2 Agosto 2016

La Cassazione “salva” il deposito telematico di atti processuali effettuato fuori dai casi previsti dalla legge

di Andrea Ricuperati Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. II, 12 maggio 2016, n. 9772Pres. Bucciante – Rel. Giusti

Atti giudiziari in materia civile – deposito telematico – raggiungimento dello scopo – violazione di norme procedimentali – irrilevanza (D.L. 18.10.2012, n. 179 – conv. L. 17.12.2012, n. 221 – art. 16-bis; D.M. 21.2.2011, n. 44, art. 35; C.p.c. artt. 121 e 156)

Atti giudiziari in materia civile – forme – strumentalità (C.p.c. artt. 121 e 156)

[1] Nei procedimenti contenziosi civili dinanzi al tribunale iniziati a decorrere dal 30 giugno 2014 e prima del 27 giugno 2015, il deposito telematico di un atto giudiziario, effettuato al di fuori dei casi previsti dall’art. 16-bis, comma 1, del D.L. 18.10.2012, n. 179 (conv. dalla L. 17.12.2012, n. 221) e ss.mm.ii. ed in mancanza di decreto autorizzativo ex art. 35 D.M. 21.2.2011, n. 44, non determina una nullità processuale, ma una semplice irregolarità, quando sia stato raggiunto lo scopo della presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario e della messa dell’atto a disposizione delle altre parti.

[2] Poiché le forme degli atti del processo civile non costituiscono un valore a sé stante, ma sono prescritte dalla legge quale strumento più idoneo per la realizzazione di un certo risultato, la loro eventuale inosservanza è irrilevante se l’atto viziato ha ugualmente raggiunto lo scopo cui è destinato.

CASO

[1-2] Nel dicembre del 2014 la società Alfa notificava via PEC atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo del Tribunale Ordinario di Bergamo ottenuto dalla società Beta, iscrivendo poi la causa a ruolo in via telematica; la Cancelleria di detto Tribunale provvedeva a formare il fascicolo informatico del procedimento, al quale veniva attribuito apposito numero di R.G..

Con decreto del 20.1.2015 il Giudice assegnatario del fascicolo dichiarava inammissibile l’opposizione, affermando che l’art. 16-bis del D.L. n. 179/2012 prevede il deposito telematico dei soli atti delle parti già costituite e che il decreto del Ministero della Giustizia, emanato a norma dell’art. 35 del Regolamento sul processo civile telematico (D.M. n. 44/2011) per il Tribunale di Bergamo, non contemplava gli atti introduttivi nel novero di quelli suscettibili di essere depositati telematicamente dinanzi a tale autorità giurisdizionale.

Avverso questo provvedimento Alfa ricorreva per cassazione ex art. 111 della Costituzione, articolando quattro motivi di censura.

SOLUZIONE

[1-2] Il Supremo Collegio – dopo aver dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto il decreto del Tribunale di Bergamo, possedendo contenuto sostanziale di sentenza, avrebbe dovuto essere impugnato mediante appello (stante l’insussistenza dell’ipotesi dell’assenza di mezzi ordinari di gravame) – ha nondimeno ritenuto di pronunziarsi d’ufficio sulla questione sottopostagli, ritenuta di particolare importanza e dunque meritevole di enunciazione del principio di diritto ai sensi dell’art. 363, terzo comma, c.p.c.: in materia civile è – rectius, era (avendo il D.L. n. 83/2015, con decorrenza dal 27 giugno 2015, introdotto all’art. 16-bis del D.L. n. 179/2012 il nuovo comma 1-bis, contemplante espressamente tale facoltà) – possibile depositare in via telematica gli atti processuali diversi da quelli elencati sub art. 16-bis del citato D.L. n. 179, anche in mancanza dell’autorizzazione di cui al D.M. n. 44/2011?

Al quesito la Corte ha dato risposta tendenzialmente affermativa, osservando che:

  • le forme degli atti del processo, lungi dall’essere fini a se stesse, in tanto si concepiscono e si giustificano in quanto siano funzionali al perseguimento di un risultato, costituente l’obiettivo al quale mira la norma disciplinante la forma (così Cass., SS.UU., 3.11.2011, n. 22726);
  • l’inosservanza della prescrizione formale s’appalesa allora irrilevante, se l’atto viziato ha ugualmente raggiunto lo scopo voluto (cfr. in tema di notifica a mezzo PEC, Cass., SS.UU., 18.4.2016, n. 7665, con nota di commento pubblicata in questa Rivista);
  • nella vicenda in esame deve trovare applicazione il principio già espresso da Cass., SS.UU., 4.3.2009, n. 5160, che ha reputato meramente irregolare – e non nullo – il deposito in cancelleria di un atto processuale tramite il servizio postale, al di fuori delle ipotesi speciali in cui tale modalità è consentita dalla legge, quando la ricezione dell’atto ed il suo inserimento nel fascicolo della causa a cura del cancelliere abbiano realizzato lo scopo della presa di contatto fra la parte e l’ufficio giudiziario;
  • analogamente deve concludersi a proposito del deposito telematico dell’atto, quando esso – previa generazione della ricevuta di avvenuta consegna – venga inserito nei registri informatizzati dell’ufficio, giacché in tal modo è integrato il risultato della presa di contatto fra la parte e l’ufficio e della messa dell’atto stesso a disposizione degli altri contendenti;
  • l’art. 35 del D.M. n. 44/2011 si limita a conferire al decreto dirigenziale ivi previsto il compito di accertare l’installazione e l’idoneità delle attrezzature informatiche, senza in alcun modo attribuirgli il potere di individuare il novero degli atti depositabili in via telematica.

QUESTIONI

[1-2] La sentenza in commento appare di notevole interesse non solo – e non tanto – per aver aperto la strada alla “legittimazione postuma” dei depositi telematici irrituali (ipotesi – quest’ultima – ormai residuale, con la novella di fine giugno 2015 essendo stata espressamente consentita dall’art. 16-bis del D.L. n. 179/2012 tale modalità di presentazione per la stragrande maggioranza degli atti in tribunale ed in corte d’appello[1]), ma soprattutto perché offre un solido appiglio argomentativo alla tesi di chi sostiene la sanabilità del vizio consistente nella presentazione in forma tradizionale di atti da depositarsi in via telematica, affermando che una simile deviazione dallo schema legale non ne infici la validità quando le parti ed il giudice sono stati, in concreto, ugualmente posti in condizione di esaminare quanto depositato. Eventualità che, ad avviso di chi scrive, potrà verificarsi solo se il cancelliere avrà accettato l’atto/documento consegnato brevi manu ed avrà annotato il relativo evento (= presentazione cartacea) all’interno del fascicolo informatico.[2]

Ma tali attività correttive, un tempo giustificate dalle incertezze generatesi nel regime transitorio, oggi – salvo eccezioni (quando il giudice ordini il deposito di copia cartacea “per ragioni specifiche”, a norma del comma 9 dell’art. 16-bis D.L. n. 179/2012) – appaiono indebite in tutti i casi in cui la trasmissione telematica costituisce ormai, e senza possibilità di equivoco, la sola forma di deposito dell’atto nell’ufficio giudiziario (su cui v. i commi 1 e 9-ter del più volte citato art. 16-bis D.L. n. 179/2012).

Un caso che può ancora generare equivoci è quello deciso da Trib. Palermo, 10 maggio 2016, pubblicato in questo stesso Numero della Rivista, con nota di Parisi, con soluzione conforme ai principi enunciati dalla sentenza in commento.

[1] Fra le poche eccezioni, resterebbe necessariamente cartaceo – anche dopo il 27.6.2015 – il deposito del ricorso previsto dall’art. 612 c.p.c., in mancanza del decreto autorizzativo ex art. 35 D.M. n. 44/2011.

[2] Non basterebbe la semplice accettazione del deposito, perché in mancanza della sua annotazione sul fascicolo informatico l’avversario ed il giudice – i quali nell’era del PCT non hanno più l’onere di accedere fisicamente alla cancelleria per gli atti/documenti endoprocessuali – legittimamente ignorerebbero l’evento.