24 Settembre 2019

L’ordinanza di assegnazione del credito pignorato è censurabile mediante opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, comma 2, c.p.c., tanto in caso di mancata dichiarazione del terzo debitor debitoris, quanto in caso di erronea interpretazione della dichiarazione resa

di Cecilia Vantaggiato Scarica in PDF

Cass. civ. Sez. III, Sent. 02-07-2019, n. 17663 – Pres. De Stefano – Rel. D’Arrigo

Nei pignoramenti presso terzi ai quali si applicano le modifiche di cui alla l. 24 dicembre 2012, n. 228, e successive, l’impugnazione prevista dall’art. 548 c.p.c., comma 2, e dall’art. 549 c.p.c., concernenti rispettivamente l’ordinanza pronunciata in caso di mancata dichiarazione del terzo e quella con cui il giudice dell’esecuzione risolve le contestazioni sorte sulla dichiarazione, si deve proporre con ricorso al giudice dell’esecuzione, nelle forme e nei termini previsti dall’art. 617 c.p.c., comma 2.

CASO

S.W. procedeva esecutivamente per la riscossione di un credito di lavoro nei confronti della società debitrice, sottoponendo a pignoramento ex art. 543 c.p.c. le somme alla stessa dovuta dalla D. s.r.l., da B.L. e da G.A. I terzi pignorati rendevano dichiarazione negativa a mezzo PEC e lettera raccomandata ma, ciò nonostante, il giudice dell’esecuzione procedeva all’assegnazione delle somme pignorate con ordinanza. A seguito della notifica dell’ordinanza, i terzi pignorati proponevano opposizione ai sensi dell’art. 617, comma 1, c.p.c. con atto di citazione.

Nel contraddittorio delle parti, il Tribunale veneziano dichiarava inammissibile l’opposizione avverso l’ordinanza di assegnazione, osservando che la stessa doveva essere proposta con ricorso al giudice dell’esecuzione nel rispetto dei termini di cui all’art. 617, comma 2, c.p.c.

Avverso tale decisione gli opponenti hanno proposto ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 Cost.

SOLUZIONE

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, statuendo che il rimedio da utilizzare per contestare l’ordinanza di assegnazione del credito pignorato emessa ai sensi dell’art. 553 c.p.c. è l’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617, comma 2, c.p.c., da proporre con ricorso al giudice dell’esecuzione nel termine di venti giorni dalla conoscenza legale del provvedimento.

QUESTIONI

La questione risolta dalla Suprema Corte attiene alla corretta individuazione degli strumenti posti a tutela del terzo pignorato avverso l’ordinanza di assegnazione del credito pignorato, emessa dal giudice dell’esecuzione ai sensi degli artt. 548 o 549 c.p.c.

Come noto, nell’espropriazione mobiliare presso terzi si richiede la collaborazione fattiva del debitor debitoris, il quale ha l’onere di rendere la dichiarazione sull’esistenza e sulla consistenza del credito pignorato secondo le modalità richieste dall’art. 547 c.p.c. (PEC o raccomandata al creditore pignorante) ovvero comparendo all’udienza successivamente fissata, in caso di mancata dichiarazione con le suddette modalità telematiche o postali. Ove il terzo non renda la dichiarazione neppure all’udienza successivamente fissata dal giudice dell’esecuzione e notificata al terzo dal creditore pignorante, il credito pignorato si intende non contestato e può essere assegnato, salvo esazione, purché le allegazioni del pignorante ne consentano l’identificazione. Quando, invece, non operi la non contestazione e occorra accertare l’esistenza e l’entità del credito, su istanza di parte il giudice dell’esecuzione attiva un procedimento incidentale all’espropriazione presso terzi, nel quel è necessariamente coinvolto il terzo quale litisconsorte necessario e che si conclude con l’accoglimento o con il rigetto dell’istanza di assegnazione, senza efficacia di giudicato sostanziale, ma solo ai fini della procedura e dell’eventuale formazione di un titolo esecutivo a carico del terzo.

Gli artt. 548 e 549 c.p.c. hanno subito numerose modifiche: in principio, infatti, la legge non distingueva il caso dell’omessa dichiarazione e quello della dichiarazione reticente o comunque di contenuto contestato, poiché il creditore per ottenere una pronuncia sull’an e sul quantum del credito pignorato, era tenuto ad instaurare un ordinario giudizio di accertamento; nel corso del tale giudizio la condotta del terzo che, avendo omesso di rendere la dichiarazione innanzi al giudice dell’esecuzione, non l’avesse resa neppure nel corso del primo grado, poteva essere equiparata alla mancata risposta nel caso di interrogatorio formale (art. 548 c.p.c., comma 2).

Nel 2013 è stato soppresso il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, estremamente lungo e complicato, differenziando il regime giuridico a seconda della condotta tenuta dal terzo. Ove questi non avesse reso la dichiarazione né per iscritto né all’udienza successivamente fissata, non si sarebbe più fatto luogo al giudizio d’accertamento: il silenzio del debitor debitoris veniva equiparato alla non contestazione, consentendo al giudice dell’esecuzione di pronunciare l’ordinanza di assegnazione, impugnabile nelle forme e nei termini di cui all’art. 617 c.p.c., onerando però il terzo di provare di non aver avuto tempestiva conoscenza del procedimento per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore. Anche nel caso di contestazioni sul contenuto della dichiarazione resa dal terzo, il g.e. avrebbe dovuto risolverle con ordinanza ex art. 549 c.p.c., accogliendo o rigettando l’istanza di assegnazione del credito formulata dal creditore pignorante. Anche in tale caso, l’ordinanza, producendo effetti ai soli fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione, risulta impugnabile nelle forme e nei termini di cui all’art. 617 c.p.c.

Non sono mancate negli anni successivi ulteriori modifiche, ad opera dapprima della L. 162/2014 (applicabile ai processi esecutivi iniziati a decorrere dall’11 dicembre 2014), che ha mutato l’art. 548 c.p.c. nella parte in cui prevedeva un diverso regime a seconda che il credito pignorato avesse o meno natura di credito di lavoro e successivamente della L. 132/2015, che ha circoscritto gli effetti della c.d. ficta confessio ai soli casi in cui “l’allegazione del creditore consente l’identificazione del credito”, estendendo inoltre l’ambito di applicazione dell’art. 549 c.p.c. non solo ai casi di dichiarazione contestata, ma anche a quelli in cui pur “a seguito della mancata dichiarazione del terzo non è possibile l’esatta identificazione del credito”.

Nel caso sottoposto alla Corte di cassazione l’unica modalità di impugnazione dell’ordinanza di assegnazione (sia ove resa nel silenzio del debitor debitoris, sia ove emanata all’esito della contestazione sul contenuto della dichiarazione) è l’opposizione agli atti esecutivi di cui all’art. 617, comma 2, c.p.c., proposta entro venti giorni al giudice dell’esecuzione che ha emesso l’ordinanza impugnata.

Di recente la stessa Suprema Corte ha ricordato (sent. n. 5489 del 26/02/2019) come l’ordinanza di assegnazione di un credito, costituendo l’atto conclusivo del procedimento di esecuzione forzata per espropriazione di crediti, ha natura di atto esecutivo. Pertanto, essa deve essere impugnata con il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi tutte le volte in cui si facciano valere vizi, ancorché sostanziali, attinenti all’ordinanza di assegnazione oppure ai singoli atti esecutivi che l’hanno preceduta.

Correttamente, quindi, la Corte ha individuato nel ricorso al giudice dell’esecuzione la forma di proposizione dell’opposizione ex art. 617, comma 2, c.p.c.

Del resto, che l’opposizione agli atti esecutivi sia il rimedio per contestare l’ordinanza di assegnazione è stato più volte ribadito dagli Ermellini (cfr. Cass. civ. sez. III, 25/02/2016, n.3712). Con l’ordinanza di assegnazione il giudice dell’esecuzione, valutata l’idoneità del titolo esecutivo e la pretesa del creditore (cfr. Cass. n. 5510/03), trasferisce il credito vantato dal debitore esecutato nei confronti del terzo pignorato, tenendo conto della dichiarazione resa da quest’ultimo: spetta, infatti, al giudice dell’esecuzione non solo il potere-dovere di delibare sommariamente il titolo esecutivo e la correttezza della quantificazione operata dal creditore nel precetto, ma anche quello di interpretare la dichiarazione del terzo e trarne le dovute conseguenze quanto al credito oggetto dell’assegnazione.

Il terzo pignorato può quindi contestare il provvedimento di assegnazione, sostenendo che il giudice dell’esecuzione abbia errato nell’interpretare la sua dichiarazione come positiva: il rimedio offerto dall’ordinamento, per sostenere che, in effetti, la dichiarazione era negativa, è quello dell’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617, comma 2, c.p.c. (cfr., tra le altre, n. 10180/05 e Cass. n. 4578/08); lo stesso rimedio è a disposizione del terzo il quale intenda contestare l’interpretazione data dal giudice dell’esecuzione alla dichiarazione del terzo anche sotto altri profili, così ad es. quanto all’attualità o all’esigibilità o all’entità del credito di che trattasi.

L’attività di interpretazione della dichiarazione del terzo, tipicamente riservata al giudice dell’esecuzione, è funzionale all’emissione di un atto conclusivo dell’esecuzione: ne consegue che l’opposizione agli atti esecutivi risulta essere l’unico rimedio esperibile avverso l’ordinanza di assegnazione, sia da parte del terzo, che da parte del debitore o del creditore, che lamentino l’erroneità di detta interpretazione, per avere inteso come positiva una dichiarazione negativa ovvero per avere determinato il credito, nei suoi caratteri o nel suo ammontare, erroneamente intendendo la dichiarazione del terzo (cfr. sul punto Cass., 20/11/2012, n.20310) o errando nell’accertamento meramente funzionale all’espropriazione forzata, compiuto ai sensi del novellato art. 549 c.p.c.

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