11 Aprile 2017

La Cassazione sul termine di decadenza per la proposizione dell’appello incidentale

di Giulia Ricci Scarica in PDF

Nota a Cass. Sez. III 7 febbraio 2017, n. 3129, Pres. Spirito, Rel. Frasca

Impugnazioni – Pluralità di parti – Impugnazione incidentale – Termine di proposizione – Impugnazione principale – Notificazione – Decorrenza (Cod. proc. civ., artt. 330, 331, 332, 333, 343, comma 1)

[1] Nel processo con pluralità di parti, quando l’impugnazione della sentenza è notificata spontaneamente a tutte le parti del grado precedente, ogni destinatario che abbia interesse ad impugnare deve farlo in via incidentale a norma dell’art. 333 c.p.c., e, per l’appello, entro il termine ex art. 343, comma 1 c.p.c., senza distinzione tra le parti di cause scindibili e inscindibili rispetto a quella introdotta con l’impugnazione principale.

IL CASO

[1] Tizio e Caio, convenuti in primo grado, venivano condannati in solido al risarcimento del danno a favore di Sempronio; la stessa sentenza determinava, ai soli fini della rivalsa interna, la percentuale di responsabilità di ciascun coobbligato ed accertava l’esistenza dell’obbligo di garanzia di Mevio a favore di Tizio. Avverso la sentenza proponeva appello il garante Mevio, chiedendo a) l’accertamento dell’insussistenza della responsabilità del garantito Tizio e b) in subordine, che fosse diminuita la sua percentuale di responsabilità; Mevio notificava dunque l’appello a tutte le parti. Successivamente proponevano appello incidentale, nell’ordine, i coobbligati Tizio e Caio. La Corte d’appello dichiarava inammissibile l’appello incidentale di Caio, per violazione del termine ex art. 343, comma 1 c.p.c., applicabile nella versione anteriore alla l. n. 353 del 1990. Avverso tale pronuncia Caio ricorreva per cassazione, sostenendo che il termine applicabile fosse quello di cui al secondo comma dell’art. 343 c.p.c., in quanto il proprio interesse ad impugnare era stato provocato dall’appello incidentale di Tizio, e non dall’appello principale notificatogli da Mevio.

LA SOLUZIONE

[1] La pronuncia in epigrafe ha confermato l’inammissibilità dell’appello incidentale proposto oltre il termine di cui al primo comma dell’art. 343 c.p.c. La Corte ha ritenuto che l’appello principale del garante Mevio ha introdotto due cause che, rispetto alla posizione di Caio, coobbligato solidale del garantito, avevano rispettivamente natura scindibile (quella sub a, per il consolidato orientamento secondo cui l’accertamento della responsabilità solidale determina un litisconsorzio facoltativo che resta tale anche in appello, v. Cass. 14 luglio 2009, n. 16390) e inscindibile (quella sub b, poiché diretta alla rideterminazione delle quote della responsabilità ai fini della rivalsa interna). Nel caso di specie, tuttavia, la Corte ha ritenuto irrilevante l’individuazione della natura scindibile o inscindibile del cumulo delle cause di impugnazione, in quanto tale distinzione è posta dagli artt. 331 e 332 c.p.c. relativamente all’ipotesi in cui sia mancata la notificazione dell’impugnazione principale.

Quando, invece, l’appellante principale abbia spontaneamente notificato l’impugnazione a tutte le parti del grado precedente, queste, se hanno interesse all’impugnazione in quanto soccombenti effettive, sono onerate non solo di impugnare in via incidentale nello stesso processo ex art. 333 c.p.c., ma anche, per l’appello, di rispettare il termine di almeno venti giorni prima della prima udienza ex art. 343, comma 1 c.p.c.

 

LE QUESTIONI

[1] Dal principio espresso emerge un’inedita configurazione dell’appello incidentale descritto dal combinato disposto degli artt. 333 e 343 c.p.c.

Si assiste ad una delimitazione dell’impugnazione incidentale ex art. 333 c.p.c. quale forma imposta alla parte che abbia ricevuto una delle notificazioni di cui agli artt. 330, 331 o 332 c.p.c. (sulla funzione dell’impugnazione incidentale a garanzia dell’unità del giudizio di impugnazione, v. ex multis Cass. 9 maggio 2006, n. 10663; Mandrioli, Carratta, Diritto processuale civile, Torino, 2016, II, 475 ss.; Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2015, II, 347 ss.).

Secondo la S.C., infatti, l’appello incidentale di cui all’art. 333 c.p.c. va proposto a pena di decadenza entro il termine di almeno venti giorni prima della prima udienza ex art. 343 c.p.c., comma 1 c.p.c. Il termine è imposto a tutte le parti che abbiano ricevuto la notificazione dell’appello principale, senza distinzioni: sia le parti destinatarie dell’impugnazione, sia le parti cui l’impugnazione sia stata notificata al solo fine della litis denuntiatio; ciò in quanto anche queste ultime, nel momento in cui ricevono la notificazione dell’appello principale, se risultano soccombenti “effettive” nella sentenza impugnata hanno già interesse ad impugnare (contrariamente a quanto affermato dalla dottrina, secondo cui le parti che hanno ricevuto la notificazione della litis denuntiatio possono determinarsi ad appellare in via incidentale anche come conseguenza di un appello diverso da quello principale ex art. 343, comma 2 c.p.c., espressamente v. Grasso, Le impugnazioni incidentali, Milano, 1973, 181 ss.).

La Corte sembra escludere, dunque, che l’interesse ad impugnare nel merito possa sorgere da un appello diverso da quello principale, come invece espressamente stabilisce il comma 2 dell’art. 343 c.p.c.

Tale conclusione è confermata dall’obiter dictum secondo cui il termine ex art. 343, comma 2 c.p.c., che espressamente si applica all’appello incidentale il cui interesse sia sorto da altro appello incidentale, allude alla disciplina dell’appello incidentale per soccombenza cd. virtuale, ossia la posizione della parte vittoriosa nel merito ma soccombente su questioni preliminari o pregiudiziali (sulla necessità dell’appello incidentale su questioni rigettate, Cass. sez. un. 16 ottobre 2008, n. 25246; contra Cass. 30 luglio 2015, n. 16171; per approfondimenti v. Mandrioli, Carratta, op. cit.).

Il principio espresso contrasta con l’orientamento consolidato secondo cui la soccombenza “effettiva”, cui pure l’odierna pronuncia si riferisce, coincide con il margine di vantaggio oggettivo risultante dal confronto tra quanto ottenuto dalla parte con la sentenza da impugnare e quanto potrebbe ottenere in caso di accoglimento dell’impugnazione (Salvaneschi, L’interesse ad impugnare, Milano, 1990, 374 ss.; Grasso, op. cit., 44 ss.; Cass. 3 settembre 2005, n. 17745; Cass. 5 giugno 2003, n. 8993); va infatti considerato che quando la sentenza sia stata impugnata in via principale, la soccombenza delle altre parti, e dunque il loro interesse ad impugnare in via incidentale, può essere determinato anche dalla valutazione dello svantaggio oggettivo che potrebbe derivare dall’accoglimento dell’impugnazione principale.