3 Maggio 2017

Nuovo procedimento in camera di consiglio ex art. 380 bis e specificità dell’appello.

di Giorgia Vulpiani Scarica in PDF

Cass. civ., sez. VI, 22 febbraio 2017, n. 4541

Impugnazioni civili – Ricorso per Cassazione – Pronuncia in Camera di consiglio – Nuova formulazione art. 380 bis c.p.c. – Necessità motivazione proposta relatore – Esclusione – Sufficienza indicazioni sommarie

(Cod. proc. civ., art. 380 bis)

Impugnazioni civili – Appello – Forma dell’appello – Individuazione in modo chiaro ed esauriente del quantum appellatum

(Cod. proc. civ., art. 342)

[1] Il nuovo testo dell’art. 380 bis c.p.c., così come modificato dal d.l. 168/2016, conv. con modif. dalla l. 197/2016, a differenza della vecchia formulazione, non prevede che la proposta del relatore di trattazione camerale debba essere motivata, sicché le sommarie o schematiche indicazioni somministrate dal relatore e ritenute dal presidente meritevoli di essere segnalate alle parti – in sede di notifica del decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio – costituiscono una spontanea, ma assolutamente non dovuta, agevolazione per le parti ai fini dell’individuazione dei temi della discussione, senza, dunque, alcun diritto delle parti a conoscere in via preventiva l’orientamento del relatore.

[2] Il nuovo testo dell’art. 342 c.p.c. non richiede che le deduzioni della parte appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone all’appellante di individuare in modo chiaro ed esauriente il quantum appellatum, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata, nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono e formulando, sotto il profilo qualitativo, le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, in modo da esplicitare l’idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione censurata, sia pure con un grado di specificità ben più accentuato rispetto al passato.

 CASO

Tizio citava in giudizio Caio per sentirlo condannare al risarcimento dei danni patiti in seguito all’aggressione subita da parte del convenuto. La domanda veniva rigettata dal tribunale e il soccombente proponeva appello.

La corte territoriale dichiarava il ricorso inammissibile per violazione dell’art. 342 c.p.c.

Avverso tale sentenza Tizio proponeva ricorso per Cassazione.

SOLUZIONE

[1] Preliminarmente, il giudice relatore formulava proposta di definizione del procedimento in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis, co. 1, c.p.c., così come novellato dall’art. 1 bis, co. 1, lett. e), d.l. 31 agosto 2016, n. 168, conv. con modifiche dalla l. 25 ottobre 2016, n. 197.

In vista dell’adunanza, le parti presentavano le memorie di cui al secondo comma dell’art. 380 bis c.p.c. nelle quali lamentavano l’assenza di motivazione della proposta del relatore.

A tal riguardo, il Supremo Collegio disattende le doglianze delle parti, in quanto la riforma del 2016 non prevede che la proposta del relatore debba essere motivata, essendo sufficienti sommarie o schematiche indicazioni e non potendosi configurare un diritto delle parti a conoscere in via preventiva l’orientamento del giudicante.

[2] La Corte accoglie il primo motivo di ricorso ritenendo che dovesse considerarsi ammissibile ex art. 342 c.p.c. l’appello formulato dal soccombente in secondo grado.

Il Supremo Collegio, dunque, cassa la gravata sentenza e dispone il rinvio per la decisione nel merito a Corte territoriale diversa.

QUESTIONI

Il provvedimento in commento permette di soffermarsi su due interessanti questioni in materia di impugnazioni civili:

1) il procedimento per la decisione in camera di consiglio di cui all’art. 380 bis c.p.c. come novellato dal d.l. 168/2016, conv. con modifiche dalla l. 197/2016;

2) il contenuto e forma dell’atto di appello ai sensi dell’art. 342 c.p.c.

[1] L’art. 1 bis, co. 1, lett. e), d.l. 31 agosto 2016 recante «misure urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di Cassazione, per l’efficienza degli uffizi giudiziari, nonché per la giustizia amministrativa», convertito con modificazioni dalla l. 25 ottobre 2016, n. 197 ha novellato l’art. 380 bis c.p.c., in virtù del quale: a) nei casi previsti dall’art. 375, co. 1, nn. 1 e 5, c.p.c., su proposta del relatore, il presidente fissa con decreto l’adunanza della Corte, indicando se è stata ravvisata un’ipotesi di inammissibilità, manifesta infondatezza o manifesta fondatezza del ricorso; b) il decreto viene notificato almeno venti giorni prima della data stabilita per l’adunanza agli avvocati delle parti, i quali possono presentare memorie non oltre cinque giorni prima dell’adunanza stessa; c) la Corte in camera di consiglio rimette la causa alla pubblica udienza della sezione semplice, nel caso in cui ritenga che non ricorrano le ipotesi di cui all’art. 375 co. 1, nn. 1 e 5.

La vecchia formulazione del suddetto articolo prevedeva, invece, che a) il relatore depositasse una relazione contenente «la concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi in fatto e diritto in base ai quali ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio»; b) il decreto venisse notificato anche al pubblico ministero il quale poteva presentare memorie; c) gli avvocati delle parti e il pubblico ministero potessero chiedere di essere sentiti.

La riforma ha, dunque, eliso la necessità di una relazione motivata e la facoltà per i difensori delle parti di essere sentiti, al fine di snellire la trattazione in camera di consiglio.

A tal riguardo, il Supremo Collegio afferma che non solo il nuovo testo dell’art. 380 bis c.p.c. non prevede che la relazione del relatore sia motivata, ma anche che, in armonia con i principi generali di rango costituzionale e sovranazionale, non può configurarsi un diritto della parte a conoscere in via preventiva l’orientamento del relatore o del giudicante sul tema del decidere, in modo da poter interloquire al riguardo.

In dottrina si è osservato che, in generale, con la riforma del 2016 la decisione in camera di consiglio non costituisce più un’eccezione riservata a limitati casi, ma è diventata regola generale di trattazione dei ricorsi per cassazione e, proprio con particolare riferimento alla nuova formulazione dell’art. 380 bis, si è rilevato un contrasto con i principi di cui agli artt. 24, co. 2, e 111, co. 2, Cost., in quanto si configurerebbe un vulnus al diritto di difesa (v. Carratta, La cameralizzazione del giudizio in Cassazione e la garanzia del contraddittorio a rischio, www.processocivileweb.it, 2017; Punzi, La nuova stagione della Corte di Cassazione e il tramonto della pubblica udienza, in Riv. dir. proc., 2017, 1; v. anche in questa newsletter, Cossignani, La sommarizzazione del giudizio dinanzi alla Corte di cassazione).

Sul punto, la Cassazione si è espressa con l’ordinanza del 10 gennaio 2017, n. 395, secondo la quale la questione di legittimità costituzionale del nuovo testo dell’art. 380 bis, per contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., è manifestamente infondata. Secondo la Corte, infatti, con la riforma del 2016, volta allo snellimento e deflazione del contenzioso in sede di legittimità in attuazione dei principi della ragionevole durata del processo e dell’effettività della tutela giurisdizionale, il legislatore ha inteso modulare il giudizio di cassazione in ragione di una suddivisione del contenzioso in base alla valenza nomofilattica o meno delle cause, riservando il procedimento camerale a quelle prive di un siffatto connotato. Inoltre, la garanzia del contraddittorio sarebbe assicurata dalla previsione della facoltà per le parti di presentare memorie per illustrare le proprie ragioni non solo in funzione delle difese svolte dalla controparte, ma anche in merito alla proposta del relatore sulla trattazione camerale. Il Collegio osserva, peraltro, che il principio della pubblicità dell’udienza non riveste carattere assoluto e può essere derogato in presenza di particolari ragioni giustificative, ove obiettive e razionali (così Corte cost. 11 marzo 2011, n. 80). Più in particolare, tale deroga è consentita nei casi in cui il procedimento sia volto a risolvere questioni di diritto o comunque non di fatto, tramite una trattazione rapida dell’affare, e di non peculiare complessità (v. Cass., sez. un., 20 aprile 2004, n. 7585; Cass., sez. VI, 18 giugno 2012, n. 9983; Cass., sez. I, 9 ottobre 2015, n. 20282; Cass., sez. II, 5 maggio 2016, n. 9041).

[2] Quanto alla seconda questione, la Corte si pone nel solco dell’orientamento consolidato, in ordine al contenuto e alla struttura dell’atto di appello (v., tra le più recenti, Cass., sez. lav. 5 febbraio 2015, n. 2143; Cass., sez. lav., 25 agosto 2016, n. 17327).

Afferma, infatti, la Corte che l’art. 342 c.p.c., così come novellato dal d.l. 83/2012, conv. con modif. dalla l. 134/2012, non richiede che le deduzioni dell’appellante assumano una determinata forma o ricalchino la decisione appellata con diverso contenuto, ma impone l’individuazione in modo chiaro ed esauriente del quantum appellatum (v. per la giurisprudenza di merito, v. Picozzi, La specificità dei motivi di appello al vaglio della giurisprudenza di merito, e Di Giovanna, In tema di filtro in appello ex art. 342 c. p. c., entrambi in questa newsletter).

L’appellante ha, dunque, l’onere di circoscrivere il giudizio di gravame facendo riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata e formulando le ragioni del dissenso rispetto al percorso argomentativo adottato dal giudice di prime cure e la loro idoneità a determinare la modifica del provvedimento impugnato, offrendo, inoltre, una ragionata e diversa soluzione della controversia.

Nel caso sottoposto al suo esame, pertanto, la Corte ritiene che l’atto d’appello dichiarato inammissibile dalla Corte territoriale contenesse tutti i requisiti previsti dall’art. 342 c.p.c.

Conseguentemente, accogliendo il primo motivo di ricorso, il Collegio cassa con rinvio la sentenza impugnata.