1 Ottobre 2019

Locazione e patto traslativo di imposta: per le Sezioni Unite è valida la clausola contrattuale che obbliga il conduttore a farsi carico di imposte e tasse relative all’immobile locato

di Alessandra Sorrentino, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., Sezioni Unite, 08 marzo 2019, n. 6882 – Pres. Vivaldi – Rel. Scarano

Locazione di immobile ad uso non abitativo – Patto di traslazione di imposta – Nullità ex art. 53 Cost. – Nullità ex art. 79 l. 392/1978 – Validità – Condizioni.

(art. 53 Cost.; art. 79 l. 392/1978; art. 1363 c.c.; art. 1366 c.c.; 1369 c.c.)

[1] È valida la clausola del contratto di locazione ad uso diverso da abitazione secondo la quale nel corso dell’intera durata del rapporto il conduttore si farà carico di ogni tassa, imposta e onere relativo al bene locato ed al contratto tenendo conseguentemente manlevato il locatore relativamente agli stessi, il quale sarà, invece, tenuto al pagamento delle tasse, imposte e oneri relativi al proprio reddito. Detta clausola, invero, non prevede un obbligo diretto del conduttore verso il fisco di pagamento delle imposte a vario titolo gravanti sull’immobile, bensì solo del pagamento dei relativi oneri nei confronti del locatore, non determinando detta pattuizione una traslazione in capo al conduttore delle imposte gravanti sull’immobile a carico del proprietario, ma la mera integrazione del canone di locazione dovuto. La clausola va intesa come prevedente una ulteriore voce o componente costituente integrazione del canone locativo, concorrendo a determinarne l’ammontare complessivo a tale titolo dovuto dal conduttore.

[2]La clausola di un contratto di locazione (nella specie, ad uso diverso), che attribuisca al conduttore l’obbligo di farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere relativo ai beni locati ed al contratto, manlevando conseguentemente il locatore, non è affetta da nullità per contrasto con l’art. 53 Cost. – configurabile quando l’imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito ma da un soggetto diverso, obbligatosi a pagarla in vece e conto del primo – qualora essa sia stata prevista dalle parti come componente integrante la misura del canone locativo complessivamente dovuto dal conduttore e non implichi che il tributo debba essere pagato da un soggetto diverso dal contribuente, trattandosi in tal caso di pattuizione da ritenersi in via generale consentita in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge.

CASO

[1] [2] La società conduttrice di un immobile adibito ad uso ufficio agiva in giudizio, avanti al tribunale di Prato, onde ottenere la restituzione di quanto corrisposto alla società locatrice, in forza della clausola inserita nel contratto di locazione, con cui le parti avevano pattuito la traslazione – dal proprietario al conduttore – di imposte, tasse ed oneri gravanti sull’immobile locato.

La conduttrice faceva valere la nullità di detta clausola, stante il contrasto con il principio di cui all’art. 53 Cost. nonché con il divieto imposto dall’art. 79 l. n. 392/1978.

Il Giudice di primo grado rigettava la domanda attorea, ritenendo legittimo il patto de quo, giacché esso non prevedeva un obbligo diretto della conduttrice verso il fisco di pagamento delle imposte a vario titolo gravanti sull’immobile, bensì soltanto che la stessa si facesse carico, nei confronti della società locatrice, dei relativi oneri.

La pronuncia veniva confermata in appello.

La conduttrice proponeva ricorso in cassazione, lamentando, tra l’altro, che il fenomeno della traslazione di imposte, tasse ed oneri gravanti sul bene locato in capo al conduttore violerebbe sia l’art. 53 Cost., secondo cui tutti devono concorrere alla spesa pubblica in ragione della propria capacità contributiva, sia l’art. 79 l. n. 392/1978.

La Terza sezione civile, mediante ordinanza interlocutoria (Sez. III, ord. 28 novembre 2017, n. 28437), rimetteva gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione alle Sezioni Unite, con il compito di chiarire se, al di là delle ipotesi in cui vi siano divieti espressi di traslazione dell’imposta, l’art. 53 Cost. (norma di natura imperativa) possa costituire un limite generale all’autonomia negoziale privata in tema di individuazione del soggetto passivo dell’imposta, impedendo alle parti di neutralizzare pattiziamente gli effetti della capacità contributiva.

SOLUZIONE

[1] [2] Le Sezioni Unite con la sentenza in commento hanno affermato il principio di diritto secondo cui “è legittima nel contratto di locazione ad uso diverso da abitazione la clausola secondo cui il conduttore deve farsi carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati, tenendo «manlevato» il locatore, dovendosi ritenere che detta pattuizione non determini la traslazione in capo al conduttore dei tributi gravanti sull’immobile a carico del proprietario/locatore, ma la mera integrazione del canone di locazione”.

La liceità della clausola sussiste, secondo il Supremo Collegio, allorquando essa non preveda un obbligo diretto del conduttore verso l’ente impositore di pagare le imposte gravanti sull’immobile, ma soltanto l’obbligo del conduttore di “manlevare” il locatore da tale onere, nel senso cioè di provvedere al relativo rimborso.  Così intesa la clausola contrattuale de quo non comporta violazione né dell’art. 53 Cost., né dell’art. 79 l. n. 392/1978, per le ragioni che di seguito si esamineranno.

QUESTIONI

[1] Le Sezioni Unite hanno sintetizzato i motivi in cui il ricorso è articolato nell’esame della validità della clausola di un contratto di locazione di immobile ad uso non abitativo, che attribuisca al conduttore di farsi carico di ogni tassa, imposta ed onere relativi al bene locato ed al contratto, tenendone conseguentemente manlevato il locatore.

Tale questione implica la risoluzione della più ampia problematica se l’art. 53 Cost., che impone di concorrere alle spese pubbliche proporzionalmente alla capacità contributiva, costituisca un limite all’autonomia privata, per quanto attiene all’individuazione del soggetto passivo d’imposta, impedendo alle parti di neutralizzare con pattuizioni private gli effetti della capacità contributiva, con conseguente nullità del patto che identifica un soggetto diverso rispetto a quello tenutovi per legge; ed ancora se l’obbligo contenuto nella predetta disposizione abbia natura solo oggettiva, nel senso che il debitore d’imposta risponde, in ragione della sua capacità contributiva, dell’obbligazione tributaria, che tuttavia può essere adempiuta da un soggetto diverso, o anche soggettiva nel senso che l’obbligazione tributaria deve essere adempiuta esclusivamente dal soggetto indicato dalla legge, escludendo la possibilità di traslare tale obbligo ad un soggetto diverso.

Al fine di pervenire ad una soluzione della problematica, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, è partita dall’analisi di due precedenti del 1985 anch’essi resi a Sezioni Unite, in cui però oggetto della clausola contrattuale erano le imposte dirette e non le imposte e tasse relative all’immobile, come nella specie che ci occupa.

La prima pronuncia n. 5/1985, in relazione ad un contratto di mutuo, ha dichiarato la nullità, sia ex art. 1418 c.c. sia ex art. 53 Cost., della clausola con cui venga pattuita l’imposizione a carico del mutuatario di quanto il mutuante è tenuto a versare all’Erario. Secondo i giudici di legittimità, poiché un soggetto è obbligato al versamento di un tributo in stretto rapporto al reddito percepito, il relativo adempimento deve gravare sul soggetto avente la corrispondente capacità contributiva. In altre parole, il sacrificio economico derivante dal pagamento del tributo, e quindi la riduzione del patrimonio, conseguente all’adempimento, deve essere sopportato esclusivamente dal soggetto alla cui capacità contributiva si riferisce l’obbligazione e non da un soggetto diverso e detentore di un patrimonio diverso da quello su cui è prevista l’imposizione tributaria. Sulla scorta di tale ragionamento, le Sezioni Unite con la sentenza n. 5/1985 hanno dichiarato che è “vietato e nullo (ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, c.c. e per contrasto con l’art. 53 Cost.) qualunque patto con il quale un soggetto, ancorché senza effetti nei confronti dell’erario, riversi su altro soggetto……. il peso della propria imposta, sia che si tratti d’imposta diretta che di imposta indiretta”.

Nell’ipotesi delle imposte dirette (in particolare, Irpeg e Ilor), peraltro, la correlazione con la capacità contributiva è più evidente, talché è più forte l’esigenza che il tributo incida effettivamente sul soggetto obbligato per legge e non su soggetti diversi.

Ad una diversa conclusione sono approdate le Sezioni Unite con la seconda pronuncia n. 6445/1985, anch’essa in tema di mutuo, con cui, pur muovendo dai medesimi presupposti argomentativi della sentenza n. 5/1985, hanno statuito la nullità, per illiceità della causa in quanto contraria all’ordine pubblico, del patto traslativo di imposta, nella sola ipotesi in cui l’imposta non venga corrisposta al fisco dall’effettivo percettore del reddito ma da altro soggetto, ed escludendo quindi la nullità di tali pattuizioni nel caso in cui l’imposta venga regolarmente pagata al fisco dal contribuente, ma si convenga che l’obbligazione di cui si stipula l’accollo abbia ad oggetto una somma di importo pari al tributo, che ha la funzione di integrare il “prezzo” della prestazione negoziale.

In tal caso, infatti, la clausola prevede un’integrazione del canone di locazione e non una traslazione dell’obbligazione tributaria.

Con tale pronuncia, le Sezioni Unite, muovendo dalla portata dell’art. 53 Cost., che, come si è detto, ha natura di norma imperativa, la cui violazione implica la nullità delle pattuizioni con esso confliggenti, hanno precisato che l’”autonomia privata non può alterare i connotati dei tributi diretti, strutturati in modo che “ad ogni capacità contributiva debba corrispondere inderogabilmente una riduzione del patrimonio del titolare della capacità contributiva stessa”….., poiché, alla stregua dei principi scaturenti dal coordinamento degli artt. 2 e 53 Cost., esige che quel concorso, imposto al contribuente, incida sul suo patrimonio“.

Quindi, secondo le Sezioni Unite 6445/1985 non basta oggettivamente che sia soddisfatta l’obbligazione verso il fisco, ma occorre altresì che tale obbligazione sia adempiuta dal soggetto individuato dalla legge come soggetto passivo del tributo.

Muovendo da tale principio, le S.U. 6445/1985 hanno affermato che “la clausola del contratto di mutuo, che faccia obbligo al mutuatario di rimborso al mutuante delle imposte afferenti gli interessi convenuti (nella specie, IRPEF e ILOR), sì da garantire un determinato ammontare netto degli interessi medesimi, non è affetta da nullità per violazione di norme imperative, né in particolare per violazione del precetto costituzionale del concorso di tutti alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva ex art. 53 Cost., atteso che tale clausola non implica che l’imposta afferente un reddito venga corrisposta al Fisco da un soggetto diverso dal suo percettore, obbligatosi a pagarla in sua vece e conto, ma configura una mera traslazione convenzionale del carico di imposta, da ritenersi in via generale consentita in mancanza di una specifica diversa disposizione di legge (per finalità peculiari di singoli tributi), e si esaurisce in un incremento dei proventi del mutuante in misura pari alla somma che deve versare all’ Erario, senza alcun esonero né da quest’ultimo versamento, né dall’obbligo di dichiarare all’Amministrazione finanziaria il maggior reddito conseguente al rimborso di tale versamento, e di pagare le ulteriori imposte dovute sullo stesso maggior reddito”.

Nella sentenza in commento, che si riferisce esclusivamente alle imposte sull’immobile e non anche alle imposte sui redditi percepiti dal locatore a titolo di canone di locazione, le Sezioni Unite si sono allineate al secondo precedente, che è poi stato anche confermato dalla giurisprudenza di legittimità successiva (Cass. civ., 18.11.2009, n. 24307; Cass. civ., 29.11.2004, n. 22369; Cass. civ., 27.11.1999, n. 13261; Cass. civ., 25.03.1995, n. 3577; Cass. civ., 03.06.1991, n. 6232) fino a diventare principio consolidato e condiviso dalla dottrina maggioritaria.

I giudici di legittimità hanno escluso che, nel caso di specie, gli accordi di traslazione degli oneri fiscali possano qualificarsi illegittimi, giacché essi non violano né il principio costituzionale di cui all’art. 53, relativo alla capacità contributiva, né il divieto di traslazione del carico fiscale ad un soggetto diverso dal titolare.

E ciò in quanto, nella fattispecie, l’obbligo di pagamento dell’imposta sull’immobile resta in capo al proprietario (soggetto passivo individuato dalla legge), ma questi può chiederne il rimborso (in tal senso va interpretato il termine “manlevare”) al conduttore, in forza dell’accordo negoziale.

Vero è quindi che le imposte sull’immobile devono essere sostenute dal proprietario dello stesso e che l’Ente impositore individua in esso il soggetto che vi è tenuto, ma è altrettanto vero che l’Ente si disinteressa se, poi, per accordo tra le parti, i contraenti scelgano di operare un rimborso o una diversa forma di pagamento variamente posta a carico del conduttore.

Né vi è violazione dell’art. 79 l. 392/1978, secondo cui è nulla ogni pattuizione con cui le parti di un contratto di locazione ad uso non abitativo concordino occultamente un canone maggiore di quello dichiarato, a prescindere dalla registrazione del contratto, poiché nella specie si tratta di canone di locazione ab origine realmente pattuito (Cass. civ., SS.UU., 09.10.2017, n. 23601). Si è, cioè, in presenza di un canone dichiarato in due componenti delle quali, l’una rappresenta una parte della controprestazione della locazione, mentre l’altra una controprestazione aggiuntiva.

Chiarito, quindi, che non c’è violazione né dell’art. 53 Cost., né dell’art. 79 L. loc., le Sezioni Unite del 2019 hanno poi ribadito i limiti dell’autonomia privata in relazione ai tributi, che devono essere corrisposti all’Ente impositore (che individua nel proprietario dell’immobile il soggetto tenuto al pagamento delle imposte ad esso relative) in proporzione alla capacità contributiva di ciascuno, precisando poi che nell’ambito dell’autonomia privata i contraenti sono liberi di prevedere un rimborso a carico del conduttore.

Ciò trova la sua giustificazione nel dato che il legislatore ha ritenuto di vincolare l’autonomia negoziale dei contraenti soltanto per quanto concerne la durata del contratto di locazione, la tutela dell’avviamento e la prelazione, mentre l’ammontare del canone di locazione è lasciato alla libera determinazione delle parti, che “possono ben prevedere l’obbligazione di pagamento per oneri accessori”.

In questa prospettiva le Sezioni Unite hanno confermato il ruolo essenziale dell’istituto della rivalsa affinché sia resa “neutrale” la tassazione in testa al sostituto, “presentandosi come un credito del… medesimo verso il contribuente pari alla somma di cui egli è debitore verso il fisco (e che ha già corrisposto)” poiché “una pattuizione di esonero dalla rivalsa, se consentita, comporterebbe l’effetto di alterare immediatamente e direttamente il carico tributario perché il patrimonio del contribuente non verrebbe inciso, non verificandosi da parte sua quell’esborso verso il fisco che realizza il doveroso carico tributario e non presentandosi qui con effetto compensativo l’incremento tassabile che ne consegue poiché tale ulteriore tassazione non vale a ripristinare il vuoto contributivo da cui è conseguito l’aumento di reddito, non essendo omologhe le situazioni in raffronto“.

Passando in rassegna la giurisprudenza precedente formatasi in tema di imposte sui redditi, le Sezioni Unite, con la sentenza in commento, ne hanno confermato i principi con riferimento alle imposte sugli immobili  (ICI prima ed IMU poi), oggetto del giudizio, ed hanno rigettato il ricorso, affermando che sono lecite le clausole contrattuali – quale quella del caso di specie –   che non prevedono un obbligo diretto del conduttore verso il fisco di pagare le imposte gravanti sull’immobile, ma solo l’obbligo del medesimo conduttore di manlevare il locatore da tale onere, nel senso di operare il rimborso, con ciò legittimando la determinazione del canone in due diverse componenti: una rappresentata dalla parte espressamente qualificata come canone, l’altra come componente integrante tale misura, costituita dalla pattuizione di “manlevare” il locatore dall’onere tributario inerente all’immobile locato ed al contratto.

Di qui è stato affermato il principio di diritto secondo cui “è legittima nel contratto di locazione ad uso diverso da abitazione la clausola secondo cui il conduttore deve farsi carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai beni locati, tenendo manlevato il locatore, dovendosi ritenere che detta pattuizione non determini la traslazione in capo al conduttore dei tributi gravanti sull’immobile a carico del proprietario/locatore, ma la mera integrazione del canone di locazione”.

Le Sezioni Unite hanno qualificato, quindi, la clausola contenuta nel paragrafo 7.2 del contratto di locazione, come voce integrativa del canone di locazione, concorrendo a determinare l’onere economico complessivo da sostenersi da parte del conduttore ed hanno chiarito che la clausola traslativa degli oneri fiscali deve essere interpretata secondo le pregresse trattative tra i contraenti ed, in particolare, alla luce dell’interesse pratico che, con la stipulazione e la specifica previsione, le parti hanno inteso in concreto realizzare, tenuto anche conto del contesto dell’operazione di sale & lease back nel quale la pattuizione è maturata.

La ricerca della comune intenzione dei contraenti deve avvenire attraverso una sorta di interpretazione sistematica del testo contrattuale, impiegando, quale norma centrale del processo interpretativo, l’art. 1363 c.c.

Il significato delle singole clausole contrattuali deve rappresentare l’esito di una complessa indagine nella quale ogni singola clausola acquisti un senso compiuto e “definitivo” per mezzo dell’altra e in virtù di un’attribuzione di senso che emerga da una lettura complessiva dell’atto.

A tal fine le Sezioni Unite hanno individuato, quali criteri interpretativi “integrativi” rispetto a quelli finalizzati alla semplice ricerca della comune intenzione delle parti, il criterio dell’interpretazione funzionale di cui all’art. 1369 c.c. ed il criterio dell’interpretazione secondo buona fede di cui all’art. 1366 c.c.

In forza di questi strumenti, rispettivamente, il significato dell’accordo deve essere accertato in coerenza con la relativa ragione pratica o causa concreta ed in conformità con l’esigenza di non suscitare falsi affidamenti, ovvero di non contestare ragionevoli affidamenti, comunque ingenerati nella controparte.

In conclusione, quindi, le Sezioni Unite, partendo dal dato letterale e intendendo il termine “manlevare” nel senso di “operare un rimborso a carico del conduttore”, hanno considerato la clausola de quo alla stregua del complessivo tenore del contratto, rilevando che le parti abbiano nella specie (legittimamente) determinato il canone in due diverse componenti, ovvero con due distinte clausole contrattuali di un unico atto. Di conseguenza, hanno considerato la clausola contrattuale coerente con gli interessi che le parti hanno inteso tutelare con il contratto posto in essere.  La clausola in esame, così interpretata, è poi lecita e quindi valida per le ragioni di cui si è detto.

La sentenza in commento ha, certamente, una portata per certi versi innovativa, giacché ammette la compatibilità, con il principio costituzionale relativo alla capacità contributiva di ciascuno (art. 53 Cost.), di una tipologia di clausole contrattuali in passato alquanto discutibili.

Nella complessa parte motiva, il Supremo Collegio tace, però, in relazione a taluni rilevanti aspetti.

Nulla, infatti, dice in relazione alle locazioni ad uso abitativo: tuttavia, sembrerebbe che non vi siano impedimenti all’applicazione del principio di diritto pronunciato nella sentenza in rassegna, almeno con riferimento ai contratti di locazione a canone libero.

Le SS.UU. nulla dicono, neppure, in relazione all’eventuale pagamento delle imposte sul reddito, che il proprietario-locatore debba pagare sull’importo corrisposto dal conduttore a titolo di imposte e tasse sull’immobile locato. Sembrerebbe lecito ritenere che, se – come affermato dalla pronuncia in commento – il tributo pagato dal conduttore costituisce un’integrazione del canone di locazione, su tale somma il proprietario-locatore debba pagare la relativa imposta, come avviene per i canoni di locazione.

Si auspica, pertanto, un intervento chiarificatore della giurisprudenza o della prassi tributaria al riguardo.