15 Novembre 2016

Le ipotesi di annullamento del concordato preventivo omologato previste dagli artt. 186 e 138 l. fall. non sono tassative

di Luca Iovino Scarica in PDF

Cassazione Civile, sez. I, 14/09/2016, n. 18090; Pres. Nappi, Est. Di Virgilio; P.M. Soldi (concl. Conf.).

Fallimento – Concordato preventivo – Annullamento e risoluzione – Ipotesi tassative – Esclusione – Fondamento. (R.d. 16 marzo 1942 n. 267, legge fallimentare, art. 186, 138, 173)

[1] L’annullamento del concordato preventivo omologato è previsto oltre che nelle ipotesi di dolosa esagerazione del passivo e di sottrazione o di dissimulazione di parte rilevante dell’attivo disciplinate dall’art. 138 l. fall., richiamato dall’art. l’art. 186 l. fall., anche in conseguenza di altri atti di frode posti in essere dall’imprenditore idonei ad indurre in errore i creditori sulla fattibilità e sulla convenienza del concordato proposto.

CASO
[1] Una s.r.l., in epoca precedente all’ammissione al concordato preventivo ed all’omologazione, aveva fatto uso di fatture per operazioni inesistenti al fine di aumentare fittiziamente il credito I.V.A. ed evadere le imposte.

Tali operazioni illecite commesse dagli organi sociali veniva scoperta dopo l’omologazione del concordato preventivo e il commissario giudiziale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 186 e 138 l. fall., proponeva ricorso per l’annullamento del concordato preventivo omologato.

Il tribunale accoglieva il ricorso ed annullava il concordato; con separata sentenza dichiarava il fallimento della società.

Il reclamo proposto dalla società contro le due decisioni del tribunale veniva accolto dalla corte d’appello che annullava il decreto del tribunale e la sentenza di fallimento.

In particolare, la corte territoriale riteneva che la condotta posta in essere dagli amministratori della società non integrasse alcuna delle due ipotesi previste dall’art. 138 l. fall. richiamato dall’art. 186 l. fall., consistenti nella dolosa esagerazione del passivo ovvero nella sottrazione o dissimulazione dell’attivo che, nella sua interpretazione, dovevano ritenersi tassative.

Il fallimento della società proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte d’appello.

SOLUZIONE
[1] La corte di cassazione accoglie il ricorso affermando che l’annullamento del concordato preventivo omologato può essere disposto, oltre che nei casi di dolosa esagerazione del passivo ovvero di sottrazione o dissimulazione dell’attivo, anche nel caso di scoperta postuma di “altri atti di frode” commessi dall’imprenditore, in quanto la commissione ai atti di frode è espressamente prevista quale causa di revoca dell’ammissione al concordato preventivo dall’art. 173 l. fall. 

QUESTIONI
[1] L’annullamento del concordato preventivo è disciplinato dall’art. 186 l. fall. attraverso un rinvio all’art. 138 l. fall. che stabilisce i casi di annullamento del concordato fallimentare.

Tale disposizione prevede due sole cause di annullamento del concordato: la scoperta di una dolosa esagerazione del passivo operata da parte del proponente ovvero la sottrazione o dissimulazione di una parte consistente dell’attivo.

Alle due ipotesi di annullamento del concordato preventivo omologato espressamente richiamate dal legislatore, si contrappone un ben più esteso elenco dei casi di revoca dell’ammissione al concordato preventivo contenuto nell’art. 173 l. fall., il cui primo comma stabilisce che “Il commissario giudiziale, se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell’attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode, deve riferirne immediatamente al tribunale, il quale apre d’ufficio il procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato, dandone comunicazione al pubblico ministero e ai creditori”.

Mentre l’annullamento del concordato omologato è previsto per attività dell’imprenditore scoperte dopo l’omologazione, la revoca dell’ammissione al concordato opera in relazione agli atti fraudolenti emersi nel periodo tra l’ammissione al concordato e l’omologazione

La Corte di cassazione rinviene una identità di ratio tra la disciplina della revoca dell’ammissione al concordato preventivo e quella dell’annullamento del concordato omologato consistente nell’esigenza comune di rimediare a “condotte volte ad occultare situazioni di fatto idonee ad influire sul giudizio dei creditori, aventi valenza potenzialmente decettiva per l’idoneità a pregiudicare il consenso informato degli stessi sulle reali prospettive di soddisfacimento in caso di liquidazione”.

L’eadem ratio porta la Corte ad escludere che il legislatore attraverso il rinvio all’art. 138 l. fall. contenuto nell’art. 186 l. fall. abbia inteso limitare il rimedio dell’annullamento del concordato preventivo, in modo tassativo, alle due sole ipotesi ivi disciplinate.

Osserva la Corte che “sarebbe davvero di difficile comprensione come determinate condotte, unificate dall’essere atti di frode aventi valenza decettiva, possano assumere una diversa rilevanza, a seconda del momento in cui vengano ad emersione”.

Correttamente quindi la Corte ritiene che la scoperta di atti di frode dopo l’omologazione consente di chiedere l’annullamento del concordato preventivo.

In ordine alla legittimazione processuale del commissario giudiziale si segnala, invece, che l’orientamento del Supremo Collegio appare contraddittorio, perché la riconosce ai fini dell’annullamento del concordato preventivo omologato (cfr. Cass., sez. I, 30 luglio 2012, n. 13565) mentre la esclude nel procedimento di revoca dell’ammissione al concordato preventivo (cfr. Cass., sez. I, 21 febbraio 2014, n. 4183).

Si tratta di una divergenza interpretativa che mal si concilia con l’identità di ratio tra i due rimedi sancita nella sentenza in commento.