17 Ottobre 2017

Comunicazione dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. priva di firma digitale del cancelliere e decorrenza del termine breve per appellare ex art. 702 quater c.p.c.

di Fabio Cossignani Scarica in PDF

Cass. civ., sez. II, 28 settembre 2017, n. 22674 – Pres. Manna – Rel. Scarpa

Impugnazioni – Procedimento sommario di cognizione – Termine breve decorrente dalla comunicazione – Provvedimento del magistrato in formato cartaceo – Estrazione di copia digitale – Comunicazione della copia digitale estratta – Mancanza della firma digitale del cancelliere sul documento comunicato – Irrilevanza (Cod. proc. civ., art. 334; Disp. att. Cod. proc. civ., art. 45; D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16 bis, co. 9-bis)

[1] La comunicazione telematica di cancelleria dell’ordinanza ex art. 703 ter c.p.c. non firmata digitalmente dal cancelliere è idonea a far decorrere il termine di 30 giorni ex art. 702 quater per la proposizione dell’appello.

CASO

[1] Il Tribunale pronunciava ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. in data 21 gennaio 2014 e nella stessa data il provvedimento veniva comunicato alle parti. A quanto pare, il magistrato aveva steso il provvedimento su supporto cartaceo. Il cancelliere ne estraeva copia informatica, che provvedeva a comunicare alle parti senza apporvi la propria firma digitale.

La parte soccombente proponeva appello ex art. 702 quater oltre il termine di 30 giorni computato dalla comunicazione.

L’appello veniva dichiarato inammissibile perché tardivo.

Avverso la sentenza della corte di appello, la parte soccombente proponeva ricorso per cassazione sostenendo che, ai fini della proposizione dell’appello, non fosse applicabile il termine breve ex art. 702 quater. E ciò a causa del vizio della comunicazione del provvedimento di primo grado, vizio costituito dal fatto che il provvedimento trasmesso dalla cancelleria non era firmato digitalmente, come richiesto dall’art. 15, ult. co., d.m. 44/2011 (come modificato dal d.m. 209/2012: «Se il provvedimento del magistrato è in formato cartaceo, il cancelliere o il segretario dell’ufficio giudiziario ne estrae copia informatica nei formati previsti dalle specifiche tecniche stabilite ai sensi dell’articolo 34 e provvede a depositarlo nel fascicolo informatico, apponendovi la propria firma digitale).

SOLUZIONE

[1] La Corte rigetta il ricorso perché infondato. La decisione fa leva sull’art. 16 bis, co. 9-bis, primo periodo, del d.l. n. 179/2012 (introdotto dal d.l. 90/2014 e successivamente modificato dal d.l. 83/2015) secondo il quale «Le copie informatiche, anche per immagine di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice nonché dei provvedimenti di quest’ultimo, presenti nei fascicoli informatici o trasmessi in allegato alle comunicazioni telematiche dei procedimenti indicati nel presente articolo, equivalgono all’originale anche se prive della firma digitale del cancelliere di attestazione di conformità all’originale».

In verità, la disposizione non è direttamente applicabile, ratione temporis, al caso di specie (in quanto introdotta dal d.l. n. 90/2014). Tuttavia, la Corte esclude la nullità o l’irregolarità della comunicazione, richiamando quella giurisprudenza di legittimità che fa perno sul raggiungimento dello scopo. In particolare, si invoca Cass., 19 dicembre 2016, n. 26102 [così massimata: «Ai sensi degli art. 3 bis, co. 3, e 6, co. 1, l. n. 53 del 1994, come modificata dall’art. 16 quater d.l. n. 179 del 2012, introdotto dalla l. n. 228 del 2012, per la regolarità della notifica del ricorso per cassazione costituito dalla copia informatica dell’atto originariamente formato su supporto analogico, non è necessaria la sottoscrizione dell’atto con firma digitale, essendo sufficiente che la copia telematica sia attestata conforme all’originale, secondo le disposizioni vigenti ratione temporis (nella specie, art. 22, co. 2, d.leg. n. 82 del 2005…»].

QUESTIONI

[1] Talvolta, il termine breve per l’impugnazione decorre dalla comunicazione di cancelleria. Il disposto dell’art. 133, co. 2, secondo periodo (aggiunto dal d.l. 90/2014), a mente del quale «La comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325», non ha abrogato le fattispecie derogatorie e speciali, tra cui, appunto, l’art. 704 quater c.p.c. (v. anche gli artt. 47, 72, 178, co. 3, 630, co. 3, 186 quater, ult. co., 348 ter, co. 3, 391, co. 3, 420 bis, co. 2, 669 terdecies, co. 1, 739, co. 1, e 740 c.p.c) (in giurisprudenza, v. Cass., 5 novembre 2014, n. 23526, e le successive conformi). Altre volte il termine breve decorre dalla notificazione di cancelleria: ad es. art. 18 l.fall.; in tali casi, si pone di frequente il problema della distinzione tra comunicazione e notificazione (telematiche) di cancelleria (v. al riguardo Cossignani, Notificazione d’ufficio del provvedimento e termine breve per impugnare: l’art. 18, co. 14, l. fallimentare).

Il tema affrontato dalla decisione in epigrafe attiene alla forma della comunicazione telematica di cancelleria.

Secondo il ricorrente, poiché il provvedimento era stato redatto in formato cartaceo dal giudice, ai sensi dell’art. 15, ult. co., d.m. n. 44/2011, il cancelliere ne avrebbe dovuto estrarre copia informatica, che avrebbe dovuto depositare nel fascicolo telematico apponendovi la propria firma digitale. Non è chiaro se effettivamente tali operazioni preliminari fossero state compiute dal cancelliere. Il ricorrente, ad ogni modo, si doleva del fatto che, nella comunicazione telematica, il provvedimento allegato fosse privo della firma digitale del cancelliere, richiesta dal d.m. per il deposito nel fascicolo informatico. In sostanza, sembra che il ricorrente abbia inteso denunciare la non conformità dell’atto comunicato con l’atto depositato.

La questione è oggi superata, come rileva la Corte, dal co. 9-bis dell’art. 16 bis d.l. 179/2012, che esonera sostanzialmente il cancelliere dall’apposizione della firma digitale, sia in sede di deposito di copie informatiche, anche per immagini (sicché – a quanto pare – dovrebbe ritenersi abrogato l’art. 15, ult. co., d.m. 4472011), sia in sede di comunicazione (al riguardo, nel provvedimento si richiama Cass., 22 febbraio 2016, n. 3386).

Tuttavia, la nuova disposizione non era applicabile ratione temporis al caso di specie. Ciononostante, la Cassazione ha escluso la soluzione “formalistica” ritenendo che la comunicazione avesse in ogni caso raggiunto il suo scopo (in merito alla giurisprudenza sul pct, si rinvia alle molte note pubblicate in questa newsletter nonché a Cossignani, Percorsi di giurisprudenza – Processo civile telematico: deposito, notificazioni e comunicazioni, in Giur. it., 2017, 973 ss.).

La soluzione offerta al caso concreto appare condivisibile, anche perché l’obbligo di firma digitale in sede di deposito è cosa diversa dall’obbligo di allegare alla comunicazione il provvedimento firmato digitalmente.

Tuttavia, più in generale, si segnala la difficile delimitazione del principio del “raggiungimento dello scopo” con riferimento alle norme sul processo civile telematico. E ciò non tanto per una ontologica inconciliabilità tra disciplina delle nullità (artt. 156 ss.) e forme degli atti telematici, quanto piuttosto a causa del confuso e disordinato quadro normativo.

Non si possono negare i tanti benefici dell’introduzione del processo civile telematico. Alla stessa maniera, vanno evidenziati gli aspetti problematici, derivanti molto spesso all’approccio seguito dal legislatore.

Anziché rimeditare talune attività processuali alla luce delle nuove tecnologie, il legislatore ha introdotto forzatamente la tecnologia in una struttura processuale quasi invariata. Ciò ha comportato alcuni evidenti peggioramenti della disciplina. La forzatura, per un verso, ha reso difficile l’individuazione della ratio di talune (vecchie, nuove o modificate) disposizioni e, per conseguenza, anche l’individuazione dello scopo di certe forme prescritte dalla legge (o, peggio, da fonti secondarie); per altro verso, ha conservato la complessità strutturale di certe attività che, applicando i criteri della efficienza tecnologica, avrebbero dovuto essere del tutto eliminate o, quantomeno, semplificate.

Un paio di esempi, tra molti.

1) Secondo l’insegnamento classico, comunicare significa informare che si è verificato un fatto (es.: che un terzo è intervenuto nel processo, che è stata depositata la sentenza), mentre notificare significa dare conoscenza di un atto (es.: la citazione o la sentenza) (cfr. Mandrioli-Carratta, Diritto processuale civile, I, Torino, 2016, 535 ss.). La chiara distinzione si è via via fatta incerta ed infine è stata completamente offuscata dalle recenti disposizioni sul processo telematico. Emblematicamente, se il “biglietto” di cancelleria deve contenere anche il testo integrale del provvedimento (artt. 133 c.p.c. e 45 disp. att.) e se il cancelliere può essere autore sia delle comunicazioni sia delle notificazioni, entrambe da compiersi per via telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata risultante dai pubblici elenchi (art. 16, co. 4, d.l. 179/2012), allora le forme della comunicazione possono apparire idonee al raggiungimento dello scopo che è proprio della notificazione (cfr. De Santis, Notificazioni e comunicazioni [dir. proc. civ.]). La confusione concettuale che ne consegue è molto pericolosa, perché può riflettersi sul tempestivo esercizio dell’impugnazione.

2) Per portare a conoscenza un “fatto” del processo il codice del 1942 ha ritenuto necessaria l’intermediazione del cancelliere. Oggi, dati gli strumenti tecnologici a disposizione, bisognerebbe riconsiderare, caso per caso, la effettiva utilità di tale intermediazione.