27 Dicembre 2016

Il regime intertemporale delle impugnazioni delle sentenze che decidono il giudizio di opposizione all’esecuzione

di Domenico Cacciatore Scarica in PDF

 

Cass. Civ., Sez. III, sent. 18 gennaio 2016, n. 674 – Pres. Ambrosio – Est. D’Amico – P.M. Servello (diff.)

 

Opposizione all’esecuzioneImpugnazione – Inappellabilità introdotta dalla legge 24 febbraio 2006 n. 52 – successiva abrogazione – rimedio esperibile

(Cod. proc. civ., art. 616; Cost., art. 111 Cost.; l. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14; l. 18 giugno 2009, n. 69 artt. 49, 58)

[1] Per individuare il mezzo di impugnazione avverso una sentenza occorre avere riguardo alla legge processuale in vigore al momento della sua pubblicazione. In seguito alle modifiche dell’art. 616 c.p.c., introdotte dalla l. 24 febbraio 2006, n. 52, le sentenze, che abbiano deciso opposizioni all’esecuzione, pubblicate prima del primo marzo 2006 sono appellabili, mentre quelle pubblicate successivamente a tale data e fino al 4 luglio 2009 sono ricorribili per cassazione ex art. 111 Cost.. Le sentenze che sono state pubblicate dopo il 4 luglio 2009, data di entrata in vigore dalla l. 18 giugno 2009, n. 69, sono (nuovamente) appellabili, in virtù della soppressione dell’ultimo periodo dell’art. 616 c.p.c.

 

Cass. Civ., Sezioni Unite, 9 giugno 2016, n. 11844 – Pres. Amoroso – Est. Ambrosio – P.M. Pratis (conf.)

Opposizione all’esecuzioneImpugnazione – Cassazione  – Rinvio proprio – Ius superveniens – rimedio esperibile

(Cod. proc. civ., art. 616; Cost., art. 111 Cost.; Cod. proc. civ., artt. 383 e 384; l. 24 febbraio 2006, n. 52, art. 14; l. 18 giugno 2009, n. 69 artt. 49, 58)

[2] Salvo il caso di rinvio improprio (c.d. restitutorio), la sentenza emessa in sede di rinvio è soggetta ad impugnazione in via ordinaria unicamente con ricorso per cassazione; ciò in quanto il giudizio di rinvio conseguente a cassazione, pur dotato di autonomia, non dà luogo ad un nuovo procedimento, ma rappresenta una fase ulteriore di quello originario da ritenersi unico e unitario, che ha il suo “riferimento immediato” nel giudizio (rescindente) di cassazione. Tale regola si applica anche quando – avuto riguardo alla natura della controversia e al regime di impugnabilità vigente al momento della cassazione con rinvio – le parti siano state rimesse innanzi al giudice di primo e unico grado e, nelle more, sia mutato il regime di impugnabilità della sentenza cassata.

CASO
[1] La prima delle due sentenze in commento prende in esame una fattispecie in cui sede di esecuzione per rilascio veniva proposta opposizione avverso l’atto di precetto.

Il giudizio di primo grado veniva definito con sentenza emessa il 21 aprile 2008. La sentenza veniva impugnata con appello, che veniva rigettato.

La sentenza di secondo grado era oggetto di ricorso per cassazione.

 

[2] Il caso che ha dato la stura al giudizio concluso con la seconda delle sentenza in commento riguarda un’opposizione ex art. 615, comma 1, c.p.c., introdotto con atto di opposizione notificato  il 29 settembre 2005.

La causa è stata decisa con sentenza del 5 aprile 2006, avverso la quale è stato proposto ricorso per cassazione.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, per carenza di motivazione, ritenuta meramente apparente, rinviando la causa al primo giudice.

La causa è stata riassunta con atto notificato il 5 settembre 2009 e, quindi, successivamente all’entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, che ha modificato l’art. 616 c.p.c..

L’anzidetto giudizio di rinvio si concludeva con sentenza pubblicata il 18.3.2013, avverso il quale è stato proposto ricorso per cassazione.

Con ordinanza interlocutoria del 21 settembre 2015, n. 18608 la decisione della controversia veniva devoluta alle Sezioni Unite, ritenendo di massima e particolare importanza la questione da affrontare concernente l’individuazione del mezzo di impugnazione di una sentenza resa in sede di rinvio, nel caso in cui sia mutata la disciplina dell’impugnabilità rispetto al tempo in cui è iniziato il giudizio previsto dagli artt. 392 e ss. c.p.c..

 

SOLUZIONE

[1] La Corte di Cassazione ha statuito che il regime dell’impugnazione di una sentenza va individuato avendo riguardo alla legge processuale in vigore al momento della sua pubblicazione.

Nella fattispecie decisa, in relazione alla quale è stato espresso l’anzidetto principio, la sentenza di primo grado era stata emessa il 21 aprile 2008, nel vigore della disciplina di cui all’art. 616 c.p.c., così come modificato dall’art. 14., l.  24 febbraio 2006, n. 52.

L’art. 616 c.p.c., nel testo ratione temporis applicabile, infatti, prevedeva che la causa di opposizione all’esecuzione doveva essere decisa con sentenza non impugnabile. Di conseguenza, l’unico rimedio esperibile avverso tali sentenze era il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost..

La Suprema Corte, pertanto, considerata la data di emissione della sentenza e l’applicabilità dell’art. 616 c.p.c., nel testo vigente in seguito alle modifiche introdotte dalla l. 24 febbraio 2006, n. 52, in applicazione del principio secondo il quale la Corte di Cassazione può rilevare d’ufficio una causa di inammissibilità dell’appello non riscontrata dal giudice di merito (cfr. Cass. Civ. 27 novembre 2014, n. 25209), ha rilevato l’inammissibilità del gravame e cassato senza rinvio la sentenza resa nel secondo grado di giudizio.

 

[2] Le Sezioni Unite, con la seconda sentenza in epigrafe, hanno precisato che lo ius superveniens di cui alla l. 18 giugno 2009, n. 69, che ha modificato l’art. 616 c.p.c. nella parte in cui ha reintrodotto l’appellabilità delle sentenze conclusive dei giudizi di opposizione all’esecuzione, riguarda esclusivamente le decisioni rese nei giudizi pendenti in primo grado alla data del 4 luglio 2009.

Lo ius superveniens, invece, non  modifica il regime di impugnazione delle sentenze rese nelle controversie pendenti in primo grado alla data del 4 luglio 2009 a seguito di rinvio (c.d. proprio), disposto ad esito della conclusione del giudizio dinanzi alla Corte di cassazione. Rispetto a tali giudizio, dunque, continua a trovare applicazione l’art. 616 c.p.c., così come modificato dall’art. 14., l.  24 febbraio 2006, n. 52.

 

QUESTIONI

[1] La prima delle sentenze in commento si colloca nell’alveo dell’ormai consolidato e costante orientamento della giurisprudenza di legittimità che, avuto riguardo alle modifiche apportate al testo dell’art. 616 c.p.c., prima, dall’art. 14, l. 24 febbraio 2006, n. 52,  e, poi, dall’art. 49, comma 2, l. 18 giugno 2009, n. 69, ha delineato il regime intertemporale dell’impugnazione delle sentenze conclusive del giudizio di opposizione all’esecuzione, avendo riguardo alla legge in vigore al momento della pubblicazione della sentenza stessa (cfr., ex multis, Cass. Civ., 2 luglio 2015, n. 13628).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, le sentenze emesse nel vigore del vecchio testo dell’art. 616 c.p.c., ante l. 24 febbraio 2006, n. 52, sono appellabili.

Le sentenze rese nel vigore del testo dell’art. 616 c.p.c., così come modificato dall’art. 14 l. 24 febbraio 2006, n. 52 e fino all’entrata in vigore della l. 18 giugno 2009, n. 69, invece, sono ricorribili solo per cassazione ex art. 111 Cost., essendo espressamente prevista – nel secondo periodo dell’art. 616 c.p.c. – la non impugnabilità delle stesse pronunce.

Le sentenze emesse dopo la data di entrata in vigore dell’art. 58, comma 2, l. 18 giugno 2009, n. 69, che ha soppresso il secondo periodo dell’art. 616 c.p.c., infine, sono appellabili (v. Cass., 15 ottobre 2015, n. 20886; in senso conf. v. App. Lecce Taranto, 12 gennaio 2012 ).

Tali principi sono applicabili sia all’opposizione a precetto che all’opposizione all’esecuzione già iniziata (Cass., 30 aprile 2011, n. 9591).

 

[2] Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con la seconda delle sentenze che si annota, forniscono ulteriori precisazioni in ordine al regime intertemporale dell’impugnazione delle sentenze conclusive dei giudizi di opposizione all’esecuzione, evidenziando l’irrilevanza dello ius superveniens, di cui all’art. 49 L. 18 giugno 2009, rispetto ai giudizi pendenti in primo grado, alla data del 4 luglio 2009, a seguito di rinvio c.d. proprio.

Osservando che la cassazione con rinvio, conclusiva della fase rescindente, determina l’affidamento del giudizio rescissorio ad un giudice di pari grado rispetto a quello che a quello che ha deciso la sentenza cassata, le Sezioni Unite rilevano che il giudizio di rinvio non è un nuovo giudizio ma, piuttosto, una fase ulteriore rispetto a quello originario, confermando i principi già espressi dalla giurisprudenza di legittimità (cfr., in tal senso, Cass. Civ., Sez. Un. 17 settembre 2010, n. 19701).

Da tali principi consegue, quindi, che la sentenza emessa ad esito dello stesso giudizio di rinvio non può considerarsi sostitutiva di quella cassata, trattandosi di sentenza che, sulla base dei fatti già accertati, dirime la controversia nei limiti già delineati nella fase rescindente. Nel giudizio di rinvio, avente carattere unitario rispetto a quello originario, ai sensi dell’art. 394 c.p.c., infatti, le posizioni delle parti ed i termini della controversia rimangono “cristallizzati” nei termini già definiti nelle precedenti fasi processuali fino al giudizio di cassazione.

Sulla base di tali premesse, le Sezioni Unite affermano che l’unico giudice deputato a giudicare sulla sentenza resa in sede di rinvio e, quindi, sull’osservanza dell’applicazione dei principi di diritto espressi nella fase rescindente, non può che essere la Suprema Corte di Cassazione, e ciò anche quando la cassazione sia avvenuta con rinvio al primo e unico grado e, medio tempore, sia intervenuta una nuova disciplina riguardante il regime di impugnazione della sentenza di primo grado.

I giudici di legittimità giungono a tali conclusioni evidenziando che, se si ammettesse l’appellabilità della sentenza in applicazione dello ius superveniens, si finirebbe per ammettere il “recupero” di un grado di giudizio, in contrasto con i principi di economia processuale e con la funzione stessa del giudizio di rinvio.

Le Sezioni Unite, quindi, con la sentenza in esame, superano l’orientamento giurisprudenziale che, in applicazione del principio tempus regit actum, attribuiva rilevanza allo ius superveniens e l’applicazione, anche alle sentenze emesse ad esito del giudizio di rinvio, del regime impugnatorio vigente al momento della pubblicazione della sentenza (cfr. Cass. Civ., Sez. VI, 13 settembre 2013, n. 20984; Cass. Civ., Sez. VI, 5 aprile 2011, n. 7781).