23 Maggio 2017

Improcedibilità del ricorso privo della copia notificata della sentenza e specificità dei motivi di gravame al vaglio del principio di proporzionalità

di Lorenzo Di Giovanna Scarica in PDF

Cass., 5 Aprile 2017, n. 8845 – Pres. Travaglino – est. De Stefano (ord.)

Impugnazioni civili – Appello – Requisito della specificità dei motivi – Interpretazione (Cod. proc. civ., art. 342)

[1] Sono rimessi gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, essendosi riscontrato un contrasto nella giurisprudenza di legittimità e di merito circa l’interpretazione del requisito della specificità dei motivi di gravame.

IL CASO

[1] Avverso una dichiarazione di inammissibilità dell’appello per carenza di specificità dei motivi di impugnazione, il soccombente ricorreva per cassazione, denunciando la nullità della sentenza.

Le censure proposte con l’atto di appello, infatti, sembravano sufficientemente specifiche con riferimento alle parti della sentenza impugnate nonché idonee a guidare il giudice verso una decisione differente.

LA SOLUZIONE

[1] La questione analizzata dalla Corte concerne la nozione di specificità dei motivi di appello ex art. 342 e 434 c.p.c., alla luce della recente riforma del 2012.

Più nel dettaglio, occorre intendere, a parere della Corte, quale sia il grado di specificità delle censure, richiesto dalla suddetta norma. E, dunque, se sia configurabile, come sostiene gran parte della giurisprudenza di merito, un onere dell’appellante, non solo di evidenziare le parti della sentenza di cui si richiede la modifica, ma, soprattutto, di proporre al giudice un vero e proprio “progetto alternativo di sentenza”.

LE QUESTIONI

[1] La recente riforma del giudizio di appello (v., sul punto, Poli, La evoluzione dei giudizi di Appello e di Cassazione alla luce delle recenti riforme, in Riv. dir. proc., 2017, pp. 128 ss.; in questa newsletter v. Cossignani, Appello e riforme processuali: le modifiche all’art. 342 c.p.c.;), introdotta con l’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, conv. con mod. dalla l. 7 agosto 2012 n. 134, ha diviso la giurisprudenza in ordine al chiesto requisito della specificità dei motivi di gravame.

L’art. 342 c.p.c. e, specularmente, nel rito del lavoro, l’art. 434 c.p.c., esigono che la motivazione dell’appello contenga, a pena di inammissibilità: 1) l’indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.

Orbene, soprattutto nei casi in cui la Corte territoriale escluda, non già la fondatezza, bensì, la specificità delle censure mosse dall’appellante (come è avvenuto nel caso di cui trattasi), diviene fondamentale perimentrare i confini della norma in commento.

Sul punto, la giurisprudenza esprime soluzioni non sempre univoche, come sottolinea l’ordinanza in commento.

Cass., 5 febbraio 2015, n. 2143 esclude che le deduzioni dell’appellante debbano assumere una determinata forma o ricalcare la statuizione di primo grado, modificandone il contenuto. Detta giurisprudenza impone, segnatamente, all’appellante di individuare in modo chiaro ed esauriente il quantum appellatum, circoscrivendo il giudizio di gravame con riferimento agli specifici capi della sentenza impugnata nonché ai passaggi argomentativi che la sorreggono. Tuttavia, sotto il profilo qualitativo, sarà pur sempre rilevante formulare le ragioni di dissenso rispetto al percorso adottato dal primo giudice, e ciò al fine di rendere esplicita l’idoneità delle stesse a determinare le modifiche della decisione censurata.

Cass., 7 settembre 2016, n. 17712, invece, traendo linfa, a sua volta, dalla giurisprudenza delle corti di merito (v., Trib. Monza, 25 Marzo 2014, in La Nuova Procedura Civile,  2014; v., in questa rivista, App. Potenza, 19 Aprile 2016) richiede un livello di specificità più accentuato. Siffatto orientamento, in particolare, impone all’appellante un onere processuale maggiore, sussumibile nella necessità che l’atto di gravame offra una ragionata e diversa soluzione della controversia rispetto a quella adottata dal primo giudice. Si parla sempre più spesso della necessità di una c.d. pars construens, da affiancare alla pars destruens (equivalente alle parti della sentenza che si intendono censurare), e che corrisponderebbe alla predisposizione di un vero e proprio “progetto alternativo di sentenza”.

Cass., 27 settembre 2016, n. 18392, infine, prendendo spunto dalla giurisprudenza ante riforma (v. Cass., sez. un., 29 gennaio 2000, n. 16), esige che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, allo scopo di incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime (v., Cass., 27 ottobre 2014, n. 22781). Alla parte volitiva dell’appello, che mira a modificare le “statuizioni” finali della sentenza, si accompagna una parte motiva, a pena di inammissibilità del gravame, idonea a confutare le ragioni del primo giudice. In questo modo, anche quando la sentenza impugnata venga censurata nella sua interezza, risulterà possibile, secondo il riportato orientamento, isolare i motivi di appello non generici (ossia, sufficientemente specifici) da quelli generici, scrutinando così almeno i primi (v., Cass. 7 ottobre 2015, n. 20124).

Come sottolineato dalla stessa Sezione Terza, il giudizio di appello svolge una funzione essenziale nel contesto della tutela giurisdizionale, anche se privo di copertura costituzionale. Di qui l’esigenza di fare chiarezza sui requisiti dell’atto introduttivo imposti dalla legge a pena di inammissibilità.