16 Ottobre 2018

La risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione può essere invocata da entrambe le parti del rapporto obbligatorio sinallagmatico

di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 10 luglio 2018, n. 18047 – Pres. Chiarini – Rel. Di Florio

[1-2] Obbligazioni e contratti – Causa in concreto – Impossibilità sopravvenuta della prestazione – Risoluzione del contratto – Contratto sinallagmatico – Rimedi restitutori

(Cod. civ., artt. 1463, 1345, 1256, 1325)

[1] La causa in concreto – intesa quale scopo pratico del contratto, in quanto sintesi degli interessi che il singolo negozio è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello negoziale utilizzato – conferisce rilevanza ai motivi, sempre che questi abbiano assunto un valore determinante nell’economia del negozio assurgendo a presupposti causali, e siano comuni alle parti o, se riferibili ad una sola di esse, siano comunque conoscibili dall’altra.

[2] La risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, con la conseguente possibilità di attivare i rimedi restitutori, ai sensi dell’art. 1463 cod. civ., può essere invocata da entrambe le parti del rapporto obbligatorio sinallagmatico, e cioè sia dalla parte la cui prestazione sia divenuta impossibile sia da quella in cui la prestazione sia rimasta possibile. In particolare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione si ha non solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell’obbligazione.

CASO

[1-2] Tizio e Caia convennero in giudizio, dinanzi al Giudice di pace di Bologna, una società di tour operator e, premesso di aver acquistato dalla stessa un pacchetto turistico all inclusive al quale avevano dovuto rinunciare a causa della grave e improvvisa patologia che aveva colpito Tizio, domandarono la condanna alla restituzione della somma pagata. Il Giudice di prime cure accolse la domanda e, il Tribunale di Bologna, adito dalla società in sede d’appello, confermò la sentenza.

Il tour operator ricorreva, quindi, alla Suprema Corte deducendo, in particolare, la violazione degli artt. 1463, 1256, 1325 e 1345 c.c. e contestando l’erronea interpretazione degli artt. 1463 e 1345 c.c. assumendo che il giudice d’appello aveva confuso la causa del contratto con i motivi di esso. Nella specie, la parte ricorrente lamenta lo spostamento del rischio imprevisto interamente a proprio carico.

SOLUZIONE

[1-2] La terza sezione della Corte di Cassazione, rigettando il ricorso e dichiarando taluni motivi infondati ed altri inammissibili, conferma la sentenza d’appello, in accoglimento delle pretese risarcitorie sulla base della norma generale contenuta nell’art. 1463 c.c.

La Suprema Corte afferma, in primo luogo, che il Tribunale aveva fatto corretta applicazione delle norme richiamate, inquadrando la fattispecie in esame nell’ipotesi in cui la causa del contratto, consistente nella fruizione di un viaggio con finalità turistica, diviene inattuabile per una causa di forza maggiore, non prevedibile e non ascrivibile alla condotta dei contraenti. In secondo luogo, chiarisce la portata dell’istituto della risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione, specificando che può essere invocato da entrambe le parti del rapporto obbligatorio sinallagmatico (e, cioè, sia dalla parte la cui prestazione sia divenuta impossibile sia da quella la cui prestazione sia rimasta possibile) con la conseguente possibilità di attivare i rimedi restitutori.

QUESTIONI

[1] Nella pronuncia in commento vengono affrontate due importanti questioni giuridiche. In primo luogo, la Cassazione ha modo di ribadire, come si desume dalla massima sopra riportata, il concetto di causa in concreto sottolineandone sia la portata sia la correlazione con i motivi del contratto.

La teoria della causa in concreto (FERRI, Causa e tipo del negozio giuridico, Milano, 1965; BIANCA, Diritto civile, vol. 3, Il contratto, Milano, 1987, 425 ss; GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006, 808), sorta, in dottrina, per arginare i limiti delle precedenti teorie, intende la causa come la funzione economico-individuale del negozio: la causa in concreto diviene, infatti, la sintesi ultima non solo degli elementi essenziali del contratto ma di tutti gli indici costitutivi del negozio, sia primari che secondari, assumendo il ruolo di giustificazione razionale della convenzione. Tale teoria fu accolta formalmente dalla Corte di Cassazione con una nota sentenza (Cass. 8 maggio 2006, n. 10490) che, definendo la causa come funzione economico-individuale del contratto, riconduce la funzione economico-sociale, propria di tutti i contratti di uno stesso tipo, alla concretezza del singolo contratto e alla funzione realmente perseguita dalle parti nella singola fattispecie contrattuale. In tal modo la funzione da apprezzare è quella che le parti intendono concretamente realizzare ricorrendo o ad uno schema tipo, delineato dall’ordinamento, o ad uno schema originale elaborato dalle stesse per il caso concreto.

Nella sentenza in commento, pertanto, la III Sezione ha ribadito un orientamento che, sebbene recente, si è oramai consolidato in sede di legittimità (cfr. Cass. 16 maggio 2017, n. 12069; Cass. 3 aprile 2013, n. 8100; Cass. 12 novembre 2009, n. 23941) ovvero quello secondo il quale la causa in concreto va intesa come scopo pratico del contratto, in quanto sintesi degli interessi che il singolo negozio è concretamente diretto a realizzare, al di là del modello negoziale utilizzato. Tale prospettiva consente di conferire rilevanza ai motivi, sempre che questi abbiano assunto un valore determinante nell’economia del negozio, assurgendo a presupposti causali, e siano comuni alle parti o, se riferibili ad una sola di esse, siano comunque conoscibili dall’altra. Il Tribunale, nella specie, nella congiunta valutazione della causa e dei motivi che avevano indotto all’acquisto del pacchetto turistico, aveva dato forma al concetto di causa concreta del contratto attinente all’aspetto della funzione economico – sociale del negozio giuridico posto in essere.

Lo stesso organo giudicante, pertanto, avendo valutato come gravissimo l’impedimento che non aveva consentito ai contraenti di fruire della prestazione, aveva fatto corretta applicazione delle norme di cui agli artt. 1463 e 1345 c.c., inquadrando la fattispecie in esame nell’ipotesi in cui la causa del contratto, consistente nella fruizione di un viaggio con finalità turistica, diviene inattuabile per una causa di forza maggiore, non prevedibile e non ascrivibile alla condotta dei contraenti. (Sulla responsabilità della prestazione come inidoneità della prestazione a soddisfare l’interesse del creditore BIANCA, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1992, 383; MINERVINI, Pacchetto turistico e rinuncia del viaggiatore per calamità naturale, in Il civilista, 2008, n. 3).

[2] L’ulteriore passaggio compiuto dalla Corte per giustificare la corretta applicazione dell’art 1463 c.c. riguarda il fatto che la causa concreta sia criterio di adeguamento allo scopo di verificare l’incidenza di eventi sopravvenuti che si ripercuotono sullo svolgimento del rapporto. Il pregio di questa sentenza è, infatti, quello di aver sottolineato, nuovamente, l’incidenza del concetto di causa in concreto sul piano funzionale del contratto. L’attenzione ricade sul sinallagma funzionale e quindi sugli effetti dell’irrealizzabilità della causa in concreto sul rapporto tra le prestazioni corrispettive.

L’impossibilità di utilizzazione della prestazione da parte del creditore è, in particolare, un’autonoma causa di estinzione dell’obbligazione. L’art. 1463 c.c., secondo la Corte, assume una funzione di protezione in relazione alla parte impossibilitata a fruire della prestazione pattuita ed è, dunque, funzionale, proprio alla ricostituzione del sinallagma compromesso, non spostando l’ambito contrattuale della responsabilità bensì dovendosi interpretare – come correttamente fatto dal Tribunale – tenendo conto sia del rischio generale connaturato all’attività imprenditoriale sia del dovere di solidarietà sociale universalmente applicabile.

La Suprema Corte chiarisce, infatti, che l’impossibilità sopravvenuta della prestazione può essere invocata da entrambe le parti del rapporto obbligatorio sinallagmatico. Tale impossibilità non ricorre solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione del debitore, ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione della controparte, quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno, verificandosi in tal caso la sopravvenuta irrealizzabilità della finalità essenziale in cui consiste la causa concreta del contratto e la conseguente estinzione dell’obbligazione. (Cass. 20 dicembre 2007, n. 26958 in Contratti, 2008, 786, con nota di BARBIERA, Risoluzione per impossibilità sopravvenuta e causa concreta del contratto a confronto; nello stesso senso anche Cass. 24 luglio 2007, n. 16315. In dottrina v. IZZI, Causa in concreto e sopravvenienze nel contratto di viaggio vacanza tutto compreso, in Giur. It., 2008, 1133 e ss; FEDE, Sopravvenuta inutilizzabilità della prestazione, in Studium iuris, 2008, 877 ss; ROLFI, Funzione concreta, interesse del creditore ed inutilità della prestazione: la Cassazione e la rielaborazione del concetto di causa in concreto, in Corr. Giur., 2008, 921 ss)

Ne deriva, infine, quale ulteriore conseguenza, l’esclusione della validità dell’assunto per cui l’impossibilità sopravvenuta debba essere necessariamente ricollegata al fatto di un terzo: la non imputabilità al debitore (ex art. 1256 c.c.) non restringe il campo delle ipotesi ma, per quanto sopra argomentato, consente di allargare l’applicazione della norma a tutti i casi, meritevoli di tutela, in cui sia impossibile, per eventi imprevedibili e sopravvenuti, utilizzare la prestazione oggetto del contratto.