3 Ottobre 2017

L’estrazione di copia autentica è equiparata alla comunicazione della sentenza

di Stefano Nicita Scarica in PDF

Cass., sez. lav., 1 giugno 2017, n. 13858, Pres. Amoroso, Est. Balestrieri

Provvedimenti del giudice – Comunicazioni – Estrazione dell’atto – Equivalenza alla comunicazione (cod. proc. civ., artt. 136, 137, 58; disp. att. c.p.c., art. 45; l. 28 giugno 2012, n. 92, art. 1, comma 58; d.l.18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 4 e art. 16-bis, comma 9-bis)

[1] L’estrazione di copia autentica del provvedimento da parte del soccombente costituisce forma equipollente della comunicazione di cancelleria (prevista dall’art. 136 c.p.c. e dall’art. 45 disp. att. c.p.c.) poiché è caratterizzata dagli stessi requisiti di certezza di avvenuta consegna della copia e di individuazione del destinatario.

CASO

[1] Il 30 ottobre 2014, il Tribunale di Roma dichiara l’inefficacia del licenziamento verbale intimato ad un dipendente (nel 2012) dal rappresentante legale del datore di lavoro (una s.p.a.), ordina il ripristino del rapporto e condanna la società a pagare le retribuzioni perdute.

Il 29 aprile 2015, la s.p.a. propone reclamo con ricorso ex art. 1, comma 58 della L. n. 92 del 2012 (c.d. rito Fornero) contro la sentenza.

Il convenuto si costituisce, eccependo l’inammissibilità del reclamo per tardività e mancata specificità dei motivi, contestandone in subordine la fondatezza e chiedendone il rigetto.

Con sentenza, depositata il 28 settembre 2015, la Corte d’Appello di Roma dichiara l’inammissibilità del gravame poiché, sebbene la sentenza impugnata non fosse stata né comunicata né notificata, era comunque decorso invano il termine per il reclamo, stabilito in trenta giorni dalla comunicazione ovvero, in via equipollente (secondo un costante assunto giurisprudenziale) dal momento in cui la società reclamante aveva estratto copia della sentenza (6 novembre 2014).

Contro la pronuncia di appello la s.p.a. propone ricorso per cassazione. Il dipendente resiste con controricorso.

 SOLUZIONE

[1] La  Suprema Corte, conferma la sentenza impugnata sulla base del principio riportato in massima.

QUESTIONI

[1] Le comunicazioni alle parti costituite ed agli ausiliari del Giudice sono atti del cancelliere che devono avvenire normalmente a mezzo PEC (ai sensi del comma 4, art. 16, d.l. 18 ottobre 2012, n.179, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 dicembre 2012, n. 221).

Con la pronuncia in esame, la Corte di Cassazione ribadisce un altro principio consolidato: la comunicazione di cancelleria può essere validamente eseguita anche in forme equipollenti ove risulti la certezza: (I) dell’effettiva conoscenza del destinatario, (II) della data in cui tale comunicazione è avvenuta e (III) del raggiungimento dello scopo della comunicazione stessa (v. Cass., 2 ottobre 2008, n. 24418, in Mass. Giust. civ., 2008, 1421; Cass., 26 giugno 2006, n. 14737; Cass., 29 aprile 2002, n. 6221; Cass., 23 febbraio 2000, n. 2068, in Fall., 2000, 1157 con nota di Severini; Cass., sez. un., 10 giugno 1998, n. 5761, in Dir. Fall., 1998, 1037, con nota di Di Lauro).

Tra le più comuni forme equipollenti sono pacificamente annoverate (cfr. Guarnieri, Rito del lavoro: mancata notifica del ricorso in appello e overruling, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2013, 477 e ss.; Ricuperati, La visibilità del fascicolo informatico equivale a conoscenza legale del suo contenuto? Una discutibile pronuncia del Tribunale di Rieti, in questo Settimanale, 21 marzo 2017, https://www.eclegal.it/la-visibilita-del-fascicolo-informatico-equivale-conoscenza-legale-del-suo-contenuto-discutibile-pronuncia-del-tribunale-rieti/):

(a) il “visto per presa visione” (senza il rilascio di copia autentica), dell’avvocato, individuato e riconosciuto dal cancelliere come difensore, “sull’originale del biglietto di cancelleria predisposto per la comunicazione o sul provvedimento del giudice” (Cass., 16 giugno 2004, n. 11319, in Fall. 2005, 894 e ss., con nota di D’Orazio);
(b) l’estrazione di copia (ovvero il rilascio alla parte di copia autentica su sua richiesta, in via cartacea o in via telematica), che è comunicazione acquisita in via formale e non di mero fatto, in quanto “trova origine in due convergenti attività tipicizzate sul piano processuale, quali la richiesta di copia autentica del provvedimento ad iniziativa del difensore della parte interessata e la consegna allo stesso ad opera del cancelliere della copia in questione (art. 58 c.p.c.)” (oltre la pronuncia in esame, cfr. Cass. 24418/2008, cit.). In particolare, secondo la giurisprudenza, affinché il rilascio di copia del provvedimento possa costituire forma equipollente alla comunicazione prevista dall’art. 136 c.p.c., occorre che risulti la certezza dell’avvenuta consegna al destinatario, nonché della data della consegna stessa. Certezza che può aversi con la sottoscrizione per ricevuta da parte del destinatario medesimo (Cass., 21 novembre 2006, n. 24742).;
(c) la sottoscrizione, presso la cancelleria, perpresa visione ed estrazione di copia” (senza previa richiesta formale di rilascio di copia autentica) che produce gli stessi effetti di una comunicazione ai sensi degli artt. 136 c.p.c. e 45 disp. att. c.p.c. (così Cass., 20 dicembre 2011, n. 27667, in Fall., 2012, 1253; Cass., 25 febbraio 2011, n. 4698, in Fall., 2011, 1243; Cass., 31 marzo 2010, n. 7946, in Fall., 2010, 1331);
(d) l’indicazione apposta sull’atto «F.A.» («Fatto Avviso») con indicazione della data di trasmissione (nei casi di comunicazione tra due uffici giudiziari), effettuata dal personale della cancelleria ad altro ufficio giudiziario, e l’annotazione nella rubrica del passaggio atti ad altri uffici, con la firma «per ricevuta» dell’ufficio destinatario (cfr. Cass., 23 dicembre 2003, n. 19727: nella cui fattispecie, l’ordinanza ammissiva della querela di falso, era stata comunicata all’ufficio del P.M. contestualmente al suo deposito cosicché la comunicazione era avvenuta “secondo la prassi usuale”, ovvero mediante “trasmissione eseguita con l’ausilio del personale di cancelleria e registrazione nella rubrica del passaggio atti ad altri uffici, rubrica firmata per ricevuta”).

Va aggiunto che dopo l’avvento del Processo Civile Telematico e  del valore legale della PEC, la copia informatica, presente nel fascicolo informatico o trasmessa a mezzo PEC dalla cancelleria, equivale all’originale anche se priva della firma digitale del cancelliere di attestazione di conformità all’originale (ai sensi del comma 9-bis, art. 16-bis, d.l.. 18 ottobre 2012, n.179).  Dunque, un provvedimento comunicato via PEC può considerarsi come copia autentica valida ai fini dell’impugnazione (v. Cass., 22 febbraio 2016, n. 3386, con nota di Ciccarrè, Sull’autenticità del provvedimento comunicato via pec dalla cancelleria, in questo Settimanale, 14 marzo 2016, https://www.eclegal.it/sullautenticita-del-provvedimento-comunicato-via-pec-dalla-cancelleri/ ).

D’altra parte, in alcuni casi, l’estrazione di copia autentica non è stata considerata forma equipollente, in considerazione dello “specifico fine” della comunicazione del provvedimento ad opera della cancelleria. E’ stato ritenuto, ad esempio, che l’estrazione della copia autentica dell’ordinanza non sia idonea a far decorrere il termine prescritto dall’art. 47 c.p.c. per la proposizione del regolamento di competenza, “essendo necessaria a tale specifico fine la comunicazione del provvedimento ad opera della cancelleria, con conseguente applicabilità dell’art. 327 cod. proc. civ. sul termine lungo per l’impugnazione” (così Cass., 2 febbraio 2012, n. 1539, in Mass. Giust. Civ., 2012, 117; v. anche Cass., 29 maggio 2001, n. 7280; Cass., 18 febbraio 2011, n. 3989, in Foro it., Mass. 2011, 164).

Inoltre, in ambito fallimentare, non può considerarsi equipollente alla comunicazione eseguita dal cancelliere (ai fini del decorso del termine di dieci giorni per proporre reclamo al tribunale fallimentare avverso i provvedimenti del giudice delegato) “la conoscenza del provvedimento reclamato conseguita dalla parte a seguito di invio di copia di detto provvedimento da parte del curatore” poiché il potere di comunicazione del curatore fallimentare in ordine a specifici atti “non implica l’esistenza, in capo allo stesso curatore, di un generale potere di comunicazione” e poiché siffatto potere è invece previsto per il cancelliere (dall’art. 136 c.p.c. e dall’art. 45 disp. att. c.p.c.)” (Cass., 11 febbraio 2004, in Riv. cancellerie, 2004, 197; Cass., 16 gennaio 1999, n. 396, in Fall., 1999, 1014).

In conclusione, il quadro rimane frammentario e, in vero, dall’esame della giurisprudenza, non sembra ancora emergere una nozione unitaria e coerente di quello “scopo” dell’atto-comunicazione, il raggiungimento del quale resta, tuttavia, la chiave del principio in esame (cfr. Cass., 7 aprile 2006, n. 8174; Cass., 15 marzo, n. 3025; Cass., 29 aprile 2002, n. 6221; Cass. 15 febbraio 1996, n. 1140, in Nuova Giur. Civ., 1998, 61, con nota di Vellandi).