27 Settembre 2016

Mediazione volontaria, mancata cooperazione e risarcimento del maggior danno

di Giacinto Parisi Scarica in PDF

Trib. Milano, Sez. XI, 21 luglio 2016, n. 9205

Mediazione volontaria – Mancata cooperazione – Soccombenza nel giudizio successivamente instaurato – Inerenza delle spese della mediazione al recupero del credito – Risarcimento del maggior danno – Sussiste (Cod. civ., art. 1218, 1224, comma 2; d.leg. 4 marzo 2010, n. 28, art. 2)

[1] La mancanza di cooperazione nella procedura di mediazione volontaria, preventivamente esperita dal creditore al fine di evitare l’instaurazione della causa, comporta la condanna del debitore soccombente al pagamento delle spese della mediazione a titolo di maggior danno.

CASO

[1] Prima di instaurare un giudizio per il pagamento dei corrispettivi dovuti in virtù di un contratto di somministrazione, «allo scopo di non gravare il Condominio di troppe spese di contenzioso», la parte creditrice aveva promosso una procedura di mediazione volontaria, la quale, tuttavia, non aveva sortito esito positivo, in ragione della mancata adesione del condominio debitore al tentativo di conciliazione.

Con la proposizione della domanda giudiziale, la creditrice aveva, quindi, chiesto al Tribunale di condannare il condominio anche al pagamento del maggior danno subito a causa dell’infruttuoso esperimento della procedura di mediazione.

SOLUZIONE

[1] Il Tribunale di Milano ha accolto la domanda promossa dalla creditrice sul presupposto che, pur non rientrando la controversia in questione tra quelle per cui è previsto l’obbligatorio esperimento del tentativo di mediazione ai sensi dell’art. 5, comma 1° bis, d.leg. 28/2010, la procedura avviata volontariamente dalla creditrice «era tuttavia maxime opportuna» in quanto il suo esito positivo avrebbe consentito ad ambo le parti di evitare i costi e i tempi del giudizio, contribuendo altresì al deflazionamento del carico giudiziario dell’Ufficio.

Pertanto, in applicazione del suesposto principio, il Tribunale ha ritenuto che gli esborsi sostenuti dalla creditrice per la preventiva instaurazione della procedura di mediazione, essendo causalmente inerenti al recupero del credito vantato, dovessero essere posti a carico del condominio, debitore soccombente, a titolo di maggior danno, ex art. 1218 e 1224, comma 2°, c.c.

QUESTIONI

[1] La sentenza in epigrafe merita di essere segnalata poiché affronta per la prima volta – a quanto consta dai precedenti editi  la questione della condanna della parte soccombente nel giudizio al pagamento delle spese sostenute dalla parte vincitrice per l’avvio di una procedura di mediazione volontaria.

Occorre a tale proposito osservare che tale principio si è già attestato in giurisprudenza relativamente alle controversie rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 5, comma 1° bis (già comma 1°), d.leg. 28/2010, per le quali si ritiene che «stante la riconducibilità eziologica del procedimento di composizione della lite all’inadempimento del convenuto, in forza del principio di causalità le spese sostenute per l’obbligatoria mediazione sono recuperabili dal vincitore, in quanto esborsi (art. 91 c.p.c.)» (Trib. Modena 9 marzo 2012; in dottrina, M.A. Lupoi, Rapporti tra procedimento di mediazione e processo civile, 2012).

Invece, secondo attenta dottrina, le spese sostenute per l’avvio di una procedura di mediazione volontaria (ossia, non imposta dalla legge quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale) dalla parte vincitrice non possono essere poi addebitate in capo alla parte risultata soccombente all’esito del giudizio, in quanto non necessarie (e, dunque, non causalmente connesse) ai fini dell’introduzione della domanda giudiziale: in tale ipotesi, infatti, la parte istante assume consapevolmente l’alea, anche dal punto di vista degli oneri di procedura, di un esito negativo del tentativo di conciliazione (in tal senso, V. Amendolagine, Spese di mediazione sempre a carico dell’attore quando il convenuto è contumace, 2016; E. Guidoni, Quale sorte per le spese di mediazione nel giudizio: breve riflessione sull’art. 13 D.Lgs. n. 28/2010, 2012, § 3; in senso parzialmente difforme, A. Cerchia, Nota in tema di ripetibilità delle spese di mediazione, 2013).

La sentenza in commento, affermando per la prima volta un principio contrastante con l’orientamento attestatosi in dottrina, inquadra la questione sotto il profilo della liquidazione del maggior danno ex art. 1224, comma 2°, c.c. e, ai fini di dimostrare la sussistenza di un nesso causale tra gli esborsi sostenuti dalla creditrice per l’avvio della procedura di mediazione e l’inadempimento del debitore, in modo da motivare la condanna alle spese di quest’ultimo, sostiene che «la procedura di mediazione … benché non obbligatoria per legge … era tuttavia maxime opportuna, in quanto, in caso di espletamento con successo, avrebbe consentito ad ambo le parti, incluso lo stesso debitore, di evitare i costi ed i tempi del presente giudizio».

Tale statuizione, soprattutto considerata nella sua sostanziale apoditticità, appare problematica: infatti, portandola alle estreme conseguenze, si dovrebbe concludere nel senso che, a fronte della proposizione di una espressa domanda sul punto, il convenuto soccombente sia sempre tenuto a risarcire all’attore le spese che quest’ultimo ha sostenuto per l’instaurazione della procedura di mediazione (ancorché facoltativa), venendosi dunque a determinare una sorta di responsabilità oggettiva non normativamente prevista.