19 Dicembre 2017

“Doppia conforme” e deducibilità del vizio ex art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.

di Giorgia Vulpiani Scarica in PDF

Cass., sez. I, 24 agosto 2017, n. 20335

Lavoro subordinato – Licenziamento collettivo – Onere del datore di allegare i criteri di scelta sul datore di lavoro – Sussistenza Onere del lavoratore di dimostrare l’illegittimità della scelta Sussistenza

(art. 5 L. 223/1991; cod. civ. art. 2697)

Impugnazioni civili – Ricorso per cassazione – “Doppia conforme” – Oneri del ricorrente – Onere dimostrazione diversità motivazioni – Sussistenza Inadempimento dell’onere Inammissibilità motivo ex art. 360, co. 1, n. 5

(Cod. proc. civ., artt. 348 ter, 360, co. 1, n. 5)

 Impugnazioni civili – Ricorso per cassazione – Motivi di ricorso – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti – Oneri del ricorrente – Inammissibilità motivo  ex art. 360, co. 1, n. 5

(Cod proc. civ., art. 360, co. 1, n. 5, 366, co. 1, n. 6, 369, co. 2, n. 4)

 [1] In tema di licenziamento collettivo, sul datore di lavoro grava l’onere di allegazione dei criteri di scelta e la prova della loro piena applicazione nei confronti dei lavoratori licenziati, con indicazione, in relazione a ciascuno di questi ultimi, dello stato familiare, dell’anzianità e delle mansioni, mentre sul lavoratore incombe l’onere di dimostrare l’illegittimità di tale scelta.

[2] Nell’ipotesi di “doppia conforme” di cui all’art. 348 ter, co. 5, c.p.c., il ricorrente in Cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.

[3] La nuova formulazione dell’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. introduce nell’ordinamento un vizio specifico relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Ne consegue che, nel rigoroso rispetto degli artt. 366, co. 1, n. 6 e 369, co. 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato” testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.

CASO

 [1][2][3] I dipendenti di una società a responsabilità limitata impugnavano il licenziamento collettivo adottato nei loro confronti dalla società, contestando il mancato rispetto della procedura di cui agli artt. 4 e 24 l. n. 223/1991 quanto alla corretta indicazione e conseguente modalità di applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai sensi dell’art. 5 l. n. 223/1991.

Il Tribunale rigettava le domande dei dipendenti, i quali proponevano appello.

La Corte territoriale condivideva la motivazione del giudice di prime cure in ordine all’impossibilità per fatto sopravvenuto di reintegrare i lavoratori a causa dell’incendio della fabbrica, verificatosi nelle more del giudizio, e all’adeguatezza dei contenuti della comunicazione resa ai dipendenti da parte della società ex art. 4 l. n. 223/1991.

Avverso tale pronuncia ricorrono i dipendenti, con due distinti ricorsi, successivamente riuniti dalla Corte ex art. 335 c.p.c.

Con il primo ricorso, con unico motivo, si lamenta la violazione degli artt. 4 e 5 l. n. 223/1991 e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, relativo alla correttezza dell’indicazione delle concrete modalità applicative dei criteri di scelta dei dipendenti da mettere in mobilità.

Con il secondo ricorso, i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 l. n. 223/1991 in relazione all’accordo sindacale del 19 gennaio 2012 e all’art. 2697 c.c. e, con distinta censura, denunciano la carente motivazione sulla correttezza dei criteri di scelta e l’omessa motivazione sul contenuto dell’accordo sindacale ex art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.

La società resiste con controricorso eccependo il passaggio in giudicato del capo della sentenza relativo all’impossibilità sopravvenuta della reintegra e l’inammissibilità dei motivi di ricorso per violazione dei limiti imposti dagli artt. 360, co. 1, n. 5 e 348 ter c.p.c.

SOLUZIONE

[1][2][3] La Corte rigetta i ricorsi.

Più in particolare, il Collegio, quanto al primo ricorso, osserva che:

  1. a) la sentenza impugnata ha correttamente interpretato gli artt. 4 e 5 l. n. 223/1991;
  2. b) la sussistenza della puntuale indicazione dei criteri di scelta e la valutazione dell’adeguatezza della comunicazione sono demandate all’apprezzamento del giudice del merito e sono inibite in sede di legittimità;
  3. c) tale giudizio in fatto ha condotto, in primo e secondo grado, a decisioni conformi con conseguente inammissibilità della deducibilità del vizio di motivazione di cui all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. ai sensi dell’art. 348 terp.c., in quanto il ricorrente nulla ha dedotto in relazione alla diversità delle ragioni di fatto poste a base delle sentenze di primo e secondo grado.

Quanto al secondo ricorso rileva che:

  1. d) è infondata la doglianza relativa alla violazione dell’art. 4 l. n. 223/1991 in relazione all’art. 2697 c.c., in quanto, come più volte ribadito in altre pronunce, in tema di licenziamento collettivo sul datore di lavoro grava l’onere di allegazione dei criteri di scelta e la prova della loro piena applicazione e sui lavoratori l’onere di dimostrare l’illegittimità di tale scelta;
  2. e) non è deducibile il vizio di motivazione ai sensi dell’art. 348 terp.c.;
  3. f) le censure di vizio di motivazione sono inammissibili in quanto, in violazione della nuova formulazione dell’art. 360, co. 1, n. 5, difetta del tutto l’indicazione del fatto storico principale o secondario, oggetto di discussione processuale, che la sentenza impugnata ha trascurato pur essendo decisivo.

QUESTIONI

La sentenza in commento si sofferma su due rilevanti questioni in tema di limiti al sindacato dei provvedimenti giurisdizionali in sede di legittimità:

  1. la c.d. “doppia conforme” di cui all’art. 348 ter, co. 4 e 5, c.p.c.;
  2. il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti di cui all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c.

[1] Com’è noto, l’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. dalla l. 7 agosto 2012 n. 134 ha introdotto il nuovo art. 348 ter, il quale esclude la possibilità di proporre ricorso per cassazione per il motivo di cui all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. nel caso in cui l’ordinanza di inammissibilità dell’appello, di cui all’art. 348 bis, o la sentenza d’appello siano fondate sulle stesse ragioni, inerenti le questioni di fatto, poste a base della decisione di primo grado. Si tratta del principio della c.d. “doppia conforme” che esclude la sindacabilità da parte della Cassazione sulla ricostruzione del fatto.

La norma si configura come una sorta di “filtro selettivo”, da aggiungersi al filtro di “natura acceleratoria” di cui all’art. 360 bis c.p.c. e, secondo parte della dottrina, si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost.; contrasto superabile solo ove si ritenesse che la Cassazione possa comunque sindacare la motivazione in fatto sulla base dell’art. 360, co. 1, n. 4 c.p.c.

Sul punto, la Suprema Corte ha affermato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 348 ter, co. 1 e 4, in quanto un secondo grado di giudizio di merito non è oggetto di garanzia costituzionale davanti al giudice ordinario e la delimitazione del controllo di legittimità in caso di doppia conforme in fatto non solo non impedisce, né limita l’esercizio del diritto di difesa, ma contribuisce a garantirne l’effettività (Cass., sez. VI, 11 dicembre 2014, n. 26097).

Nella sentenza in commento, il Collegio, ponendosi in senso conforme alle precedenti pronunce di legittimità, si limita ad indicare gli oneri del ricorrente in caso di doppia conforme, affermando che la parte, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (v., tra le più recenti, Cass., sez. II, 10 marzo 2014, n. 5528; Cass., sez. III, 27 settembre 2016, n. 19001; Cass. 31 ottobre 2017, n. 25805; Cass., sez.  III, 21 novembre 2017, n. 27553 Cass., sez. VI, 27 novembre 2017, n. 28314; Cass., sez. VI, 30 novembre 2017, n. 28675).

[2] La riforma del 2012 ha, inoltre, modificato il co. 1, n. 5, dell’art. 360 c.p.c., segnando una sorta di “ritorno al passato”, in quanto la formula dell’omesso esame circa un fatto decisivo era presente nel testo originario del codice del 1942. Parte della dottrina ritiene che la riforma abbia, di fatto, ridotto al minimo la possibilità di sindacare il vizio motivazionale, più ampia con la formulazione precedente, che prevedeva la possibilità di impugnare la sentenza «per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio». Un diverso orientamento ritiene, invece, che il nuovo n. 5 non elimini il controllo sui vizi della motivazione – ben potendo la Cassazione sanzionare tali vizi come ragioni di nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n. 4 in forza dell’art. 360, co. 1, n. 4 – ma introduca un ulteriore motivo di ricorso di dubbia configurazione.

Sull’interpretazione del nuovo art. 360, co. 1. n. 5, c.p.c. sono intervenute le Sezioni Unite, le quali hanno chiarito che la norma in questione deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dell’art. 12 preleggi, come riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione e che, pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attenga all’esistenza della motivazione in sé come risulta dal testo della sentenza e si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

La Corte, nella sentenza in commento, ponendosi nel solco dei principi enunciati dalle Sezioni Unite, indica gli oneri del ricorrente ai fini della deducibilità del vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, affermando che la parte deve indicare «il fatto storico il cui esame sia stato omesso, il dato testuale o extratestuale da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti e la sua decisività». Sancisce, dunque, l’inammissibilità del motivo di ricorso, in quanto non rispetta le condizioni volute dalla legge e risulta inidoneo ad intaccare la trama motivazionale della sentenza impugnata, difettando «del tutto in concreto l’indicazione del fatto storico principale o secondario, oggetto di discussione processuale che la sentenza abbia trascurato pur essendo decisivo» (v. anche Cass., sez. VI, 23 settembre 2015 n. 18817; Cass., sez. VI, 1 ottobre 2015 n. 19677;  Cass., sez. un., 7 gennaio 2016 n. 67; Cass., sez. III, 7 aprile 2016 n. 6787; Cass., sez. un., 6 luglio 2017, n. 16694; Cass. Sez. II, 4 agosto 2017, 19641, Cass., sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940).

In dottrina, si vedano, tra gli altri, Carratta, Il giudizio di cassazione nell’esperienza del “filtro” e nelle recenti riforme legislative, 2013; Capponi, L’omesso esame del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. secondo la Corte di Cassazione, 2016; Consolo, Nuovi ed indesiderabili esercizi normativi sul processo civile: le impugnazioni a rischio di “svaporamento”, 2012; Poli, L’evoluzione dei giudizi di appello e di cassazione alla luce delle recenti riforme, 2017; Taruffo, Addio alla motivazione?, 2014.