16 Giugno 2015

Giudice italiano o cinese? La “midnight clause”

di Roberto Luzi Crivellini Scarica in PDF

 

A Luglio, nelle città di Firenze, Padova e Milano è in programma il Seminario “Cina: i contratti di distribuzione commerciale“.
Durante la giornata l’Avv. Roberto Luzi Crivellini (esperto di contrattualistica internazionale, con particolare riferimento alla Cina e al centro-sud America) approfondirà tutte le principali questioni contrattuali che un professionista deve affrontare a favore della propria azienda-cliente, offrendo soluzioni contrattuali anche alla luce della best practice internazionale.

Di seguito alcune brevi considerazioni su uno dei tanti problemi che verranno affrontati in maniera approfondita e con taglio pratico-operativo durante il Seminario.

Giudice italiano o cinese ? La “midnight clause”.
La clausola del contratto che disciplina la modalità di risoluzione delle controversie e la legge applicabile al rapporto è spesso chiamata la “midnight clause”, facendo riferimento al fatto che in molti modelli di contratto questa clausola è tra le ultime del documento e viene dunque discussa al termine delle trattative, spesso a tarda notte, quando le parti sono esauste e desiderose di firmare il contratto.
I casi ricorrenti sono due: nel primo, la decisione viene presa con noncuranza e in maniera frettolosa, posto che le parti ritengono di avere già raggiunto l’accordo sulle questioni importanti del contratto e non danno peso – a torto – alla modalità di risoluzione delle liti.
Nel secondo caso accade il contrario: sulla decisione del giudice competente e della legge applicabile si genera un muro contro muro, con entrambe le parti risolute – più per una questione di principio e di diffidenza verso le norme straniere che non perché si comprenda l’importanza pratica della questione- ad imporre la giurisdizione nel proprio paese e l’applicabilità della legge nazionale.

Entrambi gli scenari sono molto delicati, perchè espongono al rischio di decisioni sbagliate o di pessimi compromessi, che possono giungere a vanificare la futura possibilità di agire in giudizio.
E’ fondamentale che questa clausola venga affrontata in modo consapevole e non improvvisato: vediamo alcune considerazioni da tenere a mente al momento di scegliere la giurisdizione e la legge applicabile al contratto, riservandoci di trattare in altro momento la tematica – altrettanto importante – della possibile previsione di un arbitrato.

1)  Il giudice cinese non è più un tabù
Per lungo tempo gli stranieri sono stati, giustamente, terrorizzati dall’idea di rivolgersi al giudice cinese, che era un funzionario statale proveniente da altre amministrazioni pubbliche, di assai dubbia imparzialità, politicizzato e in genere del tutto incompetente. La situazione oggi è cambiata e, quantomeno nelle città oggetto da anni di investimenti internazionali, il livello di preparazione della magistratura è certamente migliorato, i costi di un contenzioso sono tutto sommato contenuti, i tempi di un giudizio di primo grado rapidi (circa 6 mesi) e la possibilità di un equo giudizio, se ben difesi da un avvocato competente, certamente alla portata. Si può – e si deve- dunque valutare l’opzione di prevedere la giurisdizione cinese in contratto, considerando i futuri scenari possibili in caso di future vertenze.

2) Dove sono gli asset ?
Il fattore più importante nella decisione sulla scelta della giurisdizione italiana o cinese è certamente il luogo di esecuzione della sentenza. Occorre, cioè, prevedere al momento della redazione del contratto quali tipi di vertenze si potranno generare nella relazione commerciale e dove sarà  possibile eseguire la sentenza ottenuta, se in Italia o in Cina.
Nella stragrande maggioranza dei casi, infatti, la parte cinese ha asset (beni e crediti aggregabili) solo in Cina e se la sentenza favorevole alla parte straniera non viene spontaneamente adempiuta (scenario pressoché certo) si rende necessario procedere all’esecuzione forzata, appunto, in Cina.  Per questa ragione  prevedere la giurisdizione del giudice italiano può essere una mossa controproducente, che obbliga prima a radicare una causa in Italia, spesso con tempi molto lunghi, e poi a chiedere il riconoscimento della sentenza italiana nella Repubblica Popolare Cinese: ciò è possibile grazie al Trattato per l’assistenza giudiziaria in materia civile del 1991, ma il procedimento è molto burocratico, richiede la traduzione in cinese e la legalizzazione della sentenza e di tutti i documenti e nel corso del giudizio di riconoscimento la parte cinese farà tutto il possibile per complicare e ritardare il riconoscimento della decisione.
Con il risultato che anziché ottenere una sentenza eseguibile in Cina in pochi mesi, cosa fattibile ricorrendo al giudice Cinese, si perdono diversi anni, incorrendo in costi molto superiori e con l’amara sorpresa, anche questa purtroppo frequente, che al termine della procedura di riconoscimento la controparte cinese risulta irreperibile o insolvente o non è comunque possibile reperire beni da aggredire esecutivamente.

3) Testimoni, perizie e documenti
Un altro fattore da tenere presente è legato alla natura del contratto e al luogo di svolgimento delle prestazioni delle parti: in caso di contratto con obbligazioni da svolgere in Cina (come ad esempio la gestione di un punto vendita, lo svolgimento di attività promozionale da parte di un agente o concessionario, la fornitura o assemblaggio di prodotti) l’istruttoria della causa, ossia l’audizione dei testimoni, l’incarico ad un perito di esaminare un prodotto, l’analisi dei documenti necessari per decidere la causa, può essere agevole presso il giudice Cinese, mentre sarebbe estremamente difficile, se non del tutto impossibile e certamente anti-economica, presso un foro Italiano. E viceversa, naturalmente.

4) Stesso giudice, stessa legge
Un compromesso per rompere lo stallo nelle trattative è spesso quello di scegliere il giudice di un paese e la legge dell’altro, quando non addirittura di prevedere il giudice di un paese terzo e la legge di un paese ancor diverso.
Soluzioni “creative” di questo tipo sono assolutamente da evitare, soprattutto se si sceglie il foro cinese: è bene che il giudice adito sia quello di uno dei paesi delle parti (idealmente quello di esecuzione della sentenza, come detto sopra) e che possa decidere la causa sulla base della normativa che è familiare al giudice stesso e agli avvocati delle parti, altrimenti si crea la necessità che le norme della legge straniera debbano essere indicate dalle parti (raramente in accordo tra loro) o che venga nominato un consulente esperto della legge in questione, con notevole incremento dei costi di lite, complicazione della trattazione della causa e allungamento dei tempi.

5) Misure cautelari
Può accadere, infine, che sia urgente ricorrere al giudice per avere tutela di situazioni che non possono attendere i tempi di una causa ordinaria: un caso tipico è quello del concessionario o franchisee che opera in concorrenza sleale con il produttore o franchisor, vendendo merce contraffatta o rifiutando di restituire negozi e materiali di proprietà del produttore/ franchisor dopo la cessazione del contratto.
In tali casi avere la possibilità di adire il giudice cinese con richiesta di un procedimento cautelare, ossia una misura urgente finalizzata a far cessare il comportamento illegittimo in corso, è vitale: ciò è possibile se il contratto prevede la giurisdizione cinese o un arbitrato, mentre l’eventuale previsione in contratto della giurisdizione italiana preclude il ricorso alla tutela cautelare in Cina, con la conseguenza, molto grave, che non è possibile agire in modo efficace e tempestivo in Cina per limitare i gravi danni di avviamento commerciale ed immagine.