21 Marzo 2017

La visibilità del fascicolo informatico equivale a conoscenza legale del suo contenuto? Una discutibile pronuncia del Tribunale di Rieti

di Andrea Ricuperati Scarica in PDF

Trib. Rieti, ord. 20 ottobre 2016 – Pres. e rel. Centofanti

Processo civile telematico – reclamo al collegio – richiesta di visibilità del fascicolo del procedimento a quo – conoscenza legale del provvedimento – effetti – decorrenza del termine per reclamare (C.p.c., artt. 136 e 669-terdecies – Disp. att. c.p.c., artt. 45 e 76 – D.L. 18.10.2012, n. 179 [conv. dalla L. 17.12.2012, n. 221], art. 16, comma 4 – D.M. 21.2.2011, n. 44, artt. 9 e 16)

 MASSIMA

[1] L’accoglimento della richiesta di visibilità del fascicolo informatico, determinando in capo alla parte la conoscenza legale del contenuto di detto fascicolo, fa decorrere il termine per proporre reclamo avverso l’ordinanza già resa che chiude il procedimento.  

 CASO

[1] Una pluralità di soggetti interponeva ex art. 669-terdecies c.p.c. reclamo al Collegio avverso il provvedimento con cui il Giudice monocratico del Tribunale ordinario di Rieti aveva accolto la domanda cautelare avversaria.

Uno dei reclamanti, in epoca anteriore di oltre 15 giorni al deposito del reclamo, aveva chiesto ed ottenuto – ai sensi dell’art. 76 disp. att. c.p.c. – di poter visionare il fascicolo (informatico) del procedimento conclusosi con l’ordinanza poi impugnata.

Nel costituirsi in giudizio, il Condominio resistente eccepiva la tardività del reclamo, deducendo che al momento della proposizione di esso il relativo termine di legge (15 giorni dalla notificazione o – se anteriore – dalla comunicazione del provvedimento cautelare) era ormai scaduto, in quanto la richiesta visibilità del fascicolo doveva intendersi equivalente a legale conoscenza del suo contenuto (ivi compresa, quindi, l’ordinanza successivamente fatta oggetto di reclamo) e, pertanto, aveva prodotto la decorrenza del predetto termine (pacificamente già scaduto, se computato da quel dies iniziale).

SOLUZIONE

[1] il Collegio reatino ha ritenuto fondata l’eccezione della parte reclamata, reputando che la visibilità in discussione rientri nel novero degli atti/fatti giuridici equipollenti alla comunicazione di Cancelleria, in quanto idonei come quest’ultima a garantire la conoscenza piena ed effettiva del provvedimento del Giudice a quo: donde la pronunzia di inammissibilità del reclamo di chi aveva chiesto la più volte menzionata visibilità del fascicolo.

QUESTIONI

[1] L’ordinanza in commento s’appalesa fortemente discutibile e desta notevoli perplessità, giacché si pone al di fuori delle regole sancite dal consolidato insegnamento giurisprudenziale da essa stessa – si noti – invocato.

La Corte di Cassazione, infatti, ribadisce da decenni – e ancora assai di recente (v. ad esempio Sez. Lav., sent., 13.9.2016, n. 17963) – che “sebbene le comunicazioni di cancelleria debbano avvenire, di norma, con le forme previste dall’art. 136 c.p.c. e art. 45 disp. att. c.p.c. (consegna del biglietto effettuata dal cancelliere al destinatario ovvero notificazione a mezzo di ufficiale giudiziario), esse possono essere validamente eseguite anche in forme equivalenti, purchè risulti la certezza dell’avvenuta consegna e dell’individuazione del destinatario” (cfr. pure, nello stesso senso, solo per citare alcune delle pronunce di legittimità dell’ultimo decennio, Cass. Civ., Sez. Lav, ord., 4.2.2015, n. 2006, Cass. Civ., Sez. VI – Lav., sent., 10.10.2014, n. 21428, Cass. Civ., Sez. I, sent., 8.8.2013, n. 18967, Cass. Civ., Sez. Lav., sent., 11.6.2012, n. 9421, Cass. Civ., Sez. Lav., sent., 2.10.2008, 24418, Cass. Civ., Sez. III, ord., 21.11.2006, n. 24742, Cass. Civ., Sez. II, 26.6.2006, n. 14737); tale condizione – per cui dev’essere certo che il provvedimento sia stato portato a conoscenza della parte in una data ben precisa – rappresenta il pre-requisito indefettibile per poter legittimamente considerare equivalenti alla comunicazione del Cancelliere forme alternative come quelle – invalse nella prassi – del “visto per presa visione” apposto sull’originale del biglietto di Cancelleria o del “dato/fatto avviso” controfirmato dal difensore, o ancora del rilascio di copia autentica del provvedimento al procuratore (v. appunto la Cass. Civ., Sez. II, 16.7.1997, n. 6474, menzionata nell’ordinanza 20.10.2016 qui criticata; parzialmente contraria, peraltro, in una vicenda analoga, Cass. Civ., Sez. VI – 1, ord., 4.9.2013, n. 20326, secondo la quale “Non può […] ritenersi equipollente alla comunicazione a cura della cancelleria il rilascio di copia autentica, che avviene, non su esecuzione di ordine del legge o come adempimento di legge ma su iniziativa della parte ed ad uno scopo specifico, esplicitato nella dichiarazione di conformità (uso impugnazione, uso esecutivo etc.)).

Ora, l’accettazione della cd. istanza di visibilità abilita il richiedente (munito di apposita procura) ad accedere al fascicolo informatico del procedimento per esaminare gli atti, documenti e provvedimenti ivi contenuti, ma non fornisce alcuna prova né del concreto esercizio di tale facoltà, né – soprattutto – della reale conoscenza di quanto custodito, di cui l’avvocato potrebbe esaminare solo una porzione; inoltre, i tempi di ostensione del fascicolo informatico variano da un ufficio giudiziario all’altro e non esistono oggettivi elementi di riscontro in grado di individuare con sicurezza la data dell’(eventuale) esame del fascicolo: non necessariamente il richiedente vi accede lo stesso giorno della ricezione della cd. quarta PEC (= di accoglimento dell’istanza), ben potendo accadere che ciò avvenga in epoca successiva (ovviamente prima dello spirare del termine di visibilità).

In un simile quadro di risultanze, ad avviso di chi scrive, il desumere la conoscenza legale di un provvedimento dalla semplice sua conoscibilità (oltretutto incerta nei suoi contorni temporali) – come ha fatto il Tribunale di Rieti – appare un errore logico prim’ancora che giuridico, tanto più grave in quanto foriero di una conseguenza irreparabile qual è quella insita nella definitività dell’ordinanza cautelare derivante dalla declaratoria (non impugnabile né suscettibile di ricorso straordinario ex art. 111 Cost.) di inammissibilità del reclamo.