11 Dicembre 2018

Remunerazione del lavoratore per il tempo impiegato dal lavoratore per raggiungere i cantieri della società

di Evangelista Basile Scarica in PDF

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 9 ottobre 2018, n. 24828

Differenze retributive – Messa a disposizione delle energie al datore di lavoro – Sussiste

MASSIMA

Deve essere cassata con rinvio la sentenza di appello che nega il diritto del lavoratore a differenze retributive, straordinari compresi, pur essendo pacifica la natura subordinata del rapporto di lavoro, motivato sul rilievo di una non meglio indicata autonomia organizzativa sulla base di una disposizione di risultato, così dimenticando che l’obbligazione a carico del prestatore di lavoro subordinato è di mezzi, non già di risultato, dovendosi ritenere che di conseguenza la prestazione vada remunerata in misura corrispondente al tempo complessivo di messa a disposizione delle energie lavorative occorrenti finalizzata allo svolgimento dei compiti più strettamente operativi previsti.

COMMENTO

Nel caso de quo, un lavoratore, avente mansioni di elettricista, ricorreva giudizialmente al fine di richiedere il pagamento delle ore di straordinario impiegate per raggiungere, con l’auto aziendale, i cantieri della società datrice siti in comuni diversi da quello ove ha sede l’azienda. La Corte d’Appello, condividendo l’orientamento già espresso dal Giudice di prime cure, respingeva l’interposto gravame in quanto (i) l’attività espletata dall’attore, consistita nella sostituzione delle lampade della pubblica illuminazione non funzionanti ed in lavori di piccola manutenzione presso vari comuni del territorio, non era legata a orari ed era gestita autonomamente dallo stesso lavoratore (ii) l’eventuale tempo trascorso dei suddetti comuni, soltanto in parte dedicato ad effettive prestazioni di lavoro non poteva essere qualificato come lavoro straordinario neanche sotto l’aspetto del lavoro di attesa in quanto neppure si poteva affermare che durante tutto il tempo trascorso dei suddetti comuni l’appellante fosse comunque a disposizione del datore di lavoro (iii) il tempo necessario per recarsi fuori sede poteva farsi rientrare nel normale orario di lavoro, tenuto conto il lavoratore non era obbligato a passare dalla sede aziendale all’inizio e al termine della giornata lavorativa, anche perché custodiva presso il proprio domicilio dell’automezzo di servizio. Avverso la decisione di secondo grado proponeva ricorso per cassazione il lavoratore. Secondo i giudici di legittimità, investiti della questione, nei rapporti di lavoro subordinato, laddove non sia pattuito il cottimo, la retribuzione spettante al prestatore deve commisurarsi alla durata temporale della messa a disposizione delle energie lavorative. Ciò in ragione della circostanza per cui, ai fini della misurazione dell’orario di lavoro, il D.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, che in attuazione della direttiva comunitaria n. 93/104/CE ha sostituito la precedente disciplina riaffermandone e specificandone i contenuti, definisce, sulla scorta delle indicazioni comunitarie (art. 2, par. 1, citata direttiva), l’orario di lavoro come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue finzioni” (art. 1, comma 2, lett. a). Alla luce di ciò il criterio di misurazione dell’orario di lavoro risulta composito, assumendo espresso e alternativo rilievo non solo il tempo della prestazione effettiva, ma anche quello della disponibilità del lavoratore e quello della sua presenza sui luoghi di lavoro. Ne deriva che pure i lavori discontinui o di semplice attesa e custodia, anche alla luce del D.lgs. 8 aprile 2003, n. 66, sono a tutti gli effetti compresi nella nozione di orario di lavoro di cui allo stesso D.lgs. n. 66 del 2003, art. 1, comma 2, lett. a), id est costituiscono lavoro effettivo e come tale da retribuirsi. Ciò posto, la Suprema Corte chiarisce altresì il criterio distintivo tra riposo intermedio – non computabile ai fini della determinazione della durata del lavoro – e semplice temporanea inattività, computabile, invece, a tali fini, e che trova applicazione anche nel lavoro discontinuo, e consiste nella diversa condizione in cui si trova il lavoratore, il quale, nel primo caso, può disporre liberamente di se stesso per un certo periodo di tempo anche se è costretto a rimanere nella sede del lavoro o a subire una qualche limitazione, mentre, nel secondo, pur restando inoperoso, è obbligato a tenere costantemente disponibile la propria forza di lavoro per ogni richiesta o necessità. Sulla scorta di tali principi, la Cassazione ha rinviato alla Corte territoriale per un nuovo esame della questione.