26 Aprile 2017

Le Sezioni unite tornano sull’inammissibilità ex art. 360 bis, n. 1 c.p.c.

di Marco Russo, Avvocato Scarica in PDF

Cass., sez un., 21 marzo 2017, n. 7155 – Presidente Rordorf – Relatore Didone

Ricorso per cassazione – Inammissibilità – Manifesta infondatezza – Elementi per confermare o mutare l’orientamento della giurisprudenza (Cod. proc. civ., artt. 360, 360 bis, 375)

[1] Il ricorso scrutinato ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1, deve essere dichiarato inammissibile qualora la sentenza impugnata si presenti conforme alla giurisprudenza di legittimità e non vengano prospettati dal ricorrente argomenti per modificarla.

CASO

La parte soccombente in appello ricorre per cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1140 e 1141 c.c. da parte del giudice di secondo grado, pur non offrendo alla Corte elementi idonei a dubitare della condivisibilità del consolidato orientamento giurisprudenziale su cui si era fondata la sentenza impugnata (nella fattispecie, quello per cui la relazione con la cosa da parte del promissario acquirente, salva prova dell’interversio possessionis, costituisce detenzione qualificata e non possesso ad usucapionem).

La sezione VI-2 rimette la questione al primo presidente per l’assegnazione alle Sezioni unite della questione, sia “di massima importanza” che “oggetto di contrasto”, relativa alla formula (di inammissibilità ovvero di manifesta infondatezza) con cui la Cassazione deve qualificare il ricorso quando, in violazione dell’art. 360 bis, n. 1 c.p.c., esso miri alla riforma di un provvedimento che «ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte» e, al contempo, «l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa».

SOLUZIONE

Secondo le Sezioni Unite l’art. 360 bis, nell’esonerare la Corte dal compito di «esprimere compiutamente la sua adesione alla soluzione interpretativa accolta dall’orientamento giurisprudenziale precedente», ha coniato un filtro che si fonda sulla valutazione, in limine litis, di una c.d. “inammissibilità di merito” e che, in caso di insussistenza dei requisiti formali posti dai nn. 1 e 2 della disposizione, conduce ad una pronuncia di mero rito sull’insussistenza del potere del giudice di legittimità di esaminare la fondatezza dei motivi proposti.

QUESTIONI

Le Sezioni unite si pongono in consapevole contrasto con l’orientamento – avallato dalle stesse Sezioni unite con sentenza 6 settembre 2010 n. 19051 e successivamente messo in discussione da Cass., 18 novembre 2015, n. 23586 e da Cass., 4 maggio 2016, n. 8804 – per cui né la conformità della sentenza impugnata alla giurisprudenza dominante al momento della proposizione del ricorso, né l’omessa indicazione delle ragioni che potrebbero sorreggirne un mutamento comportano l’inammissibilità del ricorso, dovendosi apprezzare al momento della decisione la questione di merito inerente alla corrispondenza tra la decisione impugnata e l’orientamento in quel momento predominante nella giurisprudenza di legittimità.

Non appare tuttavia persuasivo il nudo richiamo al “disposto letterale” dell’art. 360 bis (qil ricorso è inammissibile»).

Ciò per due ragioni.

La prima è che la medesima espressione non ha impedito, nell’interpretazione degli artt. 348 bis e ter c.p.c., un’opportuna interpretazione correttiva da parte di dottrina (Balena, Le novità relative all’appello nel d.l. n. 83/2012, in Giusto proc. civ., 2013, I, 338; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2014, 516; Luiso, Diritto processuale civile, II, Milano, 2015, 405) e giurisprudenza (App. Calabria, 20 dicembre 2013, in www.dejure.it; App. Roma., 11 gennaio 2013, in Riv dir. proc., 2013, 711 ss.;), vòlta a ricondurre la norma al più corretto alveo della “infondatezza” del gravame.

La seconda è che, per correggere tale evidente improprietà lessicale del legislatore (si pensi che, ancora in materia di appello, la Relazione di accompagnamento al D.L. n. 83/2012 dichiaratamente riferiva il filtro ad un vaglio del “merito della impugnazione”), la stessa sentenza in commento è poi costretta ad ammettere l’esistenza di una c.d. “inammissibilità di merito”: figura ibrida, di cui non appare agevole individuare i confini con le figure da cui vorrebbe distinguersi – da un lato, con l’inammissibilità in senso tecnico, ossia con le ragioni che dovrebbero condurre ad una pronuncia sul solo rito, e, dall’altro, con l’apprezzamento della fondatezza o meno dei motivi d’impugnazione – e di cui dunque non si avverte il bisogno, nell’ottica di chiarire la (di per sé tutt’altro che limpida) previsione di cui all’art. 360 bis. c.p.c.

Neppure convince la replica della Corte all’argomento per cui, ragionando in termini di inammissibilità, si impedisce in radice la valutazione dei ricorsi avverso sentenze che al momento della notifica del ricorso erano effettivamente conformi alla giurisprudenza prevalente ma che, al momento della decisione, risultano ispirate ad orientamenti superati e perciò, applicando il meccanismo dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1 c.p.c. meritevoli (almeno) dell’esame del merito dei motivi proposti.

La Cassazione si libera dell’obiezione osservando che ben «possono darsi casi di ammissibilità sopravvenuta, dei quali la corte dovrà evidentemente tener conto nella sua decisione».

L’osservazione non parrebbe tener conto di un dato “temporale”, ossia del fatto che la pronuncia in limine litis dell’inammissibilità del ricorso (affidata all’apposita sezione filtro e decisa con le forme e i tempi, tendenzialmente ristretti, di cui all’art. 375, n. 1 c.p.c.) impedisce di recuperare ex post all’area dell’ammissibilità i ricorsi divenuti esaminabili nel merito per mutamenti della giurisprudenza intervenuti nel lasso di tempo intercorrente tra la proposizione del ricorso e il suo esame nel merito a seguito del superamento del preliminare vaglio di ammissibilità.

Pertanto, resta valido (e incontrastato dalle Sezioni unite del 2017) l’argomento favorevole all’infondatezza del ricorso, che denuncia la maggior tutela per la giustizia sostanziale connaturata ad una tesi che, respingendo la possibilità per la Corte di esaurire al rito l’esame dei ricorso carenti ex art. 360 bis, n. 1 c.p.c., lascia aperta la possibilità che, per citare le parole a suo tempo utilizzate da Cass., sez. un., n. 19051/2010, «dal raffronto tra decisione di merito e stato della giurisprudenza della corte al momento della decisione emerga invece» quella «corrispondenza tra l’una e l’altro» che, al momento del ricorso, non sussisteva.

Tanto più che le stesse Sezioni unite del 2010 già avevano efficacemente affrontato la questione inerente alla sorte del ricorso che non soltanto sia stato proposto avverso una sentenza conforme alla giurisprudenza di legittimità, ma che risulti anche sprovvisto dell’offerta di «elementi per mutare l’orientamento della stessa».

La sentenza n. 19051 del 2010 aveva infatti opportunamente affermato che, in tal caso, «la mancanza di una tale argomentazione non è elemento che impedisca una decisione sul fondo del motivo, bensì elemento che giustifica una decisione di rigetto e di rigetto per manifesta infondatezza».

In conclusione, gli argomenti addotti in sentenza non convincono totalmente e sembrano indotti dalla necessità di “salvare” l’impropria dizione “inammissibilità” adottata dal legislatore del 2009 al fine di potenziare il filtro, e di permettere ad esempio alla Cassazione, come dichiarato dalla stessa sentenza, di autoesonerarsi non soltanto dal motivare, ma persino dall’ «esprimere compiutamente» la propria «adesione alla soluzione interpretativa accolta dall’orientamento giurisprudenziale precedente», così tuttavia non dissipando l’impressione che, nella scelta a favore dell’inammissibilità, abbiano giocato un (improprio) ruolo anche considerazioni “politiche”, quali l’apprezzamento del beneficio che potrà derivare alla Corte, in termini di alleggerimento dei ruoli dei propri giudici, dalla conseguente inefficacia dei ricorsi incidentali tardivi ex art. 334, comma 2 c.c. (mentre, al contrario, la tesi dell’infondatezza del ricorso conduce alla sopravvivenza dell’impugnazione proposta dal resistente).

In dottrina, sul filtro ex art. 360 bis c.p.c., vedi tra gli altri Briguglio, Ecco il “filtro”! (l’ultima riforma del giudizio di cassazione), pubblicato anche on line in https://giustizia.it/giustizia/protected/60104/0/def/ref/NOL60098/; Carnevale V., La Corte di Cassazione ridimensiona il “filtro” dell’art. 360 bis cod. proc. civ., in Nuova Giur. civ. comm., 2011, 1016 ss.; Carpi, L’accesso alla Corte di cassazione ed il nuovo sistema dei filtri, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 769 ss.; Carratta, Il “filtro” al ricorso in Cassazione fra dubbi di costituzionalità e salvaguardia del controllo di legittimità, in Giur. it., 2009, 1563 ss.; Costantino, La riforma del giudizio di legittimità: la Cassazione con filtro, in Giur. it., 2009, 1560 ss.; Didone, Brevi note sulla falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. e sul nuovo “filtro” in cassazione, in Giur. it., 2010, 2118; Id., Il “rasoio di Guglielmo da Ockham” e l’inammissibilità del ricorso per cassazione ex art. 360 bis, n. 1 c.p.c.: frustra fit per plura quod potest fieri per pauciora, in Giust. civ., 2011, 886 ss.; Poli, Il c.d. “filtro di ammissibilità del ricorso per cassazione”, in Riv. dir. proc., 2010, 268 ss.; Raiti, Brevi note sul “filtro” in Cassazione secondo la legge di riforma al codice di rito civile 18 giugno 2009, n. 69, in Riv. dir. proc., 2009, 1601 ss.