13 Novembre 2018

L’usucapione speciale per la piccola proprietà rurale

di Francesco Tedioli, Avvocato Scarica in PDF

Cass. sez. II, 30 Luglio 2018, n. 20068- Pres. Petitti – Rel. Cavallari

Contratti agrari – Piccola proprietà contadina – Regolarizzazione del titolo di proprietà – Usucapione speciale per la piccola proprietà rurale – Decreto di riconoscimento della proprietà – Natura di sentenza – Esclusione – Opposizione – Estinzione del giudizio – Effetti – Passaggio in giudicato del decreto – Configurabilità – Esclusione.

Procedimento civile – Estinzione del processo – Per inattività delle parti e per mancata prosecuzione o riassunzione – Riassunzione a seguito di sentenza di incompetenza – Qualificazione come atto di riassunzione o introduttivo di un nuovo giudizio – Criteri – Idoneità e tempestività – Verifica – Eventuale dichiarazione di estinzione del processo – Attribuzione esclusiva del giudice “ad quem“.

 (L. 10 maggio 1976, n. 346, art. 3; art. 50 c.p.c.)

[1] In tema di usucapione speciale prevista dall’art. 1159 bis c.c., il decreto di riconoscimento della proprietà rurale di cui alla legge n. 346 del 1976 non ha valore di sentenza e, quindi, non è idoneo a passare in cosa giudicata, conferendo solo una presunzione di appartenenza del bene a favore del beneficiario del provvedimento fino a quando, a seguito dell’opposizione di cui all’art. 3 della citata legge o di un autonomo giudizio, non vi sia stata una pronuncia di accertamento della proprietà; ne consegue che l’eventuale estinzione del giudizio di opposizione determina la caducazione e non la consolidazione del decreto che sia stato emesso.

[2] Quando, a seguito di sentenza dichiarativa dell’incompetenza del giudice adito, sia stata posta in essere un’attività processuale astrattamente riconducibile al modello della riassunzione, spetta al giudice davanti al quale la riassunzione stessa sia stata effettuata stabilire se essa, come concretamente attuata, sia tempestiva e, più in generale, risponda ai requisiti di forma e di contenuto necessari perché si verifichi l’effetto della continuazione del processo davanti al giudice “ad quem” e sia evitata l’estinzione. A tal fine, è necessario compiere un attento esame del contenuto sostanziale dell’atto di riassunzione per verificare la sussistenza di una non equivoca volontà di proseguire il giudizio inizialmente promosso, volontà configurabile anche implicitamente, senza che occorra una espressa dichiarazione in questo senso

CASO

[1] Nel 1989 P.M. proponeva ricorso contro Bu.Gi. per reintegra nel possesso di un terreno che il primo aveva in comproprietà con L.D.C. Il Pretore di Velletri, Sez. dist. di Anzio, dichiarava inammissibile il ricorso, accogliendo l’eccezione di decadenza formulata dal resistente.

Bu.gi. depositava, sempre presso lo stesso ufficio giudiziario, ricorso al fine di ottenere il riconoscimento dell’usucapione speciale, ai sensi della L. n. 346 del 1976, del summenzionato terreno. Contro tale richiesta P.M. proponeva opposizione. Il Pretore, dichiarata la propria incompetenza per valore, nel 1997, invitava la parte più diligente a riassumere il giudizio, nel termine di 90 giorni, avanti il Tribunale di Velletri, Sez. dist. di Anzio.

Solo nel 2003, Bu.gi., con ricorso, riassumeva (tardivamente) la procedura avanti il Tribunale, che, nel 2004, emetteva decreto di accertamento dell’usucapione speciale abbreviata.

Il Tribunale di Velletri, con l’intervento in giudizio di B.M. (acquirente della quota di proprietà dell’immobile appartenente a L.D.C.), con sentenza del 2007, accoglieva la domanda di usucapione proposta da Bu.gi. Sia P.M. che B.M. (i due comproprietari) proponevano appello contro tale pronuncia.

Nel 2012, la Corte di Appello di Roma respingeva la domanda di usucapione speciale abbreviata del Bu.gi., ma riconosceva l’usucapione ordinaria ventennale del terreno in oggetto.

Nel frattempo Bu.gi., con atto notificato nel 2009 alla Macom srl, avente causa di P.M. e B.M.,  proponeva, davanti al Tribunale di Velletri, domanda di usucapione ordinaria ventennale dell’immobile oggetto di causa, definita dallo stesso Tribunale nel 2012, con sentenza poi appellata nel 2013.

B.M. e P.M. proponevano ricorso per cassazione sulla base di sette motivi, cui resistevano con controricorso O.R., Bu.Si., Pa. e Gi., nella qualità di eredi di Bu.gi., deceduto.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiarato estinto il giudizio di primo grado. In particolare, l’estinzione è conseguenza della tempestiva eccezione sollevata dopo la riassunzione  in primo grado dai comproprietari P.M. e B.M., e del decorso del termine indicato dall’art. 50 c.p.c., a far data dalla pronuncia di incompetenza del Pretore.

QUESTIONI

La S.C. ribadisce alcuni principi che possono considerarsi pacifici, perché discendono dalla corretta applicazione delle norme codicistiche o sono espressione di indirizzi ormai consolidati.

[1] Anzitutto, la Corte ricorda che, in tema di usucapione speciale prevista dall’art. 1159 bis c.c.,  il decreto di riconoscimento della proprietà rurale di cui alla L. n. 346 del 1976, emesso senza contraddittorio, non ha valore di sentenza, neppure in senso sostanziale (sugli aspetti processuali dell’istituto, D’Alessandro, Giudizi di usucapione e problemi di identificazione del convenuto, in Riv. dir. Civ., 2016, 1361; più in generale, Belloni, Peressutti, “Usucapio brevis” nell’agricoltura. Una legge riformatrice e alcune modifiche implicite al codice civile, ivi, 1977, 128; Bisignano, Usucapione speciale ex art. 1159 bis c.c.: decorrenza, in Giur agr, 1991, 268; Carrozza, Una nuova figura: l'”usucapione agraria“, in Riv. dir. agr. 1976, 671). Non può, quindi, in alcun caso, divenire res iudicata, in pregiudizio di quanti, rimasti estranei al procedimento pretorile, intendano far valere i propri diritti reali sul bene, di cui è stata riconosciuta la proprietà mediante il decreto. Esso conferisce solo una presunzione di appartenenza del bene a favore del beneficiario del provvedimento fino a quando, a seguito dell’opposizione di cui all’art. 3 della citata legge o di un autonomo giudizio, non sia emessa pronuncia di accertamento della proprietà (Cass. 12 settembre 2003, n. 13423, in Gius, 2004, 774; Cass. 28 gennaio 2000, n. 975, in Giust. civ. 2000, 1987; Cass. 05 settembre 1989, n. 3856;  Trib Reggio Emilia 8 gennaio 1991). Ne consegue che l’eventuale estinzione del giudizio di opposizione determina la caducazione e non la consolidazione del decreto (Cass.,  29 luglio 2004, n. 14373, in F. it., Rep. 2004, voce Agricoltura).

[2]  La Corte di Cassazione ha inoltre statuito che il procedimento di usucapione speciale sottoposto al suo esame doveva reputarsi nullo per tardiva riassunzione del giudizio di primo grado, nonché per la violazione dell’art. 3, L. n. 346 del 1976. Il Tribunale avrebbe, infatti, errato nel qualificare, come atto introduttivo di un nuovo giudizio, il ricorso con il quale, in realtà, era stato riassunto il procedimento concluso con pronuncia del 9 novembre 1997 del Pretore di Velletri, dichiarativa della propria incompetenza per valore.

Sul punto va ricordato come la giurisprudenza sostiene che, quando, a seguito di provvedimento dichiarativo dell’incompetenza del giudice adito, sia stata posta in essere un’attività processuale astrattamente riconducibile al modello della riassunzione, spetta al giudice davanti al quale detta attività sia stata spiegata stabilire se essa, come concretamente posta in essere, sia tempestiva e, più in generale, risponda ai requisiti di forma e di contenuto necessari perché si verifichi l’effetto della continuazione del processo davanti al giudice “ad quem” e, conseguentemente, sia evitata l’estinzione (Cass. 12 maggio 2010,  n. 11498, in D&G online 2010; Cass. 6 marzo 1997 n. 1968).

In particolare, spetta al giudice procedere ad un attento esame del contenuto sostanziale di detto atto in tutto il suo contesto, onde verificare la possibilità o meno di ricavare, dal suo tenore complessivo, un’implicita, ma non equivoca, volontà di proseguire il giudizio inizialmente promosso, configurabile pure in assenza della manifestazione di un espresso intendimento di continuare il precedente processo (Cass. 4 ottobre 2012, n. 16924; Cass. 23 novembre 2007, n. 24444, in dottrina si veda Saletti, La riassunzione del processo civile, Milano, 1981, 305).

Nel caso di specie, l’atto in questione recava l’espressa denominazione di “atto di riassunzione” e le domande contenute nello stesso erano identiche a quelle della causa conclusa con la declaratoria di incompetenza. Ma questo non ha impedito al giudice adito di ravvisare in quello proposto l’atto introduttivo di un nuovo giudizio: sulla base di quali ragioni, è obbiettivamente difficile stabilirlo, non essendosi esso giudice preoccupato di esplicitarle.

Trattandosi di riassunzione, sia il Tribunale che la Corte di Appello di Roma avrebbero dovuto rilevare la tardività dell’iniziativa (essendo decorsi 5 anni dalla pronuncia di incompetenza).  Pertanto, avrebbe dovuto trovare applicazione l’art. 50 c.p.c., in base al quale, se la riassunzione della causa davanti al giudice competente non avviene nel termine indicato nel provvedimento di incompetenza, il processo si estingue (in dottrina, Vaccarella, Inattività delle parti e estinzione del processo di cognizione, Napoli, 1975).