16 Maggio 2017

Legittimità del licenziamento disciplinare per violazione delle regole aziendali

di Evangelista Basile Scarica in PDF

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, 29 marzo 2017, n. 8136

Licenziamento disciplinare – incolpato apprende del suo licenziamento – Prima del termine per presentare le sue contro – Legittimità – Sussiste

MASSIMA

Deve ritenersi legittimo il licenziamento disciplinare inflitto al dipendente che pure è venuto a conoscenza dell’intento espulsivo del datore prima che quest’ultimo esaminasse le sue controdeduzioni depositate in qualità di incolpato, dovendosi ritenere che il licenziamento è atto recettizio nei confronti del lavoratore e in quanto tale produttivo di effetti soltanto dal momento in cui perviene all’indirizzo del destinatario: ne consegue che l’essere stato preannunciato ad un terzo con messaggio confidenziale solo a lui indirizzato e non destinato anche al lavoratore non può farlo considerare come già perfezionatosi sol perché il lavoratore medesimo ne sia fortuitamente venuto a conoscenza.

COMMENTO

Con la pronuncia in commento la Suprema Corte ha confermato la validità di un licenziamento disciplinare e respinto le doglianze di un lavoratore che aveva denunciato la violazione del procedimento ex art. 7, Legge 300/1970 per avere avuto notizia del suo licenziamento, tramite email confidenziale indirizzata a terzi, prima ancora che fossero state esaminate le sue difese. In tale occasione la Cassazione ha precisato come – per il vaglio sulla corretta applicazione dell’art. 7 St. Lav.  – non rilevi il momento in cui si sia formato nel datore di lavoro il proposito di licenziare, ma “quello dell’esternazione del relativo atto”.  Detto assunto trova fondamento nella natura di atto recettizio che contraddistingue il licenziamento e lo rende, ex art. 1334 e 1335 c.c., produttivo di effetti solo dal momento in cui perviene all’indirizzo del destinatario. Ne consegue che l’essere stato preannunciato ad un terzo con messaggio confidenziale solo a lui indirizzato non può farlo considerare come già perfezionato solo per il fatto che il lavoratore medesimo ne sia fortuitamente venuto a conoscenza. La Suprema Corte ha così confermato un principio già affermato in ambito societario, ove non determina l’invalidità del licenziamento la circostanza che il proposito di licenziare sia emerso in una deliberazione del consiglio di amministrazione intervenuta prima del decorso del termine di 5 giorni, concesso dalla legge al dipendente incolpato per presentare le proprie giustificazioni, se l’organo competente abbia poi provveduto al licenziamento solo dopo il decorso del medesimo.  Ciò in quanto detto intento non può ritenersi di per sé idoneo a risolvere il rapporto, ma risulta – al contrario – sempre superabile alla luce delle giustificazioni offerte nel corso del procedimento disciplinare.  Il Collegio sottolinea infatti come non sia sufficiente che un determinato intento negoziale fuoriesca dall’intima sfera soggettiva in cui è maturato e venga in qualche modo conosciuto da altri, ma sia “necessario che venga esternato e precipuamente diretto al destinatario e non a persone estranee all’effetto che si vuole produrre”.  Alla luce delle considerazioni sopra esposte, la Suprema Corte, pur avendo riconosciuto l’applicabilità delle garanzie del procedimento di cui all’art. 7 St. Lav., ha confermato la legittimità del licenziamento disciplinare intimato a un dirigente che aveva utilizzato la carta di credito aziendale per l’acquisto di carburante in chiara violazione delle regole aziendali.

Articolo tratto dalla Rivista Euroconference “IL GIURISTA DEL LAVORO”