17 Gennaio 2017

Il processo amministrativo telematico e l’invadenza delle regole tecniche

di Giuseppe Vitrani, Avvocato Scarica in PDF

Il 1° gennaio 2017 è entrato in vigore il Processo Amministrativo Telematico, noto anche con l’acronimo di PAT, che segna un completo switch-off del processo analogico conosciuto sino al 31 dicembre ’16.

La scelta del legislatore è stata dunque radicale visto che, contrariamente a quanto avvenuto per il processo civile telematico, si è previsto l’obbligo di redazione digitale di tutti gli atti di parte del processo e anche di tutti i provvedimenti assunti dai magistrati.

Naturalmente tutti gli atti devono essere muniti di firma digitale, sicché si è lasciato alle regole e specifiche tecniche il compito di individuare e descrivere le procedure per la sottoscrizione informatica.

A tal proposito le scelte operate dal dpcm 40 del 2016 sono state radicali e peculiari dal momento che si è prevista una procedura di apposizione della firma digitale attraverso dei moduli ricavati da un portfolio Adobe (nella sostanza, un modulo pdf all’interno del quale vengono allegati gli atti e i documenti a corredo del deposito) e si è scelto che “la struttura del documento con firma digitale è PAdES-BES” (art. 12, comma 6, specifiche tecniche allegate al dpcm 40/2016).

Una scelta di campo così netta appare comprensibile (per non dire necessitata) per quanto concerne l’apposizione della firma sul modulo di deposito, ma desta molti dubbi in altre ipotesi, in particolar modo con riferimento agli atti introduttivi.

Come noto l’avvio del processo amministrativo è segnato dalla notificazione del ricorso che, ora è stato finalmente codificato, potrà avvenire anche a mezzo PEC a norma della legge n. 53 del 1994; parliamo dunque di un atto giudiziario che deve ovviamente essere firmato digitalmente prima di essere allegato al modulo di deposito.

Anche in tal caso però l’atto dovrà essere sottoscritto utilizzando il formato di firma PAdES-BES, essendo dalle specifiche tecniche esclusa la possibilità di utilizzare altri formati, come ad esempio il CAdES-BES (che origina file in formato .p7m).

A questo punto la domanda da porsi è se, in punto di diritto, tale scelta appaia legittima o meno.

Ad avviso di chi scrive, per poter dare una risposta è necessario uscire dai confini nazionali per andare ad analizzare quanto dispone il regolamento UE n. 910 del 2014, meglio noto come eIDAS, il cui art. 25 detta una disciplina particolarmente interessante per l’analisi che si sta conducendo. I primi due commi prevedono infatti quanto segue:

1. A una firma elettronica non possono essere negati gli effetti giuridici e l’ammissibilità come prova in procedimenti giudiziali per il solo motivo della sua forma elettronica o perché non soddisfa i requisiti per firme elettroniche qualificate.

  1. Una firma elettronica qualificata ha effetti giuridici equivalenti a quelli di una firma autografa”.

È stato così codificato un principio, noto come di “non discriminazione”, che per la verità pervade l’intero regolamento comunitario e che di fatto obbliga tutti i membri della UE a non poter scegliere se una tipologia di firma digitale possa, o meno, avere validità.

Alla luce di tale normativa pare dunque evidente come la scelta operata per il processo amministrativo telematico, per di più effettuata all’interno di una fonte sub-secondaria (le specifiche tecniche), non sia aderente a quanto chiaramente previsto in una fonte normativa primaria e dotata di efficacia verticale ed orizzontale.

Tale aspetto delle specifiche tecniche andrebbe dunque ripensato e ben si farebbe a convergere sulle scelte operate tempo fa in materia di processo civile telematico, dove non si fanno scelte sulla tipologia di firma digitale utilizzabile.

Si ritiene infatti che un’eventuale decisione che sanzionasse un ricorso firmato digitalmente in CAdES-BES anziché in PAdES-BES non sarebbe corretta proprio alla luce dei principi espressi dalla normativa comunitaria (che prevalgono sulla disciplina interna per ovvie considerazioni sull’articolazioni del sistema delle fonti).

Un intervento normativo di siffatta natura certamente non avrebbe ripercussioni sull’architettura del processo, stante che il (solo) modulo di deposito dovrebbe essere firmato in PAdES-BES (per evidenti esigenze di compatibilità informatica) mentre verrebbe giustamente liberalizzato il regime di firma digitale per i ricorsi e per gli eventuali documenti allegati.

Si eviterebbe così di tenere in vita una norma in contrasto con il regolamento comunitario sopra menzionato e per tale ragione dovrebbe essere comunque disattesa in sede giudiziale.