29 Novembre 2016

Indagini preliminari e ruolo dell’ente – l’attività dell’organismo di vigilanza

di Matteo De Paolis Scarica in PDF

Il d.lgs. n. 231 del 2001 contiene le norme per regolare quello che può essere definito un vero e proprio “processo all’ente”, sebbene le disposizioni che il d.lgs. 231/2001 dedica alle indagini preliminari siano piuttosto scarne.

In particolare, le disposizioni di cui agli artt. 34 e 35, stabiliscono il principio per cui nel procedimento relativo agli illeciti dipendenti da reato si osservano, in quanto compatibili, oltre che le norme espressamente dettate, le disposizioni del codice di procedura penale, e in particolare, per quanto d’interesse per l’argomento qui trattato, quelle in tema di mezzi di ricerca della prova (artt. 244 e seguenti) e di disciplina dell’attività del pubblico ministero (artt. 358 e seguenti) nonché le disposizioni del medesimo codice riferite all’imputato (e all’indagato).

Il d.lgs. 231 ha previsto come regola il simultaneus processus, fin quando possibile. Infatti, il procedimento per l’illecito amministrativo dell’ente viene riunito al procedimento penale instaurato nei confronti del presunto autore del reato da cui l’illecito dipende (art. 38). È, quindi, previsto che l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo (art 39).

In tema di garanzie difensive nelle indagini preliminari, appare possibile distinguere una partecipazione “passiva” e una “attiva” dell’ente.

La prima è configurabile con riferimento a tutte quelle attività e iniziative del pubblico ministero, finalizzate all’accertamento della responsabilità dell’ente e dunque a ricercare elementi probanti in questo senso. Vengono in rilievo, al riguardo, gli atti di investigazione compiuti direttamente dall’organo giudiziario inquirente, ovvero delegati alla polizia giudiziaria: perquisizioni personali o locali, ispezioni, sequestri anche di corrispondenza ovvero presso banche, accertamenti e rilievi tecnici, interrogatori e raccolta di informazioni. L’ente, anche se non costituito a norma dell’art. 39, ha diritto in quanto indagato di presenziare all’atto con il proprio rappresentante, ovviamente anche per il tramite del proprio difensore.

Il pubblico ministero che acquisisce la notizia dell’illecito amministrativo dipendente da reato commesso dall’ente annota immediatamente, nel registro di cui all’art 335 c.p.p., gli elementi identificativi dell’ente unitamente, ove possibile, alle generalità del suo legale rappresentante nonché il reato da cui dipende l’illecito (art 55). In linea generale, le attività investigative finalizzate ad acclarare la responsabilità in capo all’ente possono riguardare:

  1. l’analisi della struttura dell’ente, con riferimento all’esercizio dei poteri di amministrazione e controllo e alle caratteristiche dell’attività economica svolta;
  2. la verifica dell’appartenenza del soggetto presunto autore del reato presupposto alla categoria dei soggetti “in posizione apicale” o “sottoposti”. In particolare, l’Autorità giudiziaria dovrà avere riguardo al contenuto delle funzioni concretamente esercitate, anche in assenza di un’investitura formale da parte dell’ente;
  3. l’accertamento dell’effettività dell’“interesse” e/o “vantaggio” per l’ente. L’indagine dovrà pertanto verificare l’esistenza del nesso di causalità tra reato presupposto e interesse/vantaggio conseguito dall’ente, considerato che non si può procedere nei confronti dell’ente se l’indagato ha agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi;
  4. la valutazione in ordine alla rispondenza del modello organizzativo ai requisiti di idoneità ed efficacia. Se il Modello esiste già, occorrerà valutare – anche tramite l’ausilio di una consulenza tecnica – se esso funge da esimente della responsabilità amministrativa; se non esiste ancora, quello che viene creato post factum potrà servire, eventualmente, a porre una barriera alle sanzioni interdittive;
  5. la definizione delle condizioni economico-patrimoniali dell’ente al fine di consentire la determinazione dell’eventuale quota/sanzione pecuniaria.

Nel novero delle condotte imputabili all’ente rientrano, altresì, gli illeciti commessi dal reo (dipendente o apicale) che abbia esorbitato i limiti del mandato ricevuto. Da tenere presente, infatti, è che la responsabilità della società non è limitata al fatto che l’illecito penale sia stato commesso nell’esercizio delle incombenze che erano state affidate al colpevole del reato presupposto.

Fondamentale, inoltre, è considerare che quando il reato è attribuibile a un subordinato, l’art. 7 del decreto prevede la regola generale circa la prova della responsabilità da reato, che pone in capo all’Accusa l’onere di provare la “colpa organizzativa” dell’ente; se, però, il reato è attribuibile a un apicale, in base al disposto dell’art. 6 l’onere della prova è ribaltato e starà all’ente provare, all’interno del procedimento penale, l’elusione fraudolenta del Modello al fine di andare esente da responsabilità.

Qualora, dunque, l’ente voglia esercitare una partecipazione “attiva” al procedimento, deve previamente costituirsi depositando nella cancelleria dell’autorità giudiziaria procedente una dichiarazione contenente, a pena di inammissibilità:

  1. la denominazione dell’ente e le generalità del suo legale rappresentante;
  2. il nome ed il cognome del difensore e l’indicazione della procura;
  3. la sottoscrizione del difensore;
  4. la dichiarazione o l’elezione di domicilio.

Quando non compare il legale rappresentante, l’ente costituito è rappresentato dal difensore. L’ente che non ha nominato un difensore di fiducia o ne è rimasto privo è assistito da un difensore di ufficio nominatogli dal pubblico ministero.

Tramite la costituzione in giudizio, l’ente potrà rendere spontanee dichiarazioni, ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio, ovvero ancora, in generale, procedere ad investigazioni difensive, ai sensi degli artt. 391 bis e seguenti del codice di procedura penale e partecipare all’udienza fissata dal Giudice ai sensi dell’art. 47, d.lgs. 231/01 per l’applicazione delle misure cautelari. Senza dimenticare l’esercizio delle facoltà indicate nel terzo comma dell’art. 415 bis, c.p.p. (presentazione di memorie, produzione di documentazione, anche relativa a investigazioni difensive, richiesta al pubblico ministero di compimento di atti di indagine, richiesta di interrogatorio o richiesta di presentazione per rilasciare dichiarazioni).

Particolare rilievo assume la possibilità di investigazioni difensive da parte dell’ente (ex art. 391 bis e seguenti c.p.p.), e non soltanto ai fini dell’eventuale istruttoria dibattimentale, in quanto gli elementi raccolti dall’ente potranno avere importanza fondamentale nella fase del contraddittorio anticipato sulle misure cautelari (come il sequestro) e sulle sanzioni interdittive (art. 47). Queste ultime, in particolare, sono così individuate dall’art. 9, comma 2 del decreto:

  1. l’interdizione dall’esercizio dell’attività;
  2. la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
  3. il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
  4. l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
  5. il divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Nel corso delle indagini preliminari, le sanzioni interdittive, così come quelle cautelari, possono essere applicate dal giudice per le indagini preliminari in seguito a richiesta del pubblico ministero.

In particolare, la funzione assunta dalle misure cautelari interdittive è nella sostanza quella di anticipazione della sanzione, e le esigenze cautelari, rilevanti soprattutto sotto il profilo del pericolo di reiterazione dell’illecito, riflettono in concreto l’esigenza di ricondurre l’ente nell’ambito della legalità.

Ma nella fase delle indagini preliminari assume rilievo anche la possibilità di applicazione dei vari meccanismi premiali contemplati dal decreto in favore dell’ente, qualora abbia posto in essere condotte riparatorie e riorganizzative che valgano ad impedire la reiterazione dell’illecito e siano volte alla riparazione delle conseguenze del reato. L’art. 17, infatti, prevede che le sanzioni interdittive non si applichino quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrono le seguenti condizioni: (i) l’ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso; (ii) l’ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi; (iii) l’ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.

La fase delle indagini preliminari si conclude con la scelta tra archiviazione – che non prevede un controllo da parte del G.I.P., come invece avviene nel procedimento a carico delle persone fisiche – o contestazione dell’illecito. Il P.M. non può però procedere alla contestazione dell’illecito se sono trascorsi cinque anni dalla data di commissione del reato (art 22); tuttavia, la contestazione dell’illecito (oltre alla richiesta di misure cautelari interdittive) interrompe il decorso della prescrizione.

Ciò che preme segnalare è l’importanza di un completo e corretto contatto tra il P.M. e l’ente (e i suoi difensori), soprattutto in relazione al profilo della prova dell’esistenza e dell’effettiva attuazione dei compliance programs.

Uno dei possibili motivi di archiviazione è costituito infatti dall’avvenuta dimostrazione da parte dell’ente (si ricordi l’inversione dell’onere della prova ex art. 6 d.lgs. 231 nel caso di reato commesso da apicali) di aver adottato e di aver effettivamente ed efficacemente attuato – prima della commissione del reato – il modello di organizzazione e gestione volto a prevenire il genere di illecito contestato (esclusione della c.d. colpa aziendale).

In proposito, nella circolare n. 83607/2012 della Guardia di Finanza, dal titolo “Attività della Guardia di Finanza a tutela del mercato dei capitali”, che descrive le modalità di indagine seguite per l’accertamento della responsabilità degli enti ex d.lgs. 231/01 (si veda, in particolare, il Terzo Volume della circolare) si legge che

In primis, dunque, l’attività investigativa dovrà essere indirizzata sul modello, sul suo contenuto dichiarativo e descrittivo; in secondo luogo, l’indagine dovrà focalizzarsi sull’efficacia del modello, comportando la valutazione di circostanze fattuali concrete e l’acquisizione di ulteriori dati ed elementi di natura obiettiva.

Importante, dunque, ai fini della positiva fuoriuscita dell’ente dal procedimento penale, sarà dimostrare il corretto funzionamento dell’organo deputato al controllo dell’idoneità e dell’efficace attuazione del modello di organizzazione, gestione e controllo adottato dall’ente in base al d.lgs. 231/2001, e cioè l’Organismo di Vigilanza (ODV).

L’ODV, tramite l’attività dei suoi componenti, dovrà, in pratica, fare in modo che il modello organizzativo esistente, ovvero quello appena implementato, sia uno strumento per l’individuazione, necessariamente ex post, delle aree in cui il reato è stato commesso, facendo assurgere, in sede processuale, lo stesso modello organizzativo ad idoneo strumento di difesa, per scongiurare la persistenza di misure cautelari e assicurare la salvaguardia e la continuità dei processi produttivi aziendali.

Infatti, avere un modello organizzativo correttamente predisposto e implementato, sul quale è stato esercitato un efficace controllo da parte dell’ODV, potrà garantire all’ente, in sede di indagini preliminari ed anche in fase processuale, di poter ottenere la propria esclusione dal processo penale per colpa da organizzazione, o il minor impatto possibile dell’azione giudiziaria sulle dinamiche aziendali, tramite anche la possibilità di far sospendere o revocare le sanzioni cautelari eventualmente adottate nei propri confronti.

L’ODV, in concreto, dovrà pertanto assicurarsi che i contesti aziendali più delicati siano disciplinati da procedure scritte e da adeguati criteri di separazione dei compiti, nonché accertare che le procedure ed i criteri di attribuzione delle responsabilità siano appropriati e chiari.

Così, ad esempio, in caso di reato societario, l’ODV dovrà verificare che il modello organizzativo adottato abbia in sé la capacità di delineare correttamente sia le modalità con le quali si sia dato corso ai pagamenti dovuti sia i controlli interni svolti sulla materialità degli stessi, verificando  anche le procedure di verifica che impongono la conservazione di tutta la documentazione emessa a corredo di ciascuna transazione.

Sempre importanti, poi, saranno i controlli sulle procedure decisionali, esperibili mediante l’acquisizione di informazioni desunte da pubblicazioni interne all’ente o dai soggetti direttamente interessati alla procedura, che permettono di esaminare la prassi seguita dall’Ente/Società per l’assunzione delle decisioni concernenti le operazioni di ordinaria e straordinaria amministrazione.

In pratica, all’ODV compete, in fase di indagini preliminari, un’attività di ricognizione delle aree o delle sfere di attività esposte al rischio-reato, di verifica della formazione e dell’attuazione delle decisioni degli apici, di documentazione della gestione delle risorse e della circolazione delle informazioni da e verso se stesso, con l’obiettivo di prevenire il rischio di commissione dei reati e assicurando l’effettività del Modello attraverso la segnalazione delle eventuali sanzioni disciplinari da adottare.