17 Ottobre 2017

Regolamento di giurisdizione: termine di proponibilità e altre questioni

di Giacomo Ubertalli Scarica in PDF

Cass., Sez. Un., 13 giugno 2017, n. 14650 – Pres. Rordorf – Rel. Di Virgilio

Giurisdizione – Regolamento – Proponibilità – Termine ultimo – Udienza di precisazione delle conclusioni – Fattispecie (art. 41 c.p.c.; art. 15, R.D. 16 marzo 1942, n. 267)

[1] Il regolamento di giurisdizione è ammissibile sino a quando non viene assunta la riserva sulla dichiarazione di fallimento (Nella specie il regolamento era stato proposto in una giudizio prefallimentare dopo l’udienza in cui la causa veniva trattenuta in decisione).

 CASO

[1] Con ricorso per regolamento di giurisdizione notificato in data 25.10.2016, il Sig. V.A., socio de La Picentina Alimentari s.r.l., prospettava alla Corte di Cassazione la carenza di giurisdizione del giudice italiano (segnatamente del Tribunale di Salerno) nell’ambito del procedimento per la declaratoria di fallimento della predetta società.

In particolare, il ricorrente deduceva che la società fallenda aveva trasferito la propria sede legale in Bulgaria, con contestuale cancellazione dal Registro Imprese italiano avvenuta oltre un anno prima, e che pertanto, ai sensi dell’art. 3, Reg. CE n. 1346/2000, la giurisdizione era del giudice bulgaro.

Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con sentenza n. 14650 depositata il 13.06.2017, hanno dichiarato l’inammissibilità del regolamento di giurisdizione affermando che il termine ultimo per la sua proposizione, secondo pacifica giurisprudenza, coinciderebbe con quello in cui il giudice trattiene la causa in decisione, mentre nel caso di specie il regolamento era stato proposto il giorno stesso in cui il collegio aveva emesso la sentenza di fallimento: ben oltre – quindi – il 28.06.2016, data in cui il Tribunale aveva assunto la riserva sulla dichiarazione di fallimento.

SOLUZIONE

[1] Le Sezioni unite dichiarano l’inammissibilità del regolamento di giurisdizione purché proposto oltre il termine finale previsto dall’art. 41 c.p.c.

QUESTIONI

[1] La sentenza annottata, pur se molto sintetica, offre l’occasione per un brevissimo excursus sul regolamento di giurisdizione e sulle sue principali questioni interpretative ed applicative.

Come noto, il regolamento di giurisdizione non è un mezzo di impugnazione ma lo strumento, eccezionale e straordinario (l’espressione è di Liebman, Manuale di diritto processuale civile, I, Milano, 1984, 24), con cui la parte, nel corso del primo grado di giudizio e prima che sia stato emesso un provvedimento di natura decisoria, chiede alla Corte di Cassazione (a Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374, comma 1°, c.p.c.) di pronunciarsi sulla sussistenza o meno della giurisdizione civile (su tale istituto la trattazione senza dubbio più completa – seppur un po’ risalente – è quella di Cipriani, Il regolamento di giurisdizione, Napoli, 1981; cfr.anche, ex plurimis, Montesano –Arieta, Trattato di diritto processuale civile, I, Padova, 2001, 115 ss.; Trisorio Liuzzi, voce Regolamento di giurisdizione, in Digesto Priv, Sez. civ., XVI, Torino, 1997, 507 ss.).

L’istituto in parola (introdotto con il codice di procedura civile del 1940 e modificato ad opera dell’art. 61, l. n. 353/1990 con l’eliminazione del meccanismo di sospensione automatica del processo di merito sino ad allora previsto) è oggetto di alcune questioni interpretative.

Una delle più rilevanti è quella relativa all’interpretazione dell’espressione letterale di cui all’art. 41, 1° comma, c.p.c. “finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado”: in argomento si è registrata un’evoluzione giurisprudenziale che, nel corso degli anni, è andata via via riducendo lo spettro applicativo di questo istituto attraverso un ampliamento del catalogo delle sentenze (rectius provvedimenti aventi natura decisoria) la cui pronuncia precluderebbe il regolamento di giurisdizione.

In particolare, sino ad una ventina di anni fa si riteneva che solo una pronuncia sul merito della causa, ancorché non intervenuta in sito alla procedimento di primo grado (per esempio quando la decisione investe una questione pregiudiziale, o preliminare, ma purché di merito: cfr. sul punto Cass., sez. un., 7 febbraio 2014, n. 2816, in https://pluris-cedam.utetgiuridica.it; ma ancor prima Cass., 16 dicembre 1992, n. 13313) precludesse l’attivazione dell’istituto di cui all’art. 41 c.p.c. Successivamente, a seguito del noto arresto giurisprudenziale delle Sezioni Unite nel 1996 (il riferimento è a Cass., 22 marzo 1996, n. 2466, in Foro it., 1996, I, 1635, con nota sostanzialmente adesiva di Cipriani, Le Sezioni Unite riscrivono l’art. 41 c.p.c. e sopprimono (o quasi) il regolamento di giurisdizione) la giurisprudenza si è assestata su una posizione di maggiore rigidità, ritenendo preclusiva rispetto alla proposizione del regolamento di competenza qualsiasi decisione, anche non sul merito, pronunciata dal giudice di primo grado (fortemente critici verso questa prospettazione, Montesano –Arieta, op. cit., 122).

Altra questione che è stata oggetto di dibattito, determinata dal silenzio dell’art. 41 c.p.c. sul punto, è quella relativa ai tipi di procedimento in cui possa essere attivato questo particolare istituto.

Certamente esso è proponibile nel giudizio di cognizione, mentre la giurisprudenza e la dottrina ritengono che non sia esperibile nei procedimenti di volontaria giurisdizione (cfr. Cass., sez. un., 10 febbraio 1987, n. 1392, in Giur. it., 1987, 1, I, 1180) e di esecuzione forzata (cfr. Cass., sez. un., 17 luglio 2008, n. 19601, in https://pluris-cedam.utetgiuridica.it; così anche Cass., sez. un., 26 ottobre 2000, n. 1139, in Giust. civ., 2001, I, 731) (in dottrina, su tutti, Cipriani, Il regolamento, cit., p. 2000) ed in generale in tutti quei procedimenti camerali che si concludono con una pronuncia che non è suscettibile di giudicato (in questi termini Cass., sez. un., 25 maggio 1993, n. 5847, I, 1525, con nota di Cipriani, Novità giurisprudenziali e normative sul regolamento di giurisdizione). Per quanto attiene ai procedimenti cautelari, la giurisprudenza di legittimità e di merito, dopo una primissima fase in cui aveva negato la proponibilità di tale strumento, ne aveva successivamente affermato l’ammissibilità; dopodiché la Consulta (Corte Cost., 19 novembre 1984, n. 294, in Foro it., 1985, I, 625) si è espressamente pronunciata per l’impossibilità di utilizzare questo strumento nel procedimento ex art. 700 c.p.c., in ciò seguita anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. anche Trisorio Liuzzi, op. cit., 529).

Si è anche discusso, aspetto che rileva nella vicenda oggetto della sentenza annotata, sulla proponibilità del regolamento di giurisdizione nel procedimento per la declaratoria di fallimento. Secondo un primo orientamento, minoritario ma autorevolmente sostenuto, nel procedimento in parola non sarebbe ammissibile il regolamento ex art. 41 c.p.c. (cfr. Ricci, Lezioni sul fallimento, I, Milano, 1992, 163 ss.), mentre la maggioranza della dottrina (AULETTA, in Trattato delle procedure concorsuali, diretto da Jorio –Sassani, I, Milano, 2014, 402; Pajardi –             Paluchowski, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 135) e la giurisprudenza, cui aderisce la sentenza qui annotata, ammettono la soluzione affermativa (cfr. ex plurimis, Cass., sez. un., 20 ottobre 2010, n. 21497, in Rep. Foro it., 2010, voce «Giurisdizione civile» n. 178).

Infine, un altro tema di discussione (anche questo affrontato, seppur brevemente, dalla pronuncia in commento) è quello del termine ultimo per la proposizione del regolamento (per un breve excurus, cfr. Mandrioli – Carratta, Manuale di diritto processuale civile, I, Torino, 2016, 260, nota 148).

Un primo orientamento della giurisprudenza di legittimità ne individuava il termine ultimo nella pubblicazione della sentenza (cfr. Cass., sez. un., 18 dicembre 1975, n. 4164, in Foro it., 1976, I, 52).

Successivamente, soprattutto al fine di evitare le prassi dilatorie di una strumentale proposizione del regolamento di giurisdizione (determinate dal meccanismo di sospensione obbligatoria del processo vigente sino alla l. n. 353/1990) la giurisprudenza ha anticipato il termine ultimo a quello dell’udienza di discussione o di precisazione delle conclusioni (in questi termini, ex plurimis, Cass., sez. un., 12 giugno 1980, n. 3738, in Foro it., 1980, I, 2789). Così sembra ancora orientata la giurisprudenza ed infatti, anche nella sentenza in commento, la Corte ha individuato nell’udienza di discussione sull’istanza di fallimento il termine oltre il quale il regolamento di giurisdizione non sarebbe stato più proponibile.

In realtà, come messo in evidenza da attenta dottrina (Trisorio Liuzzi, op. cit., 521), questo orientamento andrebbe rivisto alla luce del fatto che l’esigenza di impedire prassi dilatorie è oggi attenuata dal venir meno del meccanismo di sospensione necessaria del giudizio di merito. Forse, allora, il motivo per cui la giurisprudenza insiste su questo orientamento è (anche) un altro, di natura sistematica ed empirica: impedire l’avvio del regolamento di giurisdizione nella fase conclusiva del giudizio (al termine della quale la parte avrebbe comunque la possibilità di contestare la statuizione sulla giurisdizione con un mezzo ordinario di impugnazione) ed evitare, così, la pendenza contestuale del regolamento di giurisdizione e del giudizio di impugnazione (sul rapporto tra la pronuncia delle sezioni unite sul regolamento di giurisdizione e la sentenza di primo grado, cfr. Montesano – Arieta, op. cit., 125 s.)