2 Maggio 2016

Il compenso del C.T.U. è sempre a carico solidale delle parti a prescindere dalla regolazione finale delle spese

di Alessandro Petronzi Scarica in PDF
  1. PREMESSA
    E’ noto che con la sentenza definitiva che chiude il giudizio innanzi all’autorità giudiziaria adita, il giudice è tenuto a pronunciarsi sulle spese di lite, ivi incluse le spese di C.T.U., secondo i principi di cui agli artt. 91 ss. c.p.c., ed in particolare in base al principio della soccombenza, salvo che non ricorrano i presupposti per una compensazione totale o parziale.

    E’ sorta tuttavia questione, che la giurisprudenza di legittimità e quella di merito sono state chiamate a risolvere, se la statuizione operata dal giudice in sentenza abbia efficacia unicamente tra le parti del giudizio ovvero esplichi effetti anche nei confronti del C.T.U. stesso.

    Detta questione ha implicazioni molto rilevanti nella pratica giudiziaria, attesa la centralità del ruolo del C.T.U. nel processo civile quale ausiliario di giustizia, cui l’ordinamento appronta tutele, anche di ordine meramente economico, finalizzate a garantire la effettività del compenso riconosciuto.

  2. INTRODUZIONE: LA REGOLAZIONE DELLE SPESE DI C.T.U
    Una recente sentenza (Cass., Sez. 2,  12 novembre 2015, n. 23133) offre lo spunto per svolgere alcune brevi considerazioni sulla questione della regolazione delle spese di C.T.U. all’esito della conclusione del giudizio con emissione della sentenza che pronunci sulle spese a norma dell’art. 91 c.p.c..

    Nel caso da ultimo affrontato dalla Suprema Corte, un C.T.U., dopo la emissione della sentenza conclusiva del giudizio di primo grado ove aveva prestato il proprio ufficio, chiedeva ad una sola delle parti il pagamento per l’intero dei compensi liquidati dal giudice. La parte richiesta del pagamento si opponeva sostenendo che la intervenuta sentenza, che aveva regolato in base al principio della soccombenza sia le spese di lite che quelle di C.T.U., ripartendole tra le parti del giudizio, aveva privato di efficacia il primo decreto di liquidazione in cui le spese di C.T.U. erano ripartite in parti uguali, sostituendolo con un differente riparto.

    La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso per cassazione proposto dal C.T.U., ha sottolineato come l’ausiliario, finché la controversia non è decisa con una sentenza che statuisca pure sulle spese di lite, è tenuto a proporre la sua domanda prima nei confronti del soggetto menzionato nel decreto di liquidazione (e nei limiti della misura ivi indicata) e, solo ove questi resti inadempiente, può agire nei confronti degli altri. Mentre, una volta che la controversia è stata risolta con sentenza che pronunci anche sulle spese, il consulente d’ufficio può fare valere le sue ragioni di credito nei confronti di ogni parte in virtù della loro responsabilità solidale, indipendentemente dalla definitiva ripartizione dell’onere delle spese stabilita dal giudice.

    Nell’affermare il citato principio ha superato il diverso orientamento espresso anche dal giudice di appello secondo cui la sentenza conclusiva del giudizio nell’ambito del quale il C.T.U. aveva prestato la propria opera, aveva operato una diversa ripartizione delle spese di C.T.U., cui anche il professionista doveva attenersi.

  3. L’ORIENTAMENTO MAGGIORITARIO
    La Suprema Corte, con la sentenza da ultimo citata ha in sostanza ribadito e confermato il proprio orientamento (maggioritario anche nella giurisprudenza di merito) secondo cui, una volta che la controversia sia decisa con l’emissione di una sentenza, l’eventuale ripartizione del compenso tra le parti rileva solo ai fini del rapporto interno tra le stesse e, dunque, ai fini del regresso, ma non è opponibile al consulente tecnico d’ufficio, il quale, essendo ausiliario del giudice, svolge un’attività in funzione del processo e nel superiore interesse della giustizia (ex pluribus, Cass., ord. 05 novembre 2014, n. 23522; Cass., 08 novembre 2013, n. 25179; Cass., 30 dicembre 2009, n. 28094; Cass., 15 settembre 2008, n. 23586).

  4. L’ORIENTAMENTO MINORITARIO
    Tale orientamento si pone in un ottica di definitivo superamento della tesi contraria, seguita da un parte minoritaria della giurisprudenza di merito ed autorevolmente avallata in passato anche da Corte di Cassazione n. 12110 del 19 agosto 2003, in base al quale la sentenza di condanna alle spese di consulenza, pronunciata in danno di una sola parte funge da revoca implicita del decreto di liquidazione delle stesse spese che, in corso di procedimento, l’autorità giudiziaria abbia provvisoriamente posto a carico di tutte le parti del processo in solido.

  5. RATIO E CONCLUSIONI
    La C.T.U. infatti non è un vero e proprio mezzo di prova, ma un ausilio per il giudice ogni qual volta ricorrano specifiche questioni tecniche che richiedono una puntuale cognizione di tipo tecnico: essa è finalizzata ad aiutare il giudice nella valutazione degli elementi acquisiti o nella soluzione di questioni necessitanti specifiche conoscenze; è sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito; costituisce atto necessario del processo che l’ausiliare pone in essere nell’interesse generale della giustizia e comune delle parti in virtù di un mandato neutrale.

    In considerazione della natura dell’incarico, e poiché il regime di pagamento delle spettanze del consulente non è regolato in base al principio della soccombenza, il quale assume rilevanza solo nel rapporto interno tra le parti, l’ausiliario può richiedere l’intero compenso anche ad una sola delle parti, secondo il criterio generale della solidarietà ex artt. 1292 ss. c.c., e salva l’azione di regresso nei rapporti interni tra le parti obbligate.

    In altre parole, la parte escussa dal C.T.U. per il pagamento del compenso non può opporgli la diversa regolamentazione delle spese contenuta nella sentenza, ma deve pagare l’intero compenso per poi successivamente agire in regresso nei confronti della parte a cui carico sono state poste le spese nella sentenza.