe “vi fossero elementi tali da richiamare la loro attenzione, tenuto conto delle informazioni loro fornite e della apparente plausibilità di esse, sì da verificare se la condotta di inerzia, che la Corte d’appello risulta aver loro addossato nella sua mera oggettività, fosse invece connotata da colpa”.