10 Settembre 2019

Contratto a termine: la sentenza che ne accerta la nullità è dichiarativa

di Evangelista Basile Scarica in PDF

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 26 marzo 2019, n. 8385

Contratto a tempo determinato – Nullità del termine – Sentenza dichiarativa – Conversione in rapporto a tempo indeterminato – Data illegittima stipulazione

Massima

Anche a seguito della norma di interpretazione autentica di cui all’articolo 1, comma 13, legge 92/2012 la sentenza che accerta la nullità della clausola appositiva del termine e ordina la ricostituzione del rapporto illegittimamente interrotto, cui è connesso l’obbligo del datore di riammettere in servizio il lavoratore, è di natura dichiarativa e non costitutiva: la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, pertanto, opera con effetto ex tunc dalla illegittima stipulazione del contratto a termine, mentre l’indennità di cui all’articolo 32, comma 5, L. 183 del 2010 ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro.

Commento

La Cassazione, con la pronuncia in commento, ha statuito che – in ambito di contratti di lavoro a tempo determinato – la sentenza che accerta la nullità della clausola appositiva del termine e ordina la ricostituzione del rapporto illegittimamente interrotto, cui è connesso l’obbligo del datore di riammettere in servizio il lavoratore, ha natura dichiarativa e non costitutiva; ne consegue che la conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato opera con effetto ex tunc dalla illegittima stipulazione del contratto a termine, sicché non è configurabile un recesso datoriale intervenuto ante tempus in costanza di un rapporto di lavoro a tempo determinato. Conseguenza di ciò è che l’indennità di cui all’art. 32, comma 5, della L. n. 183 del 2010 ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive, per il periodo fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro. Nel caso de quo, un lavoratore era stato assunto dalla società con contratto a tempo determinato per il periodo gennaio 2011 – gennaio 2012, venendo poi licenziato prima della scadenza del termine e precisamente nell’agosto 2011. Il Giudice del lavoro di primo grado, adito dal lavoratore, dichiarava la nullità del termine apposto al contratto di lavoro e l’illegittimità del licenziamento condannando la società, per l’effetto, a reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro e a risarcirgli il danno commisurato alle retribuzioni maturate dalla data del licenziamento alla reintegra. Da ultimo, il giudice territoriale aveva negato l’indennizzo di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, osservando che la tutela riconosciuta ai sensi dell’art. 18 stat. lav. – nel regime anteriore alla riforma di cui alla L. n. 92 del 2012 – assorbiva ogni altro diverso e ulteriore risarcimento. Di contro, la Corte territoriale – in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla società – in stretta applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, accertava il diritto del lavoratore ad ottenere 2,5 mensilità della retribuzione globale di fatto, con gli interessi legali, previa rivalutazione, dalla data della sentenza al saldo ovvero, in ragione dell’illegittimità del recesso accertata in primo grado, riconosceva il diritto dell’appellato ad ottenere anche quelle retribuzioni non corrispostegli dalla data del recesso alla scadenza naturale del contratto (con interessi legali – previa rivalutazione – dalle singole scadenze al saldo). Aderendo alla tesi prospettata dal lavoratore ricorrente, la Suprema Corte chiarisce che l’accertamento della nullità del termine comportava la trasformazione con efficacia dichiarativa ex tunc e non costitutiva ex nunc del rapporto, sicché il licenziamento illegittimamente comunicato dalla società deve considerarsi intervenuto su un rapporto a tempo indeterminato, con conseguente applicazione dell’art. 18 L. 300/1970. È la Corte Costituzionale – concludono i giudici di legittimità – che ha già chiarito che l’indennità di cui all’art. 32 del Collegato lavoro non si limita a forfetizzare il risarcimento del danno dovuto al lavoratore illegittimamente assunto a termine ma, in primo luogo, assicura a quest’ultimo l’instaurazione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Di conseguenza, il danno forfetizzato dalla norma in commento copre pertanto solo il periodo c.d. intermedio, ossia quello tra la scadenza del termine fino alla sentenza che accerta la nullità di esso, mentre il recesso da un tale rapporto deve essere considerato ad ogni effetto di legge e di contratto recesso da un rapporto a tempo indeterminato, con le conseguenze risarcitorie previste per tale ultima categoria di rapporti.10

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