5 Febbraio 2019

La condizione di prestare assistenza al testatore fino alla morte: onere o condizione?

di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDF

Cass. civ. ,Sez. II – 6-11-2018, n. 28272 –  Petitti – Presidente, Criscuolo – Relatore

Onere – Condizione – Testamento – Azione di riduzione

(c.c., artt. 564, 633 ss,647 ss. c.c. )

[1] L’istituzione di erede subordinata alla prestazione, da parte dell’istituito, di assistenza al testatore fino alla morte va qualificata come condizionata ed è comunque valida, giacché la disposizione non cessa di essere condizionale solo perché l’evento contemplato dal testatore è destinato a diventare certo al momento del suo decesso.

(Nella specie, la S.C., nel negare che, in caso di istituzione condizionata di erede, potesse tenersi conto, ai fini dell’azione di riduzione, del valore della prestazione di assistenza resa, ha escluso la riconducibilità di una previsione siffatta a clausola testamentaria modale, considerato che, producendo l’onere i propri effetti obbligatori esclusivamente a far data dall’apertura della successione, l’essere già venuti meno a tale epoca i beneficiari delle prestazioni ivi contemplate avrebbe reso effettivamente priva di efficacia la clausola in questione).

[2]Nel giudizio di riduzione per lesione della legittima, come anche in quello di divisione, è esclusa la possibilità di allegare ovvero provare, per la prima volta in appello, l’esistenza di altri beni idonei ad incidere sulla determinazione del “relictum” e, conseguentemente, dell’effettiva entità della lesione, dovendo il potere di specificazione della domanda manifestarsi nel rispetto delle preclusioni previste dal codice di rito.

(In applicazione di tale principio, la S.C. ha chiarito che, in appello, le richieste di ricostruzione del “relictum” e del “donatum” mediante l’inserimento di beni e liberalità o l’indicazione di pesi o debiti del “de cuius” sono ammissibili nei limiti consentiti dagli elementi tempestivamente acquisiti con l’osservanza delle summenzionate preclusioni, trattandosi di operazioni alle quali il giudice è tenuto d’ufficio).

CASO

Il de cuius in un testamento attribuisce alla figlia Antonia beni di valore superiore rispetto a quelli lasciati agli altri tre figli, con la seguente indicazione

Preciso che i beni immobili che lascio a mia figlia Antonia hanno un valore superiore ai beni immobili che lascio agli altri tre miei figli, ciò in quantochè impongo sulla medesima l’onere e l’obbligo di assistere e servire amorevolmente me e mia moglie fino alla nostra morte

Gli altri figli impugnano il testamento, lamentando la lesione della loro quota di legittima.

Si pone il problema della qualificazione della clausola testamentaria: se fosse qualificata come un onere apposto al lascito, o piuttosto si tratti di una condizione testamentaria.

La risposta incide sull’operatività dell’azione di riduzione nel caso di specie: se la clausola fosse qualificata come un valido onere tout court, esso andrebbe a ridurre il valore del lascito in favore della figlia, mentre se fosse considerato alla stregua di una condizione l’abbattimento del valore (e il conseguente ricalcolo dell’asse e delle quote riservate, in sede di riunione fittizia).

SOLUZIONE

La Suprema Corte con la sentenza in esame conferma la pronuncia di Appello, rilevando che la clausola testamentaria in oggetto non può essere qualificata come onere.

Se si trattasse di un modus, o onere testamentario, esso non potrebbe conservare alcuna efficacia: della disposizione erano beneficiari i genitori, che però erano già deceduti alla data di apertura della successione paterna. Il loro decesso prima dell’apertura rende evidente la sua concreta inattuabilità per la radicale mancanza dei beneficiari.

In altre parole la Cassazione ribadisce la regola secondo cui l’onere produce i suoi effetti obbligatori solo a far data dall’apertura della successione; il fatto che, al momento della morte del de cuius, entrambi i beneficiari fossero già venuti meno renderebbe effettivamente priva di efficacia la clausola modale.

L’inefficacia dell’onere non permetterebbe alla ricorrente (Antonia, soccombente in Appello) di poter trarre le conseguenze auspicate in punto di incidenza del peso del modus sull’entità del beneficio ricevuto.

Escluso si tratti di un valido onere, la Corte richiama il suo precedente (Cass. n. 1823/1970), secondo cui va qualificata come condizionata l’istituzione di erede subordinata alla prestazione, da parte dell’istituito, di assistenza al testatore fino alla morte.

Le sentenze affermano che la condizione è comunque valida, in quanto la disposizione non cessa di essere condizionale per il sol fatto che l’evento contemplato dal testatore è destinato a diventare certo al momento del suo decesso.

Ne deriva che, ove valutata come istituzione condizionata, la circostanza di avere effettivamente prestato assistenza ai genitori consente di preservare l’efficacia della attribuzione testamentaria a favore della ricorrente, essendosi verificato l’evento al quale il testatore aveva ricollegato l’efficacia dell’istituzione ereditaria. La condizione si è verificata, e pertanto Antonia è erede e può conservare interamente quanto ricevuto.

Ciò non permette però di poter tenere conto, ai fini dell’azione di riduzione, del preteso valore economico delle prestazioni di assistenza rese ai dalla ricorrente ai genitori sino alla data di apertura della successione.

QUESTIONI

La condizione e il modus sono qualificati tra gli elementi accidentali del negozio giuridico, ovverosia tra quelli, meramente eventuali, che sono destinati ad incidere non sulla validità bensì sulla efficacia del contratto.

La dottrina (RESCIGNO, voce Condizione in Enciclopedia del diritto, VIII, Milano, 1961) osserva che il concetto di accidentalità si riferisce alla estraneità agli elementi strutturali tipici del negozio: rispetto al negozio concreto cui la condizione accede, al contrario, gli accidentalia negotii si atteggiano a veri e propri elementi essenziali causali, costitutivi, al pari degli altri requisiti indicati nell’art. 1325 c.c.  per il contratto.

In tema testamentario largo spazio è dedicato all’onere e alla condizione.

L’onere (modus) è una disposizione con la quale il testatore impone all’erede o legatario un’obbligazione di dare, di fare o di non fare qualcosa nell’interesse del disponente o di terzi . Esso concreta un motivo particolarmente rilevante che limita la portata economica o giuridica dell’attribuzione (C. 10281/1992).

L’onere o modo si risolve, in effetti, in una limitazione della liberalità (Bonilini, Il testamento. Lineamenti, Padova, 1995, 47): ciò ha una forte rilevanza in tema di diritti dei legittimari, perché il peso economico l’onere deve essere portato in detrazione rispetto a quanto ricevuto dal legittimario onerato, ai fini del calcolo del rispetto della sua quota di legittima.

L’obbligazione modale è quindi un’obbligazione in senso tecnico (Carnevali, Modo, in ED, XXVI, Milano, 1976, 686), caratterizzata dalla patrimonialità della prestazione e dalla coercibilità prevista negli artt. artt. 648676, 2° co. e 677, 2° e 3° co.

La dottrina tradizionale colloca l’onere tra gli elementi accidentali del negozio giuridico, dai quali si differenzia perché non si compenetra nella volontà (principale) attributiva, diventando inscindibile rispetto ad essa, ma è espressione di una volontà accessoria (Acquaro, Onere testamentario e legato tra accessorietà e autonomia, in Rass. DC, 2003, 541). Ciò sarebbe confermato dall’art. 647 comma 3 c.c. che ha codificato per il modo la stessa regola, sabiniana, valevole per la condizione (art. 634).

La Corte di Cassazione ha però precisato che la natura di elemento accidentale del modo non escluda che lo stesso possa collegarsi ad una vocazione legittima. E’ l’ipotesi in cui il testamento non istituisca un erede, ma preveda solo l’onere: in tal caso l’onere graverà sull’erede designato per legge, con applicazione della disposizione dell’art. 648 sull’adempimento dovuto (C. 4022/2007). Ne consegue, secondo la Corte, che l’art. 588 ha natura esemplificativa, non esaurisce l’elenco delle disposizioni testamentarie configurabili.

L’opinione più moderna (Bin, La diseredazione,Torino, 1966, 245; Bigliazzi Geri, Il testamento, in Tratt. Rescigno, 6, II, 2a ed., Torino, 2000, 136; Capozzi, Successioni e donazioni, I, 2a ed., Milano, 2002, 487) ha evidenziato invece il carattere dell’ambulatorietà del modus, evidenziata dagli artt. 676, 2° co. e 677, 2° e 3° co., i.e. la sua trasmissibilità a coeredi, legatari o eredi legittimi nel caso d’onerato mancante o inadempiente. Questa sarebbe una caratteristica inconciliabile con la suddetta accessorietà.

La tesi relativa all’ambulatorietà dell’onere è stata recepita dalla giurisprudenza di merito (T. Terni 28.11.1993; T. Napoli 18.1.1966). Come si è detto, anche  una sentenza di Cassazione, pur ribadendo la natura accessoria dell’onere, ha ammesso che possa aversi l’onere come unico contenuto del testamento (C. 4022/2007), così sostanzialmente confermandone la natura autonoma.

In tema di condizione, invece, si può ricordare che l’art. 633 stabilisce espressamente che le disposizioni testamentarie a titolo di erede ed a titolo di legato possano farsi sotto condizione sia sospensiva sia risolutiva.

La attuale formulazione della norma è il risultato di un’evoluzione storica: nel diritto romano la apposizione di condizioni a disposizioni testamentarie era riconosciuta unicamente per i legati; con il diritto francese e poi con il codice civile italiano del 1865  si prevede la generica possibilità di apporre condizioni alla istituzione di erede, senza peraltro distinguere tra condizione sospensiva e risolutiva.

Solo con il codice civile attuale si è riconosciuta la possibilità di apporre condizioni risolutive alla istituzione ereditaria (la retroattività degli effetti risolutivi della condizione impedisce di considerare l’istituzione di erede come limitata al solo periodo di pendenza della medesima, venendo meno ab initio: non è violato il principio del semel heres semper heres). Così F. COSTA, Condizione testamentaria e limiti della «regola sabiniana», Notariato, 2003, 3, 250 (nota a sentenza)

L’art. 1353 c.c. in tema di contratto indica esplicitamente i caratteri che l’evento dedotto in condizione deve possedere: futurità ed incertezza. Entrambi i requisiti devono sussistere all’atto della conclusione del contratto.

Nell’ambito dei contratti si parla di condizione impropria per identificare l’ipotesi in cui le parti subordinano la clausola ad un evento o ad una circostanza già verificatasi, cioè ad un elemento che sia soltanto soggettivamente incerto. Tale condizione, regolando l’effetto negoziale, lo fa dipendere da un evento incerto (soggettivamente), ma presente o passato.

Con riguardo al testamento, invece, si è discusso in dottrina quale sia il momento rispetto al quale vada considerata la necessaria futurità della condizione. Tale momento è stato talvolta individuato in quello di stesura del testamento, talvolta in quello dell’apertura della successione.

La dottrina (ex multis GIAMPICCOLO, Il contenuto atipico del testamento, Milano, 1954) che sostiene che la condizione testamentaria propriamente detta debba essere rappresentata da un evento futuro ed incerto rispetto all’apertura della successione, argomenta che l’efficacia del testamento si produce soltanto dalla data della morte del testatore, non potendo produrre alcun effetto anteriore all’apertura della successione, in quanto atto eminentemente revocabile. Da ciò si potrebbe far discendere, secondo un’interpretazione rigorosa, che le condizioni del testamento che indichino un evento già verificatosi prima della morte dovrebbero essere sempre considerate “impossibili” e come tali da ritenere non apposta al testamento ex art. 634 c.c.

In realtà anche la riportata dottrina non porta la considerazione alle estreme conseguenze quando si tratta di qualificare la condizione testamentaria già verificatasi al momento dell’apertura della successione in termini di impossibilità. Al contrario essa è equiparata, dal punto di vista degli effetti, ad una condizione verificata, pur senza parlare apertamente di condizione impropria.

In questo senso la giurisprudenza; oltre al caso in esame, che ne è diretta applicazione, si ricordano: Cass. 16 marzo 1970 n. 531 in Mass. Giur. It., 1960, p. 134; Cass. 6 ottobre 1970 n. 1823 in Mass. Giur. It., 1970 p. 751; Cass. 16 ottobre 1981 n. 60601 in Mass. Giur. It., 1981, p. 1519.

Onere e condizione si distinguono per la struttura: il modus è ritenuto in dottrina un negozio autonomo, mentre la condizione è elemento accessorio. Si distinguono inoltre per gli effetti, poiché il primo obbliga-costringe a porre in essere una condotta o patire una condotta altrui, mentre il secondo subordina gli effetti della disposizione al verificarsi di un fatto o di un atto.

Sulla scorta di questa elementare differenza si può sottolineare che le conseguenze a cui sono giunte la Corte d’Appello e la Cassazione sul tema sono certamente condivisibili in linea teorica: ricostruendo il lascito come sottoposto a condizione, questa non può aver diminuito il valore del lascito stesso (non c’era alcun obbligo) ma ha reso (astrattamente) incerto il conseguimento dell’attribuzione ereditaria. L’erede avrebbe potuto non ricevere nulla, se non avesse adempiuto la condotta che condizionava il lascito; nel caso concreto, invece, ha ricevuto l’intero, poiché la condotta prevista si è verificata.

La soluzione pare quindi formalmente corretta anche dal punto di vista delle sue conseguenze in tema di azione di riduzione: non essendoci stata una deminutio del valore, l’attribuzione va conteggiata per il suo intero valore.

Non si può negare che, nonostante la formale chiarezza della soluzione giurisprudenziale, dal punto di vista equitativo la soluzione sostanziale può lasciare spazio a qualche perplessità.

Potrebbe cioè sembrare iniquo che la persona che si è presa cura dei genitori – anche sostenendone le spese – magari per lunghi anni, non abbia diritto di ritenere una porzione superiore di eredità.

Si dovrebbe però rispondere anzitutto che questa esigenza è già adempiuta nel nostro ordinamento grazie alla presenza della quota di legittima, che il testatore ha certamente potuto destinare alla figlia. Inoltre si può affermare che, se vi fossero state spese sostenute dall’erede o documenti che dimostrassero l’impegno profuso in favore del testatore, di questi si sarebbe potuto tener conto in giudizio, mediante allegazione delle prove relative, oppure nel testamento, mediante un riconoscimento di debito per via testamentaria.

Tale ultima strada pare, de iure condito, la migliore (qualora davvero un debito vi sia), per garantire che sia riconosciuta alla persona che si prende cura del testatore una porzione potenzialmente maggiore dell’eredità.