11 Aprile 2017

Litispendenza e riunione obbligatoria: la Suprema Corte torna sulla distinzione

di Olga Desiato Scarica in PDF

Cass., sez. I, 20 gennaio 2017, n. 1934

Procedimento civile – Cause identiche davanti allo stesso giudice – Riunione dei procedimenti – Conseguenze (Cod. proc. civ. artt. 39, 273 c.p.c.).

[1] Nell’ipotesi in cui innanzi allo stesso giudice pendano due procedimenti identici deve escludersi che, in applicazione di un parallelismo con l’istituto della litispendenza, il processo iniziato per secondo debba essere definito in rito ed il giudice debba trattare il processo considerando soltanto il primo giudizio.

IL CASO

[1] In primo grado erano state promosse innanzi allo stesso giudice  e poi riunite due cause identiche e la Corte d’appello adita, nel riformare la sentenza, nulla aveva statuito in ordine alla sorte dei procedimenti duplicati.

Il ricorrente con il primo motivo del ricorso principale aveva, quindi, lamentato la mancata dichiarazione di improcedibilità e/o nullità delle domande proposte in violazione del principio del ne bis in idem.

LA SOLUZIONE

[1] La Suprema corte nel dichiarare l’infondatezza del motivo prospettato si allinea all’orientamento maggioritario che nega l’invocabilità della disciplina dettata in caso di litispendenza allorché pendano innanzi allo stesso giudice due procedimenti identici.

Escluso in tali ipotesi che il giudice debba trattare il processo considerando soltanto il primo giudizio (di modo che se esso presenta un problema in rito che impedisce la trattazione del merito quest’ultima resti preclusa anche nel secondo), la Corte precisa, però, che il parallelismo con l’istituto della litispendenza suggerisce all’interprete che il verificarsi di una preclusione (di rito o di merito) nel processo preventivamente instaurato determina l’effetto di impedire che nel secondo giudizio la medesima preclusione possa ritenersi superata.

LE QUESTIONI

[1] Nella parte motiva della sentenza la Suprema corte apertis verbis si uniforma al principio di diritto enunciato da Cass. 17 marzo 2006, n. 5894, Foro it., Rep. 2006, voce Procedimento civile, n. 67 e Giust. civ., 2007, I, 2548 ss. e, richiamando le motivazioni lì addotte, afferma  che una diversa lettura, «oltre ad essere in contrasto con la stessa previsione della riunione obbligatoria dei procedimenti identici pendenti avanti al medesimo giudice, sarebbe anche in manifesto contrasto con quanto accade allorquando un giudizio venga definito con pronuncia di rito e venga successivamente proposto un nuovo identico giudizio, la cui proposizione non è impedita dalla pronuncia in rito sul primo giudizio».

Esclude che le ipotesi contemplate dall’art. 273 c.p.c. possano essere ricondotte nell’alveo della litispendenza ex art. 39 c.p.c., la quale presuppone la diversità dei giudici innanzi ai quali le cause sono promosse, Cass. 4 febbraio 2016, n. 2180, Foro it., 2016, I, 2876; 5 dicembre 2014, n. 25828, id., Rep. 2014, voce cit., n. 187; 23 settembre 2013, n. 21761, id., Rep. 2013, voce cit., n. 164 e Nuova giur. civ., 2014, 2, 156. Nel senso che la contemporanea pendenza, innanzi al medesimo giudice, di procedimenti relativi alla stessa causa può dare luogo a provvedimenti ordinatori di riunione, non suscettibili di impugnazione dinanzi ad altri uffici giudiziari, e non già all’applicazione delle disposizioni dettate dall’art. 39 c.p.c. in materia di litispendenza, v. anche Cass. 21 aprile 2010, n. 9510, Foro it., Rep. 2010, voce cit., n. 249; 16 maggio 2006, n. 11357, id., Rep. 2006, voce cit., n. 226 e 19 luglio 2004, n. 13348, id., Rep. 2004, voce cit., n. 225. Ivi, inoltre, si precisa che qualora, pur ricorrendone i presupposti, non si faccia luogo alla riunione non si verificano effetti negativi in ordine agli atti compiuti e ai provvedimenti conclusivi dei (rispettivi) procedimenti, atteso che le cause mantengono la loro individualità (anche all’esito dell’eventuale riunione) e che la riunione può essere disposta – anche d’ufficio – pure in sede di legittimità.

Sulla sorte dei procedimenti riuniti e sugli effetti che discendono dalla pronuncia ordinatoria emessa ex art. 273 c.p.c. v. Cass. 15 gennaio 2015, n. 567, Foro it., 2015, I, 3695 ss., con nota di O. Desiato, Sulle conseguenze processuali che discendono dalla proposizione, innanzi allo stesso giudice, di due cause identiche, ove si precisa che la riunione di cause identiche «non realizza una vera e propria fusione dei procedimenti, tale da determinare il loro concorso nella definizione dell’effettivo thema decidendum e probandum e nella delimitazione dell’ambito dei mezzi di prova offerti al giudice». Ne consegue che le decadenze processuali verificatesi nel giudizio di primo grado non possono essere aggirate dalla parte che vi sia incorsa attraverso l’introduzione di un secondo giudizio (identico al primo e a questo riunito ai sensi dell’art. 273 c.p.c.) e che gli atti tempestivamente compiuti nel corso del secondo procedimento rimangono efficaci per quest’ultimo.

Nel senso che la riunione implica la decisione unitaria della causa senza incidere sull’autonomia dei singoli procedimenti riuniti v., in dottrina, A. Lorenzetto Peserico, La continenza di cause, Padova, 1992, 112; A. Attardi, Diritto processuale civile, Padova, 1999, 300 s. V, inoltre, G. Balena, La riforma del processo di cognizione, Napoli, 1994, 226 e S. Chiarloni, Le riforme del processo civile, Bologna, 1992, 200, i quali, paventando il rischio che le parti si servano dell’escamotage della riunione al fine di superare le decadenze già maturate nel primo giudizio, consigliano di non sopravvalutare la distanza che separa la fattispecie in analisi da quella contemplata dall’art. 39, 1° comma, c.p.c. Contra, M.G. Campus, in Codice di procedura civile commentato, a cura di C. Consolo, Milano, 2013, Sub art. 273, 2680 s.; D. Giacobbe, in Codice di procedura civile, a cura di N. Picardi, Milano, 2010, Sub art. 273, 964; G. Tarzia, Lineamenti del processo civile di cognizione, Milano, 2009, 462; A. Izzo, Effetti e preclusioni, in Codice di procedura civile ipertestuale, a cura di L.P. Comoglio e R. Vaccarella, Torino, 2006, Sub art. 273, 969, nonché S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, Milano, 1959, 310, nonché G. Franchi, Riunione dei procedimenti (Diritto processuale civile) Appendice, VI, Torino, 1986, 220, secondo cui la riunione comporta la reductio ad unum, ovvero la fusione dei procedimenti in corso: divenuto formalmente unico il processo, la trattazione congiunta consente l’acquisizione degli atti e di tutto il materiale istruttorio eventualmente raccolto nei due procedimenti fusi, sicché il giudice ben può avvalersi di tutte le allegazioni, le prove e gli argomenti di prova raccolti nei due giudizi sino al momento della emanazione del provvedimento di riunione.