24 Gennaio 2017

Obbligazioni solidali e abuso dei mezzi di espropriazione

di Giuseppe Bertolino Scarica in PDF

Tribunale di Marsala, 3 agosto 2016 (ord.) – Pres. Genco; – Est. Vaccaro

Espropriazione presso terzi – moltiplicazione delle azioni esecutive – correttezza e buona fede – abuso dei mezzi di espropriazione – conseguenze (Cost., art. 111; cod. proc. civ., artt. 543, 624 comma 2, 669 terdecies; cod. civ. art  1292)

 [1] Il comportamento del creditore procedente, che promuove contestualmente quattro autonome azioni esecutive innanzi al medesimo Tribunale per l’intero credito di € 1.787,00 (di cui € 1.522,00 per spese legali liquidate in sentenza, € 68,00 per spese vive ed € 197,00 per compensi relativi alla redazione dell’atto di precetto) nei confronti di quattro debitori solidali, costituisce un uso distorto degli strumenti del processo esecutivo, poiché vìola il principio di correttezza e buona fede ed il principio costituzionale del giusto processo; di conseguenza il creditore, che abbia ottenuto il pagamento dell’intero credito da uno dei debitori, non ha diritto di procedere ad espropriazione contro gli altri debitori per il pagamento delle spese di precetto e delle spese di esecuzione.

 CASO

[1] Con quattro distinti atti di precetto, Tizio intimava a Caio, Sempronio, Mevio e Saturno, in qualità di debitori solidali, il pagamento di € 1.787,00, di cui € 1.522,00 per spese legali liquidate in sentenza, € 68,00 per spese vive ed € 197,00 per compensi relativi al precetto; alla scadenza del termine per il pagamento, il creditore dava inizio, avanti al medesimo tribunale, a tante espropriazioni presso terzi quanti erano i condebitori precettati.

All’udienza di comparizione innanzi al giudice dell’esecuzione, il creditore procedente, sulla base della dichiarazione positiva del terzo, chiedeva l’assegnazione delle somme pignorate per la soddisfazione dei crediti relativi a spese e a compensi legali di precetto, nonché a compensi e spese legali di esecuzione; il creditore precisava che la sorte intimata nell’atto di precetto, successivamente alla notifica dello stesso, era stata pagata dal condebitore solidale Nettuno. Analoga dichiarazione veniva resa negli altri procedimenti esecutivi.

I tre debitori esecutati proponevano separate opposizioni ex art. 615 cod. proc. civ., contestando il diritto a procedere esecutivamente nei loro confronti, assumendo che il titolo esecutivo era stato emesso soltanto nei confronti di Nettuno.

Nel giudizio di opposizione proposto da Caio, il G.E., ritenuti sussistenti “gravi motivi”, sospendeva l’esecuzione, ex art. 624 cod. proc. civ., ed assegnava alle parti il termine per l’introduzione del giudizio di merito.

Tizio proponeva reclamo avverso l’ordinanza di sospensione ed esponeva che, dalla lettura del titolo esecutivo, emergeva che la condanna era stata emessa nei confronti dei quattro debitori, ai quali era stato notificato l’atto di precetto.

Aggiungeva che il creditore può chiedere il pagamento dell’intero a tutti i condebitori in solido e che permane un residuo diritto di credito per spese di precetto e per spese di esecuzione, nonostante l’intervenuto pagamento della sorte capitale da parte di altro condebitore solidale.

Caio, costituitosi in giudizio, chiedeva il rigetto del reclamo.

SOLUZIONE

[1] Il collegio del tribunale di Marsala ha accolto il primo motivo di reclamo ed ha affermato che il titolo esecutivo conteneva la condanna di tutti i condebitori.

Tuttavia il collegio ha rigettato il reclamo.

In particolare, il Tribunale ha affermato che il diritto del creditore di procedere esecutivamente per il pagamento della somma portata dal titolo, contro uno o più coobbligati, deve necessariamente coniugarsi con l’osservanza degli obblighi di correttezza e buona fede e con il principio del giusto processo.

Avere intrapreso quattro autonome azioni esecutive nei confronti di quattro debitori solidali per la medesima (esigua) somma costituisce un abuso dei mezzi di espropriazione.

I giudici hanno, inoltre, condannato il reclamante a rifondere alla parte reclamata le spese del giudizio e, ai sensi dell’art. 96 comma 3 cod. proc. civ., la somma di € 2.500,00 equitativamente determinata, nonché dato atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13 comma 1 quater D.P.R. 115/2012 per l’applicazione della sanzione ivi prevista (ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione).

QUESTIONI

[1] La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha rilevato che il canone generale di buona fede oggettiva e di correttezza è una estrinsecazione del dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 della Costituzione, siccome tendente a comprendere nella funzione del rapporto obbligatorio pure la tutela della controparte, nel perseguimento di un giusto equilibrio tra gli opposti interessi.

Dall’operatività del principio di buona fede sul piano negoziale, ove ad esso sono riconosciuti effetti modificativi od integrativi dell’autoregolamentazione delle parti, la Suprema Corte ha fatto derivare la sua estensione o proiezione anche nel campo processuale (cfr. Cass., sez. un., 15 novembre 2007 n. 23726; Cass., civ., 15 aprile 2015, n. 6664; sugli argomenti trattati da queste sentenze si veda la nota di Cossignani, Frazionamento del credito e abuso del processo: panorama giurisprudenziale, in Eclegal del 22 giugno 2015).

L’esigenza dell’equilibrio nel rapporto obbligatorio va mantenuta ferma in ogni successiva fase, sicché l’equilibrio non può essere alterato in danno del debitore ad iniziativa unilaterale del creditore, se non a prezzo di un autentico abuso del processo.

L’ordinanza in commento muove da tali princìpi per affermare che il creditore procedente, che ha contestualmente intrapreso quattro autonome azioni esecutive innanzi il medesimo Tribunale per una somma esigua nei confronti di quattro debitori solidali, abusa dei mezzi di espropriazione, in quanto vìola i principi generale di correttezza e buona fede e del giusto processo.

L’uso distorto degli strumenti del processo esecutivo presuppone l’esercizio del potere da parte di chi ne è pur sempre titolare legittimo, ma per scopi diversi da quelli per i quali quel potere è riconosciuto dalla legge: scopi ulteriori e deviati, in genere extraprocessuali, rispetto a quelli tipici ed usuali, tanto che l’abuso si caratterizza nel «fine esterno» dell’iniziativa processuale, cioè nella non corrispondenza tra il mezzo processuale ed il suo fine.

Nella fattispecie il collegio del Tribunale rileva che per riscuotere un credito di appena € 1.600,00 sono state richieste in favore del creditore procedente (rectius: del suo difensore), spese legali per oltre € 4.000,00.

Il fine del processo esecutivo è il soddisfacimento del credito consacrato nel titolo esecutivo in favore del creditore ed in danno del debitore, ma evidenti esigenze sistematiche di equità, economicità e proficuità del processo, impongono che tanto avvenga con il minor possibile sacrificio delle contrapposte ragioni di entrambi i soggetti.

Il creditore ha diritto ad ottenere quanto gli compete in forza del titolo (sia pure, se necessario, avendo la facoltà di azionarlo più volte o con più procedure, comunque non oltre l’integrale soddisfacimento del credito e con il limite del divieto del cumulo ai sensi dell’art. 483 cod. proc. civ.), ma va correlativamente tutelata l’aspettativa del debitore a non vedere diminuito il suo patrimonio in misura eccedente a quanto sia necessario per la realizzazione del diritto del creditore.

Il tribunale di Marsala, nel percorso logico che guida la decisione, evidenzia che la Suprema Corte ha dichiarato la nullità di un atto (di precetto) che non sia finalizzato alla piena e rapida soddisfazione delle ragioni del creditore, e che si traduca, invece, in una moltiplicazione delle spese, a carico della parte debitrice, rivelandosi un distorto mezzo di arricchimento (Cfr. Cass., civ., 15 aprile 2015, n. 6664).

Il tribunale ha rilevato “d’ufficio” l’illegittima moltiplicazione delle spese esecutive, richiamando i principi di buona fede e correttezza (che regolano anche il processo esecutivo) e la definizione di Celso per cui il diritto era “ars boni et equi”.

In forza di questi principi, il tribunale ha negato al creditore il diritto al rimborso delle spese degli atti di precetto e delle esecuzioni, che avevano inutilmente aggravato la posizione dei debitori.

L’ordinanza è da condividere anche nella parte in cui condanna per responsabilità aggravata il creditore procedente.