21 Marzo 2017

I limiti al mantenimento una tantum nella separazione

di Giuseppina Vassallo, Avvocato Scarica in PDF

Il pagamento di una somma a titolo di mantenimento corrisposta nell’ambito di un accordo separativo mirato a riequilibrare le capacità reddituali dei coniugi, non mette al riparo da una successiva richiesta di mantenimento in sede divorzile.

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, gli accordi che riguardano il futuro assegno di divorzio, sono invalidi sia per indisponibilità del diritto alla corresponsione dell’assegno (per la sua natura prevalentemente alimentare), sia per illiceità della causa, in quanto volti a limitare in maniera espressa o indirettamente, la libertà di difendersi in un futuro giudizio di divorzio.

La rinuncia al diritto all’assegno di mantenimento si scontra con il dovere inderogabile, ai sensi dell’art. 143 c.c. e 160 c.c., di solidarietà coniugale.

I coniugi, infatti, possono affermare di rinunciare al mantenimento, dichiarando la propria autosufficienza economica e l’adeguatezza dei propri mezzi in relazione al tenore di vita goduto nel matrimonio, ma in realtà non si tratta di rinuncia al diritto.

La validità di tale clausola, è limitata al momento attuale. Ciò vuol dire che in ogni momento, in sede di revisione o modifica delle disposizioni omologate dal Tribunale, è possibile dimostrare il mutamento delle condizioni economiche ed ottenere il mantenimento.

Soprattutto, ciò non pregiudica il diritto a ottenere l’assegno divorzile poiché gli accordi che riguardano il futuro assegno di divorzio, sono nulli per illiceità della causa (Cass. Civ. n. 5302/2006).

L’assegno divorzile è di norma corrisposto periodicamente perché meglio realizza la sua finalità assistenziale. Il comma 8 dell’art. 5 legge 898/70 prevede, però, che “su accordo delle parti la corresponsione può avvenire in un’unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal Tribunale: in tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico.”

Lo scopo della norma è quello di definire una volta per tutte le vicende economiche della vita matrimoniale e talvolta si rivela uno strumento molto utile per evitare divisioni (anche giudiziali) di beni comuni. Altro aspetto positivo dell’attribuzione una tantum è l’immediata disponibilità di una più consistente somma di denaro da investire per i bisogni immediati successivi alla divisione del nucleo familiare. La soluzione garantisce, inoltre, il coniuge che percepisce l’assegno dal rischio di successivi aggravamenti della situazione economica dell’obbligato.

Gli aspetti negativi invece sono i seguenti.

Viene meno la possibilità di cui all’art. 9 1° comma legge 898/70, di chiedere la revisione dell’assegno.

In caso di morte dell’ex coniuge non sorge il diritto a percepire la pensione di reversibilità (art. 9 2° comma) e la quota parte dell’indennità di fine rapporto che spetta all’ex coniuge.

Si perde il diritto all’assegno successorio.

Prima della riforma dell’87, non era previsto alcun controllo da parte del Tribunale sull’entità della somma pattuita tra i coniugi. Oggi il controllo di equità da parte del Tribunale dovrebbe evitare ogni forma di abuso in danno del coniuge più debole che, a causa del suo stato di bisogno, potrebbe essere indotto ad accettare in unica soluzione attribuzioni inadeguate.

Secondo l’attuale orientamento della giurisprudenza, la corresponsione una tantum nella separazione non è invalida ma non ha l’effetto di rendere “tombale” la definizione dei rapporti economici tra i coniugi. Non si verifica l’effetto di rendere improponibile una successiva domanda di contenuto economico.

Infatti, la determinazione dell’assegno divorzile, è indipendente dalle statuizioni patrimoniali operanti in vigenza di separazione dei coniugi, con la conseguenza che il diniego dell’assegno divorzile non può fondarsi sul rilievo che negli accordi di separazione i coniugi abbiano pattuito che nessun assegno fosse versato dal marito per il mantenimento della moglie, dovendo comunque il giudice procedere alla verifica del rapporto delle attuali condizioni economiche delle parti con il pregresso tenore di vita coniugale.

Nel caso di Cass. Civ. n. 2948/2014, i coniugi avevano stipulato un accordo a definizione di ogni rapporto economico in forza del quale la moglie aveva ricevuto dal coniuge, dietro trasferimento delle quote di sua spettanza di proprietà immobiliari e partecipazioni societarie, una somma pari a  1.050.000.000 delle vecchie lire.

Nella più recente sentenza della Cassazione n. 2224/2017, i giudici hanno ribadito che la corresponsione di una rilevante somma di denaro non può essere arbitrariamente valutata come anticipazione sia dell’assegno di separazione che di divorzio.

La disposizione di cui all’art. 5 legge 898/1970 non è applicabile al di fuori del giudizio di divorzio, e gli accordi di separazione, dovendo essere interpretati secondo diritto, non possono implicare rinuncia all’assegno di divorzio.

Nel caso trattato, la Corte d’appello di Milano, aveva invece valorizzato, in maniera quasi esclusiva, il fatto della corresponsione della somma di quasi due milioni di euro, avvenuta nell’anno 2006, attribuendole la valenza di anticipazione non solo dell’assegno di separazione, ma addirittura di quello di divorzio.

La valutazione, è stata ritenuta in contrasto con l’orientamento della Cassazione secondo cui gli accordi preventivi aventi ad oggetto l’assegno di divorzio sono nulli perché stipulati in violazione del principio fondamentale d’indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale, espresso dall’art. 160 c.c.

Comunque, l’accordo sulla dazione una tantum, avrebbe richiesto una verifica di natura giudiziale (Cass. Civ. 8 marzo 2012 n. 3635), che nella specie non era avvenuta.

L’attribuzione di somme di denaro in favore del coniuge, può rilevare ai fini dell’accertamento delle disponibilità patrimoniali dello stesso, sempre che la somma sia rimasta nella sua disponibilità.