9 Aprile 2019

L’importanza della verbalizzazione del dissenso: la condotta egemone del Presidente del C.d.A. non esonera gli altri amministratori dal controllo sull’andamento della società

di Gian Luca Grossi - Studio Pirola Pennuto Zei & AssociatiMarcello Guerzoni - Studio Pirola Pennuto Zei & Associati Scarica in PDF

Corte di Cassazione Civile, Sezione II, Sentenza n. 07327 del 8 novembre 2018, depositata in cancelleria il 14 marzo 2019

Parole chiave: consiglio di amministrazione – presidente C.d.A. – consiglieri – gestione della società – responsabilità – dovere di controllo

Massima: “Il componente del consiglio di amministrazione ha sempre l’onere, anche in presenza di condotta egemone del presidente dell’organo, di svolgere la sua funzione di controllo sull’andamento della società, sollevando le opportune osservazioni, chiedendo i necessari chiarimenti, avendo cura di far inserire detti rilievi a verbale delle riunioni del consiglio di amministrazione alle quali prende parte ed esprimendo – all’occorrenza – voto contrario o quantomeno formalizzando la propria astensione in relazione a decisioni che egli non ritiene in linea con la corretta gestione della società”.

Disposizioni applicate: art. 2381 c.c. art. 190 del D.Lgs. 58/1998, art. 6 della L. 689/1981

Con la sentenza in commento la Seconda Sezione Civile della Cassazione consente di affrontare il tema dei doveri degli amministratori sotto il profilo del reciproco “obbligo di agire informati”, in presenza di condotte “egemoni” da parte del Presidente dell’organo ammnistrativo.

Nella fattispecie, invero, la Banca d’Italia irrogava un provvedimento sanzionatorio, di natura pecuniaria, nei confronti di uno dei membri del Consiglio di Amministrazione di una Banca, sottoposta ad accertamenti ispettivi, in quanto ritenuto responsabile della violazione delle norme sulla governance e sui controlli interni spettanti al C.d.A.. Interponeva così opposizione avverso il detto provvedimento il Consigliere, ma la stessa veniva rigettata con Decreto da parte della Corte territoriale.

Si giungeva così in Cassazione, dove il ricorrente amministratore affidava la sorte del suo ricorso principalmente osservando come la Corte d’Appello non avesse adeguatamente valutato la condizione di “opacità informativa” nella quale lo stesso aveva operato, il quale in ogni caso “non avrebbe mai potuto rendersi conto di quanto il Presidente del Consiglio di Amministrazione avesse dolosamente deciso di tacere a lui e agli altri consiglieri”.

Giova ricordare, in proposito, come il dovere informativo degli amministratori sussista sotto un duplice profilo a seconda dell’attribuzione o meno di deleghe in capo agli stessi.

Gli organi delegati hanno infatti uno speciale dovere di informare gli altri componenti del C.d.A., “in ogni caso almeno ogni sei mesi, sul generale andamento della gestione … nonché sulle operazioni di maggior rilievo” (art. 2381 c. 5 c.c.); viceversa gli altri amministratori sono sottoposti a un generale obbligo di agire in modo informato, tant’è vero che ciascuno di essi “può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società” (art. 2381 c. 6 c.c.). Tali oneri, si rammenta, non sono altro che il corollario del dovere di diligenza qualificata dalla natura dell’incarico ed alle proprie specifiche competenze (art. 2392 c.c.) che incombe sui componenti dell’organo gestorio.

Pertanto, il controllo del rispetto dei principi di corretta amministrazione, l’agire informati e la verifica dell’osservanza delle regole procedurali e decisionali determinano di fatto la diligenza professionale del “buon amministratore”.

La sentenza in commento chiarisce, in primo luogo, come l’obbligo di agire in modo informato si configuri in capo a ciascun membro, anche in presenza di un “ruolo egemone svolto nella gestione” dal Presidente del Consiglio di Amministrazione della Banca.

La Giurisprudenza di Legittimità è ormai uniforme nel ritenere che in materia di violazione dei doveri posti a tutela degli investitori e del buon funzionamento del mercato, i componenti del consiglio di amministrazione “non possono sottrarsi alla responsabilità adducendo che le operazioni integranti l’illecito sono state poste in essere, con ampia autonomia, da un altro soggetto che abbia agito per conto della società, gravando a loro carico un dovere di vigilanza sul regole andamento della società, la cui violazione comporta una responsabilità solidale, ai sensi dell’art. 6 della legge 24 novembre 1981, n. 689, salvo che non provino di non aver potuto impedire il fatto” (cfr. Cassazione, SS.UU., 30 settembre 2009 n. 20933). Quanti di noi si occupano della materia sanno bene che tale ultima prova “di non aver potuto impedire il fatto” o comunque di aver “vigilato” adeguatamente, passa, in buona parte, da una corretta verbalizzazione del proprio dissenso all’operazione in sede di C.d.A mediante rilievi, osservazioni e, in ultima istanza, esprimendo voto dissenziente ovvero astenendosi. In tal modo risulta più agevole per un amministratore, sul quale incombe un siffatto e gravoso onere probatorio, di difendersi da eventuali azioni di responsabilità radicate nei confronti del Board.

Ancora, la Corte di Cassazione, con riferimento all’obbligo di agire in modo informato, ai sensi dell’art. 2381 c.c., ha statuito che i consiglieri, anche privi di deleghe, “devono possedere ed esprimere costante e adeguata conoscenza del “business” bancario e, essendo compartecipi delle decisioni di strategia gestionale assunte dall’intero consiglio, hanno l’obbligo di contribuire ad assicurare un governo efficace dei rischi di tutte le aree della banca e di attivarsi in modo da poter efficacemente esercitare una funzione di monitoraggio sulle scelte compiute dagli organi esecutivi non solo in vista della valutazione delle relazioni degli amministratori delegati, ma anche ai fini dell’esercizio dei poteri, spettanti al consiglio di amministrazione, di direttiva o avocazione concernenti operazioni rientranti nella delega” (Cassazione, 5 febbraio 2013, n. 2737).

Per tali ragioni, la Seconda Sezione ricorda come il componente del Consiglio di Amministrazione abbia sempre l’onere, anche in presenza di condotta egemone del presidente dell’organo, di svolgere la sua funzione di controllo sull’andamento della società. In tal senso, la sentenza ha il pregio di elencare talune attività che i consiglieri sono tenuti a svolgere per il corretto adempimento delle attività gestorie (e, come poc’anzi segnalato, anche per difendersi da azioni di responsabilità), tra le quali rientrano i) sollevare le opportune osservazioni, ii) chiedere i necessari chiarimenti, iii) avere cura di far inserire detti rilievi a verbale delle riunioni del consiglio di amministrazione alle quali prende parte ed esprimendo, se necessario, voto contrario o quantomeno formalizzando la propria astensione in relazione a decisioni ritenute non in linea con la corretta gestione della società.

Tale esemplificazione risulta dirimente anche al fine di escludere il configurarsi di una sorta di responsabilità oggettiva in capo ai soggetti coinvolti, ancorandola ad azioni od omissioni quantomeno colpose.

Sul punto possiamo citare una recente pronuncia della Corte di legittimità, con la quale è stato stabilito che la responsabilità degli amministratori di S.p.A. privi di delega non può fondarsi su una generale omissione di vigilanza, tale da tramutarsi nei fatti in una responsabilità oggettiva, ma deve necessariamente riconnettersi alla violazione del dovere di agire informati, sia sulla base delle informazioni che a detti amministratori devono essere somministrate, sia sulla base di quelle che essi possono acquisire di propria iniziativa. (Cassazione, 31 agosto 2016, n. 17441).

Nel caso di specie, già la Corte di Appello aveva evidenziato come il ricorrente avesse “passivamente ratificato con il suo voto favorevole le iniziative del presidente senza neppure sollevare, a differenza di altri componenti del dell’organo collegiale, critiche in sede di discussione o sollecitare più accurate e precise informazioni”.

Pertanto, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese di lite.